“L’America innova, la Cina copia, l’Europa regola.” Questo aforisma, spesso citato nei dibattiti dedicati all’innovazione in materia di governance tecnologica, esprime efficacemente e con estrema chiarezza quale ruolo sta cercando di assumere l’Unione Europea nel settore digitale: non un attore che compete sull’innovazione tecnologica tout court, né un mero emulatore, ma un vero e proprio custode dei diritti fondamentali, a presidio della privacy secondo una visione etica delineata per garantire il corretto trattamento dei dati.
L’articolo 48 del Gdpr
L’art 48 del GDPR, nelle sue più recenti interpretazioni e applicazioni, esprime un simile approccio regolatorio, affrontando uno dei nodi più complessi e critici in materia di protezione dei dati personali: i trasferimenti internazionali verso Paesi terzi e le richieste d’accesso da parte delle competenti autorità.
In tale prospettiva, proprio nel panorama odierno, infatti, l’utilizzo extra-europeo dei dati personali rappresenta una delle principali sfide per aziende, istituzioni e regolatori.
Le disposizioni dell’articolo 48
Entrando nel merito della fattispecie positivizzata dal legislatore, è anzitutto opportuno segnalare che l’esaminando art 48 del GDPR sancisce che i trasferimenti verso un Paese terzo o un’organizzazione internazionale possono avvenire solo nel rispetto della relativa disciplina che, nel prevedere specifiche garanzie, preclude qualsiasi richiesta proveniente da autorità giudiziarie o amministrative di Paesi terzi senza la preventiva definizione di accordi internazionali validamente sottoscritti dall’Unione Europea, come ad esempio i trattati di mutua assistenza legale.
Le nuove linee guida dell’Edpb
La norma menzionata, già di per sé rivoluzionaria sin dal momento della sua introduzione con l’entrata in vigore del GDPR, diventa sempre più centrale grazie alle linee guida recentemente pubblicate dal Comitato Europeo per la Protezione dei Dati (EDPB): nel documento, infatti, il Comitato chiarisce con maggiore precisione i requisiti e le condizioni per rispondere a richieste di accesso da parte di Paesi terzi, sottolineando la necessità di rispettare il diritto dell’Unione e di garantire che il trasferimento avvenga solo in presenza di un livello di protezione equivalente a quello offerto dall’ordinamento eurounitario.
Conflitti regolatori tra Ue e Usa
Un esempio paradigmatico delle tensioni regolatorie che l’art 48 mira a governare è rappresentato dall’esigenza di trovare un’efficace soluzione pratica di compatibilità giuridica rispetto alle differenti normative stabilite negli USA, ove il Cloud Act consente alle autorità americane di richiedere dati personali detenuti da fornitori di servizi digitali anche se questi ultimi si trovano al di fuori del territorio statunitense, alla luce di un’impostazione che, pur rispondendo a obiettivi primari di sicurezza nazionale e investigazione, si è spesso scontrata con il rigore delle norme europee, come evidenziato dalla sentenza Schrems II che ha invalidato il Privacy Shield.
Esempi di normative cinesi e giapponesi
Ma il caso statunitense non è l’unico che merita attenzione.
In Cina, ad esempio, la Cybersecurity Law impone obblighi stringenti a carico dei fornitori di servizi cloud e dei gestori delle piattaforme digitali, richiedendo di conservare i dati sensibili all’interno del territorio nazionale e di garantirne l’accesso alle autorità cinesi in caso di necessità. Tale approccio, volto a preservare la sovranità digitale di Pechino, si pone in netto contrasto con il principio europeo di libera circolazione dei dati secondo gli standard di salvaguardia prescritti dal GDPR.
In altri casi, invece, si è cercato di realizzare un maggiore avvicinamento alla normativa euro-unitaria di riferimento. Infatti, grazie a un accordo di adeguatezza con l’Unione Europea, il Giappone ha introdotto una serie di riforme in materia di protezione dei dati personali (APPI), garantendo un livello di tutela considerato equivalente a quello previsto dal GDPR, mediante un modello di cooperazione che potrebbe essere – si auspica – replicato.
Il Data Privacy Framework
Un ulteriore strumento introdotto per affrontare le difficoltà dei trasferimenti transatlantici è il Data Privacy Framework, recentemente approvato per regolare lo scambio di dati tra l’UE e gli Stati Uniti. In realtà, tale quadro normativo è stato concepito per superare i limiti del Privacy Shield – appunto invalidato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea – al fine di introdurre nuovi meccanismi di ricorso per i cittadini europei, nell’ottica di rafforzare gli obblighi per le aziende statunitensi, assicurando il rispetto dei principi di minimizzazione e limitazione delle finalità.
