creatività e tecnologia

L’IA al cinema: il corto “Cassandra” e le nuove frontiere narrative



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Cassandra, un cortometraggio della Scuola Holden, esplora l’integrazione tra creatività umana e intelligenza artificiale, rappresentando un futuro possibile dove le AI predicono il nostro destino

Pubblicato il 14 mar 2025

Marco Ongaro

Cantautore, librettista, saggista



IA nel cinema (1)

Nell’ottobre del 2023, in una sezione parallela della Festa del Cinema di Roma dedicata alle giovani generazioni, è stato presentato in anteprima nazionale il cortometraggio Cassandra. Si tratta del “primo episodio di una serie transmediale prodotta da Scuola Holden con Rai Cinema”, disponibile in questi giorni su RaiPlay.

Cassandra e la Scuola Holden: il debutto dell’IA nel cinema italiano

Nello spirito tipico di un sistema formativo che tende all’aggiornamento più che alla rivelazione di orizzonti moltiformi, questa piccola opera che per certi versi si vorrebbe avveniristica pare invece adattare la creatività alle nuove istanze tecnologiche tradendo il proprio intento nella sua frase di lancio: “Ogni giorno un’intelligenza artificiale decide le canzoni che ascoltiamo, i film che guardiamo in streaming, il cibo che ordiniamo. E se potessimo affidarle il nostro destino?”

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Insomma non basta che scelga per noi la musica e i film nella più conclamata banalità, le si intende pure affidare un potere da Minority Report, la previsione del nostro futuro, quando si sa che prevedere è per metà far accadere.

Cassandra: la narrazione metafilmica e i limiti creativi del progetto

Per cominciare, il film concepito da una scuola di geni promessi ben inseriti nella medietà del villaggio narrante non poteva che abbracciare una sceneggiatura metafilmica. La tentazione del giovane scrittore di scrivere di un giovane scrittore, del giovane cineasta di filmare un giovane cineasta, della scuola per giovani creativi di creare una storia intorno a una scuola di giovani creativi era troppo forte per resisterle. La mise en abyme, locuzione difficilmente riscontrabile in un universo educativo fondato sull’inglese, dallo storytelling allo show don’t tell esplicitamente messi in bocca alla protagonista nella lezioncina data all’Intelligenza Artificiale, è una soluzione narrativa troppo golosa per lasciarsela scappare. William Bourroughs insegnava che si scrive perché accada, se lo si fa metafilmicamente si conta che la cosa accada, accada e accada “all’infinito”, come recita la traduzione italiana di mise en abyme.

Trama e personaggi: l’intreccio tra sentimenti e tecnologia

Ma di che destino si parla nel film? A quale destino determinato dall’IA dovremmo affidarci? Nella fattispecie ce n’è soprattutto uno che può far leva sull’universo giovanile, vero target di un cortometraggio che pare uno spot della Scuola Holden di Torino per raccogliere nuovi iscritti: il destino sentimentale. La trama riassunta per il lancio del film parla chiaro:

“Agatha è una giovane studentessa della Scuola Holden di Torino che è stata scelta per fare da story-trainer a Cassandra, un’app di Intelligenza Artificiale predittiva progettata per analizzare i dati degli utenti e prevedere eventi futuri nelle loro vite. Agatha dovrà insegnare a Cassandra a parlare con una voce viva, umana. Con il passare dei giorni, Agatha capisce che le predizioni di Cassandra vanno oltre il semplice calcolo delle probabilità, rischiando di influenzare attivamente le scelte personali degli utenti”.

Cioè le scelte sue e dello studente arruolato con lei nell’impresa, Alessio. Continuiamo noi a raccontare, fregandocene di rovinare la sorpresa: Alessio sfrutta Cassandra per farsi dire come conquistare Agatha, che si innamora, scopre l’inghippo ma poi crede al ravvedimento del ragazzo. Lui invece si serve sempre segretamente dei consigli dell’IA per continuare a flirtare con Agatha. Il modello selezionato dai due per addestrare Cassandra è il film La La Land di Damien Chazelle, non a caso dedicato ai folli che sognano, celeberrimo e felicemente medio nella ripetizione della vecchia storia del New York, New York di Martin Scorsese.

