Dicembre è il mese in cui tradizionalmente pubblichiamo l’Osservatorio delle Competenze digitali, un appuntamento importante perché fotografa l’andamento del Digitale dal punto di vista delle competenze e del mercato del lavoro. Un tema che mi sta particolarmente a cuore, perché esce dalla freddezza dei soli numeri per parlare finalmente del “fattore umano”.
In gioco non c’è solo il business delle imprese, ma anche il disegno di un futuro soddisfacente per le nuove generazioni. Le competenze digitali sono il vero motore della trasformazione che stiamo vivendo, ma in Italia c’è un gap persistente, che si traduce in una mancanza di lavoratori skillati e in una penalizzazione in modo particolare per le micro, piccole e medie imprese. Vediamo come.
I numeri del problema
I dati parlano chiaro. In Italia, meno della metà della popolazione in età lavorativa possiede competenze digitali di base, e solo il 22% arriva a un livello avanzato, contro una media europea ben superiore. La punta dell’iceberg del problema è quella degli Operatori del Made in Italy digitale: pur prevedendo di aumentare il personale nel 92% dei casi, segnalano che quasi il 40% fatica a trovare professionisti qualificati.
La domanda di profili ICT è trasversale a tutti i settori, con oltre 184mila annunci di lavoro pubblicati in meno di due anni. Tra i ruoli più ricercati, spiccano il Web Developer (oltre 21.800 annunci) e gli Sviluppatori Software, ma anche Data Analyst e figure di supporto tecnico come lo Specialista IT. Le competenze chiave includono SQL – richiesto in quasi 25mila annunci – e linguaggi di programmazione come Java, Python e JavaScript. Cresce anche la domanda di soft skill: oltre 15mila annunci citano il Project Management come una competenza fondamentale, segnalando la necessità di figure capaci di coniugare abilità tecniche e organizzative.
Il dato allarmante è che il nostro sistema formativo non produce abbastanza laureati in ambito ICT: appena il 6% del totale. Questa carenza genera un circolo vizioso. Le grandi imprese, grazie alle academy interne, riescono in parte a colmare il gap, ma le PMI – che sono la spina dorsale del nostro tessuto produttivo – non hanno né i mezzi né il tempo per sopperire a questa mancanza.
Scuola e orientamento: serve una riforma radicale
Il problema delle competenze digitali parte dalla scuola. Serve una riforma radicale, che introduca il digitale fin dalla primaria e lo renda una parte centrale del percorso scolastico. Ma soprattutto, occorre rivoluzionare il sistema di orientamento, che è obsoleto, disconnesso dalle reali esigenze del mercato. Non prepara i giovani alle professioni del futuro e spesso perpetua pregiudizi culturali e di genere che penalizzano l’accesso alle discipline STEM. Dobbiamo superare l’idea che alcune carriere siano “per pochi” e mostrare come le professioni tecnologiche possano offrire opportunità concrete e durature. Propongo di creare percorsi di orientamento integrati con le aziende, in grado di fornire ai ragazzi e alle ragazze un quadro delle applicazioni del digitale esistenti e future, e delle prospettive occupazionali. Questo significa coinvolgere attivamente il mondo produttivo, con job days dedicati alle PMI e strumenti innovativi per avvicinare i giovani al mercato del lavoro.
Lauree triennali specialistiche: una risposta concreta
Un altro punto su cui insisto da tempo è la necessità di ripensare l’Università. Oggi, molte competenze richieste dalle imprese si sviluppano solo con percorsi di laurea magistrale, allungando i tempi di ingresso nel mondo del lavoro. Dobbiamo invece creare velocemente lauree triennali già specialistiche in ambiti come intelligenza artificiale, data science, cybersecurity. Questi percorsi dovrebbero avere un’impostazione pratica e professionalizzante, collegata direttamente alle esigenze delle imprese. Il problema di fondo è il tempo: ci vogliono anni per progettare un percorso di laurea, e 3+2 anni per avere dei giovani preparati: nel frattempo il mondo tecnologico ha già reso obsoleti i programmi e le imprese nel frattempo restano senza competenze.
Il caso delle scuole e il PNRR: una lezione da imparare
La disconnessione tra norme, burocrazia e realtà è evidente anche in casi recenti, come la gestione dei fondi del PNRR per il progetto Scuola 4.0, che ha come obiettivo la digitalizzazione degli istituti scolastici attraverso interventi come le “Next Generation Classrooms” e i “Next Generation Labs”. Molti istituti scolastici, pur avendo ricevuto i finanziamenti, non sono stati in grado di rispettare le tempistiche previste per il pagamento dei fornitori ICT, causando problemi enormi alle PMI coinvolte. In alcuni casi, le scuole hanno rifiutato fatture perché prive delle competenze necessarie per gestire i collaudi; in altri, non sono stati accettati pagamenti parziali o in avanzamento lavori, come pure previsto dalle normative. Questi ritardi hanno costretto molte PMI a sostenere sanzioni e interessi bancari, minando la loro sostenibilità economica. Dobbiamo imparare da questa esperienza. Il mondo produttivo italiano, in particolare le PMI, non può essere lasciato solo a fronteggiare ritardi e inefficienze di sistema. Se vogliamo che i fondi del PNRR generino il massimo impatto, è indispensabile stabilire meccanismi di controllo più stringenti e un dialogo costante tra il mondo delle imprese e le istituzioni.
Le nostre proposte per un futuro digitale
Come Assintel, proponiamo un piano d’azione concreto per affrontare queste sfide. Eccone una sintesi:
- Riformare l’orientamento scolastico, collegandolo alle esigenze del mercato e superando i pregiudizi culturali e di genere
- Introdurre progressivamente percorsi STEM già dalla scuola primaria, per avvicinare i giovani al digitale fin da piccoli
- Creare lauree triennali specialistiche, con un focus su competenze richieste dalle imprese
- Incentivare la formazione continua, con fondi dedicati al reskilling e all’upskilling dei lavoratori
- Sostenere finanziariamente le academy delle grandi imprese per aprirle anche ai dipendenti delle PMI, per mettere a fattor comune risorse per formare competenze specialistiche
Il futuro digitale dell’Italia passa dalla capacità di formare e valorizzare le competenze. Le PMI sono il cuore del nostro tessuto produttivo e non possiamo permettere che rimangano indietro. È tempo di agire, con coraggio e visione, per costruire un ecosistema che supporti le imprese e dia ai giovani gli strumenti per affrontare le sfide di domani.