Per mettere a segno gli obiettivi dell’Agenda digitale italiana e allinearli alla roadmap della Digital Agenda europea sono due le grandi aree su cui bisogna concentrare l’attenzione: i servizi pubblici e la qualità dei servizi alle e delle imprese. E le startup possono essere di supporto in entrambi i contesti. Ne è convinta l’associazione Italia Startup secondo cui non solo “sono già numerose le giovani imprese innovative che offrono soluzioni e applicazioni di alto valore e basso costo, alla pubblica amministrazione”, evidenzia il segretario generale Federico Barilli, ma – ancor più importante – “le startup possono giocare un ruolo determinante nell’innovazione dei processi e dei prodotti industriali e del made in Italy, agevolando fra l’altro la creazione di tanti posti di lavoro di qualità”.
“Abbiamo le idee chiare su come proseguire sulla strada avviata”, sottolinea Barilli nel ricordare che Italia Startup ha lavorato a stretto contatto con il governo sin dal 2012, per l’elaborazione del Rapporto “Restart Italia”, da cui sono scaturiti i provvedimenti a sostegno delle nuove imprese innovative nell’ambito del decreto Crescita 2.0. “Bisogna contaminare modelli industriali consolidati con modelli imprenditoriali innovativi, creare posti di lavoro per i giovani, agevolare la collaborazione tra Governo centrale e Governi regionali in tema di sviluppo delle startup – elenca il segretario generale dell’Associazione -. Ci aspettiamo quindi di far parte del tavolo permanente e siamo pronti a portare contributi concreti e di facile attuazione, senza gravare le casse dello stato di oneri rilevanti”.
Secondo l’Associazione la scelta di collocare la cabina di regia a Palazzo Chigi va certamente nella direzione giusta. “Ci vogliono però, come minimo, tre ulteriori ingredienti affinché la regia sia quella auspicata: una forte volontà politica, in capo al Premier, e la task force è a stretto contatto con il Presidente Letta; una capacità di coordinamento, determinata e leggera allo stesso tempo; una visione di alto profilo”. In dettaglio, spiega Barilli, “il programma deve essere chiaro, dotato di risorse adeguate e con le giuste priorità. E ciò che già esiste nelle diverse amministrazioni, centrali e locali deve essere valorizzato e integrato. La fiducia non manca, ma certo il compito è molto impegnativo, a fronte di risorse inevitabilmente contenute”.
E resta aperto anche il tema della governance: “È un tormentone che risale a molti lustri fa – basti pensare a Lucio Stanca, primo Ministro dell’Innovazione italiano, insediatosi nel 2001, cioè circa 50 anni-internet fa. La questione non è di facile soluzione perché comporta una forte regia centrale, con una capacità di coordinamento “intelligente” che comprenda la Pubblica amministrazione centrale, gli enti locali e le imprese, che possono dare visione e slancio alle iniziative”.
A tutto ciò si aggiunge anche il fattore tempo: “Il cambio di Governo ha inevitabilmente creato un periodo di stallo. Ora si tratta di consolidare e accelerare il processo – sottolinea Barilli -. Penso in particolare al decreto attuativo delle norme per stimolare gli investimenti in startup innovative. È un elemento che può accelerare il cambiamento, e che spero il nuovo governo riesca a finalizzare al più presto”.
Barilli punta i riflettori anche sulle esperienze internazionali, che possono e devono fare da modello: “Ci sono paesi che hanno costruito una parte importante del loro successo e della loro competitività sulla creazione di nuove imprese, capaci di portare innovazione in tutto il mercato mondiale”, e fra questi Stati Uniti in primis, ma anche Israele, Corea, Gran Bretagna, “Paesi nei quali la correlazione tra creazione di nuove imprese, sviluppo dell’occupazione e della competitività è misurata ed evidente. Sono le cosiddette startup nations, come lo fu l’Italia anni 60/70 ai tempi del miracolo economico.
Sul “recupero” italiano Barilli si dice fiducioso: “Il nostro Paese ha la possibilità di tornare ad essere una startup nation, ma con un modello diverso rispetto a quello di 40-50 anni fa: creare cioè nuove imprese che aiutino le industrie consolidate ad innovarsi e così facendo abbiano le possibilità di competere sulla scena economica mondiale”. Il progetto è ambizioso e comporta scelte importanti di politica industriale “ma non c’è dubbio- conclude Barilli – che il futuro del nostro sistema economico passa da qui”.