Procede a tappe forzate l’iter di approvazione del decreto legislativo di adeguamento del nuovo codice appalti in base alle esperienze del primo periodo di applicazione delle regole introdotte dal d.lgs. n.36, operative dal primo luglio del 2023. Trattasi del “Correttivo”, approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri dello scorso 20 ottobre che, prima di ottenere il definitivo via libera, deve ricevere i pareri della Conferenza Unificata, del Consiglio di Stato e delle competenti Commissioni parlamentari. Il tutto entro fine anno posto che il rispetto di tale termine costituisce preciso impegno assunto dal Governo con l’UE all’atto della rinegoziazione del PNRR ratificato a dicembre dello scorso anno.
Al riguardo la notizia è che il Governo, per bocca dei vertici della Presidenza del Consiglio e del Ministero delle Infrastrutture, già nei giorni scorsi ha ribadito l’intendimento di rispettare alla lettera la data del 31 dicembre convenuta con Bruxelles, che con il recentissimo voto di Camera e Senato diventa percorribile; il pronunciamento parlamentare va, infatti, ad aggiungersi a quelli già resi ai primi del mese dal Consiglio di Stato e dalla Conferenza Unificata. La palla passa ora agli uffici incaricati di recepire o meno le indicazioni ricevute prima del passaggio finale in Consiglio dei Ministri.
Adeguamento codice appalti, le modifiche
Su uno schema di decreto che conta ben 87 articoli ognuno dei quali modifica altrettante norme del codice, altresì inserendo 3 allegati del tutto nuovi, molteplici sono i suggerimenti e le osservazioni raccolte, in alcuni casi addirittura sotto forma di vere e proprie condizioni come quelle che si leggono nella prima parte del parere reso dal Senato. Vediamo di seguito le principali.
A parte un’ampia istanza di esclusione dei cosiddetti settori speciali – cioè quelli che gestiscono analoghi contratti di lavori, forniture e servizi nel contesto delle cosiddette utilities (quali acqua, energia, trasporti) – dall’applicazione di numerose norme dettate dal codice, specie per la fase di esecuzione dei contratti, due temi, anzitutto, spiccano nel parere reso dal Senato: le tutele dei lavoratori tramite corretta applicazione del contratto collettivo di lavoro di riferimento lungo l’intera filiera realizzativa ed il meccanismo della revisione dei prezzi, a seguito degli aumenti legati a fenomeni di inflazione monetaria.
Sul primo punto l’esigenza, che riguarda tanto la committenza all’atto della messa in gara della commessa e della valutazione di congruità dell’offerta formulata dagli operatori economici quanto la libertà di questi ultimi di optare per l’applicazione di tutele equivalenti, comunque garantite dal fatto di doversi riferire a contratti collettivi definiti sempre a livello di contrattazione nazionale, da applicare allo stesso modo anche per i subappalti, viene rimarcata dal Senato soprattutto nel senso che i contratti collettivi utilizzabili debbano essere (solo) quelli sottoscritti congiuntamente dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative a livello nazionale; ciò fermo restando che i parametri di detta maggiore rappresentatività non possono essere definiti dal Codice, con il nuovo allegato I.01 che si vorrebbe introdurre, in quanto fuori delega.
La revisione dei prezzi
In tema di revisione dei prezzi, per regolare la quale lo schema di correttivo prevede un nuovo allegato II.2-bis, il Senato richiede che il riferimento temporale per la decorrenza del relativo calcolo torni ad essere quello dell’offerta, non già l’aggiudicazione, e che siano le parti a regolare le relative modalità di riconoscimento, che peraltro resta necessario, nei confronti dei subappaltatori; dal canto suo la Camera chiede di ridurre l’entità economica dell’alea destinata a gravare sulle imprese in caso di aumenti che superano il 5% dell’importo del contratto, laddove il testo del Governo intende chiarire che solo parte dell’eccedenza rispetto a tale soglia va riconosciuta, lettura che il Consiglio di Stato considera, viceversa, come innovativa e non interpretativa della legislazione attualmente vigente.
La disciplina dei consorzi stabili
Anche la disciplina dei consorzi stabili è tra quelle prioritarie nel parere del Senato, posto che mentre lo schema di correttivo intende abrogare la regola del cosiddetto cumulo alla rinfusa, tornando all’impostazione secondo la quale il consorziato esecutore deve comunque essere qualificato in proprio per le prestazioni che è incaricato di eseguire, i pareri parlamentari propongono l’introduzione di un periodo transitorio di cinque anni, nel corso dei quali sopravvive, in alternativa alla qualificazione in proprio, l’attuale regime di qualificazione del cumulo dei requisiti, per poi passarsi definitivamente alla sola qualificazione in proprio, aggiungendovi peraltro la possibilità, per lo stesso consorzio, di utilizzare ai fini della qualificazione SOA referenze risalenti fino ai precedenti 15 anni.
