Quando ero all’asilo, nel quindicesimo secolo, capitava che il bulletto di turno ti desse dello scemo. Siccome venivamo cresciuti come ragazzini ammodo, puntualmente si rispondeva “specchio riflesso, chi lo dice sa di esserlo”.
Indice degli argomenti
La psicologia della proiezione: dal bullismo infantile alle relazioni internazionali
Erano tempi fantastici, avevamo lo sviluppo cognitivo di uno scoiattolo. Non avevamo ancora letto Jung, non sapevamo nulla dei meccanismi della proiezione ma riuscivamo già a percepire che spesso chi si lamenta di qualcosa di te, si lamenta di qualcosa *di sé*. E questo non ne fa una bella persona.
Crescendo avremmo imparato che anche ai grandi succede la stessa cosa, e per questo hanno inventato proverbi come “il bue che dà del cornuto all’asino”. E anche in quel caso, non è che il bue ci faccia una gran figura, fermo restando che gli adulti non dovrebbero avere lo sviluppo cognitivo di uno scoiattolo.
Apple vs. UK e libero mercato digitale: la crittografia sacrificata e la battaglia per la privacy
Atto primo. L’Home Secretary britannico, cioè il ministro degli Interni, cioè quello che tempi più semplici chiamavano il Ministro di Polizia, scrive a Apple chiedendo di creare una backdoor nei backup iCloud, in modo tale che UK possa accedere ai contenuti in cloud di chiunque, dovunque, comunque.
Apple non è nuova a questo genere di richieste e si è sempre fatta un punto d’onore di rispondere, *molto pubblicamente*, di no. Ricordate anni fa quando l’FBI andò da Apple perché gli sbloccasse l’iPhone di un presunto terrorista?
Apple fece grandi proclami sull‘importanza di garantire la sacra privacy dei propri clienti, e FBI rispondeva con la sicurezza nazionale, e Apple rilanciava con i diritti fondamentali e “vita, libertà e ricerca della felicità”, mancava solo la foto di Tim Cook nudo avvolto nella bandiera a stelle e strisce.
Insomma ne venne fuori una gran discussione, ovviamente pubblica e tutta a favore di camera. Poi qualche giornale riportò a pagina 25 il coinvolgimento di una sconosciuta aziendina di hacker israeliani, e curiosamente il problema svanì nel nulla da un giorno all’altro.
E quindi un paio di settimane fa l’Home Secretary britannico ha chiesto una backdoor anche lui, vai con un altro giro di giostra.
Curiosamente la richiesta, coperta da segreto, è uscita sui media.
Questa volta Apple prima ha risposto che una backdoor del genere avrebbe messo a rischio la sicurezza e i dati di chiunque usi iCloud, e poi senza battere ciglio ha rimosso la E2EE.
Il che, nel mondo di oggi, equivale a dire “io i dati domattina li metto in cassaforte, ma siccome siamo a fine giornata li lascio appoggiati qui sul tavolo, fate i bravi eh”.
E fin qui saremmo nel novero della normalità. Le aziende del tech amano i proclami eroici a favore di camera, salvo poi, lontano dai riflettori, fare quello che gli serve per vendere. Vedere alla voce Cina. Ma, appunto, la storia non finisce qui.
La doppia morale americana sulla sorveglianza digitale nel mercato digitale
Siccome Apple è una azienda USA e la richiesta di backdoor non veniva dagli USA, ma da un governo straniero, un senatore e un deputato americani l’hanno presa sul personale e hanno scritto a Tulsi Gabbard, neodirettore dell’Office of National Intelligence, e per far capire che non scherzano hanno messo in cc l’ambasciatore inglese negli States.
Sentite come aprono il senatore Ron Wyden e il deputato Andy Biggs:
“Le scriviamo per esortarla ad agire con decisione per proteggere la sicurezza delle comunicazioni degli americani da ‘pericolosi e poco lungimiranti sforzi del Regno Unito (U.K.) che mineranno i diritti’ alla privacy degli americani e li esporranno allo spionaggio da parte di Cina, Russia e altri avversari.