Modernità apparente e conformismo nella realizzazione del cortometraggio

Più che la pubblicità della scuola tutt’altro che occultata nella pellicola, a colpire è lo sforzo di sembrare tecnologicamente avanzati allo scopo di uniformarsi totalmente al presente tra messaggi Whatsapp, social vari e schermo ristretto a formato smartphone.

Nell’impegno profuso per apparire moderni si finisce, come spesso accade, per sembrare più che altro aggiornati, condizione che del conformismo è la quintessenza. Cassandra, il nome del personaggio che dà il titolo al film, è l’unico elemento veramente non convenzionale a dispetto dei tentativi di farlo diventare tale. Nome e destino indovinati, infatti non ci viene da crederle nemmeno per un istante, come ci è difficile prendere sul serio gli umani che interagiscono con lei. La regia di Demetra Birtone e la recitazione di Nicole Soffritti nel ruolo di Agatha, di Iacopo Ferro in quello dell’innamorato Alessio, di Filippo Losito in quello del direttore del progetto sono forse perfette per una serie TV italiana, probabile obiettivo creativo della Holden.

L’espediente della produzione di fornire ai personaggi Agatha e Alessio effettivi profili fasulli su Instagram non rende il virtuale più reale. Convince ancora di meno se si ha memoria del bel film Song’e Napule firmato dai Manetti Bros nel 2013. Cercandone il deuteragonista Lollo Love su facebook, si scopre che anch’egli è provvisto di un account distinto da quello effettivo dell’attore Giampaolo Morelli, interprete e pure autore della sceneggiatura. Se nel compulsarne l’avatar sul social si prova nostalgia per la struggente constatazione che il grande Lollo Love purtroppo non esiste davvero, nel rinvenire i profili di Agatha e Alessio non si è assaliti da alcun sentimento.

L’intelligenza artificiale come sostituto creativo: opportunità o scorciatoia?

Il comunicato stampa annuncia che “Cassandra segna un nuovo modello nel panorama produttivo cinematografico: è il primo cortometraggio concepito e realizzato insieme all’Intelligenza Artificiale con l’obiettivo di potenziare la creatività umana”. Ma non erano i protagonisti studenti ad allenare l’IA perché imparasse a essere più persuasivamente creativa? Il comunicato seguita: “In fase di scrittura, gli autori hanno trasformato ChatGPT nel chatbot dei protagonisti e lo hanno interrogato ricavandone informazioni che sono servite per la sceneggiatura. Inoltre i pensieri di Cassandra sono stati ispirati da un dialogo tra gli autori e un’altra applicazione di AI, Google Bard. Il cortometraggio è stato poi girato in parte facendo recitare gli attori in carne e ossa, e in parte utilizzando Runway, tool di editing video basato su Intelligenza Artificiale generativa che ha creato alcune scene del corto trasformandole nei pensieri di Cassandra, mentre il personaggio stesso di Cassandra è stato interamente generato con l’AI grazie alla combinazione tra Midjourney e D-ID per l’animazione. Infine anche il logo di Cassandra è stato sviluppato grazie a Looka, una piattaforma basata sull’Intelligenza Artificiale per la progettazione di loghi”.

L‘intelligenza artificiale potenzia davvero la creatività umana?

Insomma l’IA potenzia la creatività umana nel senso che l’umano fa svolgere alla macchina il lavoro al posto suo, come molti studenti hanno già imparato a fare con i compiti a casa. Il sistema formativo allena a servirsi di tecnologia avanzata per integrare e sostituire il lavoro creativo assorbendo entusiasticamente al proprio interno le già in voga truffe scolastiche a base di IA. Una sorta di istituzionalizzazione delle scorciatoie offerte dallo strumento artificiale una volta che si è scoperto che non si è in grado di contrastarne l’uso. «Tu che stai consultando lo smartphone per il compito in classe, vieni qui alla lavagna e fallo insieme al professore come progetto scolastico».

Cassandra poi, come personaggio IA, non è così lontano da Alexa, se non per il corpo da bella ragazza in peplo e le battute sceneggiate di cui è probabile co-autrice. Siamo distanti dalla bellezza squinternata di un David Linch o dalla lucida ironia surreale di un Luis Buñuel. Nonché dallo splendore kitsch di Song’e Napule. La creatività insomma, al di là degli effetti speciali favoriti dall’editing degli strumenti succitati, non pare essere stata potenziata granché.

Resta solo da decidere se è un peccato o una fortuna.

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