I dubbi sull’efficacia delle garanzie statunitensi
Tuttavia, come spesso capita quando si cerca di fornire una chiave interpretativa per ricostruire l’esatta portata applicativa delle normative statunitensi riferibili al settore dell’innovazione tecnologica e della privacy digitale rispetto al panorama euro-unitario, anche in questo caso permangono dubbi significativi sulla reale efficacia di tali garanzie, con particolare riferimento, ad esempio, al regime di indipendenza del Data Protection Review Court, un organismo istituito per ricevere e decidere i reclami dei cittadini europei ma, invero, ritenuto troppo legato alle strutture governative USA, nonché privo di adeguati standard di trasparenza nei suoi procedimenti interni.
Impatto globale e sfide normative
È chiaro, quindi, come un simile ecosistema, destinato ad avere ripercussioni generali su scala planetaria, presenti non poche difficoltà, risultando oltremodo problematico conciliare differenti approcci normativi: da un lato, infatti, l’Unione Europea insiste su una protezione rigorosa dei diritti individuali, fondata sul GDPR; dall’altro, negli Stati Uniti, la sicurezza nazionale e le esigenze di sorveglianza, sancite da normative come il CLOUD Act, possono prevalere sulla tutela della privacy.
La sfida, pertanto, rimane quella di garantire un impatto efficace delle normative, (ancorché differenti in quanto espressione di diverse visioni), sulla concreta prassi, affinché strumenti come il Data Privacy Framework non si limitino a miglioramenti formali, ma possano realmente rappresentare interventi di salvaguardia sostanziale dei diritti fondamentali, senza compromettere la cooperazione internazionale.
Il sigillo di protezione dei dati
Nel dettaglio, di sicuro, una delle risposte più interessanti offerte dal GDPR per rafforzare i meccanismi di conformità e fiducia nei trasferimenti internazionali è il sigillo di protezione dei dati, previsto dall’art 42. Si tratta di un sistema di certificazione, ora più che mai rilevante, che permette alle organizzazioni di dimostrare non solo il rispetto delle norme europee, ma anche l’adozione di pratiche e strumenti avanzati per gestire le richieste provenienti da Paesi terzi.
Il sigillo non si limita, infatti, a costituire un semplice bollino di qualità, dal momento che non solo opera come garanzia per gli utenti e le autorità di controllo, assicurando che l’organizzazione abbia implementato misure adeguate a proteggere i dati personali, ma assurge a potente strumento di posizionamento competitivo, soprattutto in un mercato globale sempre più attento alla tutela della privacy e della sicurezza informatica.
Il ruolo dell’Europa come innovativo modello regolatorio
In conclusione, le nuove disposizioni dell’art 48, in combinato disposto con l’adozione del sigillo di protezione dei dati, confermano il ruolo guida trainante dell’Europa come innovativo modello regolatorio che sta emergendo nel panorama mondiale, sebbene, non sia di certo un approccio privo di sfide: non si pone soltanto la necessità di proteggere con rigore i diritti dei cittadini; ma vi è, altresì, l’esigenza di non ostacolare l’innovazione, né di isolare il mercato europeo in un’epoca in cui la cooperazione internazionale è imprescindibile.
Il recente documento dell’EDPB può essere considerato un passo significativo verso tale direzione, fornendo orientamenti pratici e strategie concrete per gestire le richieste di accesso ai dati in modo conforme alle prescrizioni legislative vigenti in materia.
Di fronte a simili sfide, l’Unione europea deve continuare a rafforzare i meccanismi di dialogo con altre potenze tecnologiche mondiali, cercando di armonizzare le proprie norme senza sacrificare i suoi valori fondamentali. In questo senso, l’art. 48 GDPR è un esempio di come l’ordinamento euro-unitario possa farsi garante di un equilibrio delicato ma essenziale: quello tra il diritto alla privacy e le esigenze di cooperazione sottese alla globalizzazione digitale.
Rimane però una domanda cruciale: l’Europa sarà in grado di mantenere il suo ruolo di guida, continuando a innovare sul versante regolatorio, senza soccombere alle pressioni delle altre superpotenze digitali? E fino a che punto i nuovi strumenti, come il sigillo di protezione dei dati, sapranno rafforzare la fiducia degli utenti e garantire la sovranità digitale in un contesto globale sempre più complesso?