Secondo recenti notizie di stampa, il mese scorso il Ministro degli Interni del Regno Unito ha notificato ad Apple un ordine segreto che ordina all’azienda di indebolire la sicurezza del suo servizio di backup iCloud per facilitare lo spionaggio governativo.
Secondo quanto riferito, l’ordine prevede che l’azienda indebolisca la crittografia del suo servizio di backup iCloud, dando al governo britannico la ‘possibilità di accedere ai file crittografati dei clienti’. L’ordine sarebbe stato emesso in base all’Investigatory Powers Act 2016 del Regno Unito, che ‘non richiede l’approvazione di un giudice’.
Secondo quanto riferito, ‘Apple ha il divieto di riconoscere di aver ricevuto tale ordine’ e l’azienda rischia sanzioni penali che le impediscono anche solo di confermare al Congresso degli Stati Uniti l’accuratezza di queste notizie di stampa.
Apple non produce versioni diverse del suo software di crittografia per ogni mercato; ‘i clienti di Apple nel Regno Unito utilizzano lo stesso software degli americani’. Se Apple è costretta a inserire una ‘backdoor’ nei suoi prodotti, questa ‘finirà nei telefoni, nei tablet e nei computer degli americani, minando la sicurezza dei dati dei cittadini e delle innumerevoli agenzie governative’ federali, statali e locali che affidano dati sensibili ai prodotti Apple.
L’hacking da parte di Salt Typhoon dei sistemi di intercettazione dei gestori telefonici statunitensi avvenuto lo scorso anno – in cui le chiamate del Presidente Trump e del Vicepresidente Vance sono state intercettate dalla Cina – fornisce un esempio perfetto dei pericoli delle backdoor di sorveglianza”.
OK, lo so, sembra scritto da un autore satirico. Però è tutto vero.
Vediamo nel dettaglio:
- “pericolosi e poco lungimiranti sforzi del Regno Unito (U.K.) che mineranno i diritti”; verissimo. Chiunque inserisca una backdoor pensando che solo i “buoni” potranno servirsene è un imbecille, o un incompetente, o entrambe le cose. Indovinate chi continua a chiedere a Big Tech di mettere delle backdoor? Lo zio Sam.
- “un ordine segreto… che non richiede l’approvazione di un giudice […] l’azienda rischia sanzioni penali che le impediscono anche solo di confermare al Congresso degli Stati Uniti l’accuratezza di queste notizie di stampa.” Esatto. L’ordine è stato emesso secondo lo UK Investigatory Powers Act 2016. Che prevede l’emissione da parte del governo UK di ordini segreti relativi a generiche esigenze investigative, cioè senza un contesto delimitato, e senza una supervisione giudiziaria.
Voi non l’avete già sentita questa? Bravi, si chiama Us Cloud Act. Oh certo il Cloud Act prevede la supervisione e la firma di una corte. Si chiamano corti FISA, e sono anche loro segrete, e sono famose per firmare qualsiasi richiesta a prescindere. È perfino poetico che a questo punto Tulsi Gabbard risponde “Non sono stata messa al corrente di questa richiesta, né da parte del governo britannico né di Apple, prima che venisse riportata dai media.” Danno fastidio le richieste segrete, eh?
Ma andiamo avanti.
- “I clienti di Apple nel Regno Unito utilizzano lo stesso software degli americani” e anche tutti gli altri, grazie. Questo è esattamente quello che gli attivisti dei diritti digitali ripetono da sempre. O un canale di comunicazione è sicuro, e lo è per tutti, oppure non lo è per nessuno. Ma gli USA sono convinti di poter essere i soli a mettere e usare delle backdoor.
- “L’hacking da parte di Salt Typhoon dei sistemi di intercettazione dei gestori telefonici statunitensi avvenuto lo scorso anno – in cui le chiamate del Presidente Trump e del Vicepresidente Vance sono state intercettate dalla Cina – fornisce un esempio perfetto dei pericoli delle backdoor di sorveglianza.” Prima cosa: Salt Typhoon ha hackerato dei sistemi di intercettazione. Cioè ha usato delle backdoor che gli americani volevano usare da soli. E quanto alle backdoor, qualcuno si ricorda di come NSA abbia compromesso per anni la compagnia dei telefoni belga? E vogliamo parlare di quando abbiamo scoperto che NSA ascoltava il telefonino di Merkel?