L’applicazione di penali
In linea con quanto rilevato dal Consiglio di Stato, il Senato richiede di eliminare la modifica che il testo del Governo intende portare alla disciplina delle cause di esclusione delle imprese dalle gare, con ciò consentendo alle amministrazioni di considerare l’applicazione delle penali pari o superiori al 2 per cento dell’ammontare netto contrattuale, lasciando immutato il testo originario; ciò oltre a far valere, in generale, come mezzo di prova, un accertamento giudiziale di carattere, se non definitivo, almeno di primo grado, accompagnato da un obbligo di motivazione robusto e puntuale.
Partenariato pubblico privato ed equo compenso
Circa la riscrittura delle regole che consentono ai privati di candidarsi alla realizzazione di opere o servizi in regime di partenariato pubblico privato, opzione che il Governo intende valorizzare, il punto riguarda da un lato le garanzie da riconoscere ai promotori tramite il diritto di prelazione, da utilizzare all’atto della successiva messa in gara della proposta ritenuta di interesse; dall’altro le istanze comunitarie che mirano a sottoporre a confronto di mercato anche l’attribuzione di tale diritto.
Ne discende la proposta del Governo di introdurre un regime di evidenza pubblica, che Consiglio di Stato ed Anac tendono a trasformare in una vera e propria seconda gara, e che il Senato, viceversa, chiede di modificare in senso opposto, dando notizia al mercato della proposta ricevuta solo con indicazioni minime e prevedendo la prelazione solo per il promotore, non anche per gli eventuali proponenti ipotesi alternative ancorché finalmente valutate queste ultime come d’interesse.
Sullo spinoso tema riguardante l’equo compenso per le prestazioni professionali, specie per ciò che attiene le progettazioni, la soluzione proposta dal Governo e confermata dal Consiglio di Stato che peraltro la legge nel segno dell’inapplicabilità dell’intera legge 49 del 2023 ai contratti pubblici, ciò che evidentemente lascia scoperte le altre prestazioni professionali, alcune critiche vengono sollevate dal Senato, qui peraltro in modo non vincolante; l’osservazione è che la soluzione proposta rischia, nelle procedure sottosoglia di azzerare la rilevanza dell’offerta economica; per quelle soprasoglia di favorire il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, dato che tale procedura non è prevista negli altri Paesi dell’UE e potrebbe risultare pregiudizievole della concorrenza, tenuto conto anche dei principi espressi nella sentenza del 25 gennaio 2024 (C-438/22) che ha sancito l’illegittimità di regolamenti che fissano importi minimi inderogabili per i professionisti.
Digitalizzazione dei contratti pubblici
Venendo all’opzione digitale per la gestione dell’intero ambito della contrattualistica pubblica, dal l’affidamento dei contratti alla loro esecuzione, passando per la progettazione e l’intero ciclo manutentivo dell’investimento realizzato, la conferma dell’opzione di base registra da un lato il suggerimento parlamentare di elevare a ben 4 milioni di euro il valore già raddoppiato rispetto al limite di 1 milione destinato ad operare dal primo gennaio 2025 indicata dal Consiglio di Stato; d’altro canto, sulla prevalenza delle regole di interoperabilità dei dati da rendere disponibili dalle Autorità certificanti per consentire la formazione e la piena operatività del Fascicolo virtuale dell’Operatore economico (c.d. FVOE) il punto di vista è univoco in ordine all’esigenza di garantirla, ma sorge divergenza tra Consiglio di stato e Governo sulla formula giuridica più idonea a renderla effettiva.
Come funziona l’accordo di collaborazione plurilaterale
Una significativa presa di distanza la si registra, infine, sull’innovativa figura dell’accordo di collaborazione plurilaterale, modello contrattuale che il Governo intende tipizzare nel senso che “le parti coinvolte in misura significativa nella fase di esecuzione possono disciplinare, anche con l’introduzione di misure premiali, le forme, le modalità e gli obiettivi della reciproca collaborazione e definire i meccanismi di esame contestuale degli interessi pubblici e privati coinvolti. L’oggettiva complessità, e conseguente inevitabile onerosità, di elaborazione e gestione di un tale accordo, portano, secondo il Consiglio di Stato, alla conclusione di una forte incertezza circa la sua adeguatezza nell’apportare un quid migliorativo nella gestione esecutiva dei contratti, ragion per cui, allo stato, l’indicazione è di espungere la relativa previsione dal correttivo.
Come si vede trattasi di una serie di elementi che, insieme ad altre ulteriori istanze, lungi dal voler rimettere in discussione scelte decisamente innovative compiute poco più di 18 mesi fa, e non smentite dallo schema predisposto dal Governo, intendono migliorare anche solo chiarendolo il quadro legislativo di riferimento.
Nonostante la mole dei commenti raccolti e delle modifiche che verranno alla fine introdotte possiamo senz’altro dire che nessuno di queste tocca i principi su cui il nuovo codice si fonda trattandosi semmai di visioni diverse su questioni specifiche peraltro di rilevo sul piano operativo.
Restiamo in attesa di conoscere l’esito finale del correttivo.