La capacità degli americani di usare la mitica “sicurezza nazionale” per arrogarsi diritti che poi vogliono negare a chiunque altro, come se la sicurezza nazionale fosse solo la loro, è esilarante. Vengono in mente le parole immortali di Alberto Sordi in un film a uno spettatore che fischiava dalla galleria “io non ce l’ho con te, ce l’ho con quello a fianco che non ti ha ancora buttato di sotto.”
E non è ancora finita.
TikTok e il protezionismo tecnologico mascherato da sicurezza nazionale
Atto secondo.
Sappiamo da anni che i social statunitensi servono, volontariamente o involontariamente, da aspirapolvere per le agenzie di intelligence USA.
Poi è arrivato TikTok. E apriti cielo, gli statunitensi hanno scoperto che i social possono servire per raccogliere informazioni. Il problema sembra essere che TikTok non è uscito dalla Silicon Valley.
TiKTok è stato sviluppato da un’azienda cinese, è incorporato nelle Cayman e ha sedi a Singapore e Los Angeles. Ha poi quattro entità negli USA, in Australia, nel Regno Unito, con sussidiarie nell’Unione Europea, e a Singapore.
Ma l’azienda che lo possiede è ByteDance, ed è cinese. Apriti cielo!
Improvvisamente gli statunitensi si sono accorti che anche la Cina quando si tratta di sicurezza nazionale, non scherza. La Cina non ha un analog del Cloud Act, ma le loro leggi sulla cybersecurity sulla protezione dei dati personali, che è perfino più restrittiva del GDPR, hanno ampie eccezioni quando si tratta di accesso da parte delle autorità.
Apriti cielo! Prima Biden e poi Trump si sono stracciati le vesti per impedire che i cinesi possano magari fare agli Usa quello che gli Usa fanno a tutto il resto del mondo.
Il Paese che da ottant’anni la mena al resto del mondo con il primato del libero mercato, se ne esce con l’idea che se TikTok vuole operare negli Usa, deve vendere a un’azienda Usa.
Che di per sé non è un’idea idiota, sia chiaro. Siccome la criticità c’é, io sarei a favore del fatto che Amazon, Apple, Microsoft Facebook e compagnia vendessero ad aziende europee. Quello che fa ridere è che gli Usa si intestardiscono a volere un doppio standard: quello che vale per gli Usa e quello che deve valere per tutti gli altri. E ovviamente quello che deve valere per tutti gli altri lo decidono gli Usa. Pari vinco io, dispari perdi tu. Più libero mercato di così.
E non è finita.
L’ipocrisia di OpenAI contro DeepSeek: copyright violato ma guai a chi lo viola
Atto terzo, Sam Altman.
Sam Altman, e prima di lui Mark Zuckerberg, e poi a seguire tutto il cucuzzaro degli intelligenti artificiali, hanno violato il copyright di tutto il mondo e l’hanno fatta franca, perché loro devono sviluppare l’intelligenza artificiale generale e hanno bisogno di dati.
Di tutti, Altman è quello che riesce meglio a vendere questa fesseria, e infatti quando si parla di IA si parla di openAI.
Ora, se chiunque altro avesse fatto scraping indiscriminato di tutti i contenuti pubblici e non pubblici disponibili su Internet, sarebbe stato incenerito di denunce.
Ma Sam Altman dirige OpenAI, e come lui stesso ha scritto qualche settimana fa loro sono qui per il futuro glorioso, OpenAI non può essere considerata un’azienda come le altre.
Qualche settimana fa, i cinesi hanno tirato fuori DeepSeek, un nuovo modello linguistico che si batte quasi alla pari con quelli più consolidati di OpenAI Google e Anthropic.
La differenza sta nel fatto che, mentre gli intelligenti artificiali statunitensi fanno incetta di GPU, costruiscono data center grandi come città e addirittura comprano centrali nucleari per soddisfare il loro spaventoso bisogno di energia, la Cina è attualmente sotto embargo statunitense e non può ottenere schede grafiche e componenti elettronici di ultima generazione.
Nonostante questi vincoli, sembra che gli ingegneri di DeepSeek siano riusciti a produrre il loro modello con un costo dichiarato di training e di funzionamento 10 o 20 volte inferiore a quello dei concorrenti. E ciononostante riescono comunque a fornire risultati non particolarmente inferiori.
Di fronte a questo, che a tutti gli effetti è uno sbertucciamento pubblico, il nostro Sam Altman non ha trovato di meglio che lamentarsi del fatto che gli ingegneri cinesi, per contenere i costi, potrebbero avere usato per il training le risposte di ChatGPT anziché partire dai dati reperibili su Internet. Il problema sarebbe, che i termini e condizioni d’uso di ChatGPT proibirebbero di usarlo per addestrare altri Chatbot.
Anche il copyright esclude l’utilizzo non autorizzato di materiali protetti per finalità commerciali. E come la mettiamo Sammy?
Perché qui i casi sono due:
- o le regole valgono per tutti, e allora tu e tutti gli altri dovete pagare tutti i contenuti che avete usato illecitamente senza autorizzazione per produrre i vostri generatore di stronzate, senza parlare del fatto che molta gente magari i vostri spicci non li vuole e negherebbe l’accesso ai dati;
- oppure come tu stesso dici è necessario che il tuo abuso venga riconosciuto come fair use, utilizzo lecito, come quando vado in biblioteca e posso leggere un libro senza pagarlo, altrimenti non c’è gara.
Qui veramente siamo in un film di Luciano Salce. Altman ha scritto nella sua ultima proposta per una AI policy che lo scraping generalizzato di openAI e compagnia deve essere considerato fair use, altrimenti si favorisce la Cina e le IA cinesi.
Quindi, OpenAI deve avere accesso libero e gratuito ai dati di chiunque perché sennò non possono competere con i modelli cinesi. Però allo stesso tempo i cinesi non possono usare chatGPT per produrre DeepSeek perché sono cinesi.
Sono solo io a vedere dei problemi in questa logica?
E non è ancora finita.
FCC vs. DSA: quando le regole “uguali per tutti” vengono tacciate di discriminazione
Quarto, e ultimo atto.
Gira una lettera dove la Federal Communication Commission (FCC) statunitense si esprime contro il Digital Services Act europeo dicendo che rappresenta una penalizzazione delle aziende USA del digitale.
Oh bella.
Io il DSA l’ho letto, e da nessuna parte ho visto nominare Facebook, Amazon, Google, Apple, OpenAI, o Anthropic. E da nessuna parte ho letto “Stati Uniti”.
Invece ho letto cose come “qualunque azienda con un numero di utenti attivi nella UE superiore a 45 milioni”.
Questo perché il Digital Services Act è una legge che vuole garantire che le piattaforme e gli intermediari online di grandi dimensioni, cioè con oltre 45 milioni di utenti attivi nella UE, si assumano delle responsabilità rispetto alla diffusione di contenuti illegali, alla disinformazione, e alla trasparenza delle pubblicità mirate.
Lo devono fare perché la loro dimensione li rende capaci di danni molto più seri a livello sociale rispetto a concorrenti di dimensioni minori.
Quindi certo che rappresenta una penalizzazione per i giganti Usa. Lo fa proprio perché sono dei giganti e perché il mercato deve essere protetto da attori che raggiungono dimensioni eccessive.
Perché in Europa crediamo nel libero mercato, inteso come un mercato dove le regole valgono per tutti.
Invece per gli Stati Uniti libero mercato significa che gli Usa devono essere liberi di fare quel che vogliono sui mercati degli altri, ma ovviamente non viceversa.
Sono solo io a essere stufo dell’ipocrisia e della stupidità di questa gente?