PA DIGITALE

Domicilio digitale, le cose da fare per salvarci da carta e sportelli

Dati i ritardi dell’ANPR, sono necessarie decisioni urgenti che evitino confusione e sprechi e favoriscano la comunicazione digitale tra PA e cittadini

Pubblicato il 27 Apr 2017

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione

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Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate di marzo, con cui si istituisce, di fatto, il “domicilio digitale del contribuente”, è il segnale forte di un rischio incombente per la PA Digitale: mentre si cerca faticosamente di unificare i sistemi di autenticazione e di accesso con Spid, si costruisce la base per una frammentazione del domicilio digitale del cittadino.

Nel nuovo CAD è stato fatto un grave errore progettuale, legando la possibilità per il cittadino di comunicare (una sola volta) il proprio domicilio digitale alla presenza dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente. Senza dispiegamento di quest’ultima, diventa impossibile l’attuazione del domicilio digitale unico. E, sulla base delle ultime previsioni da parte del team Digitale del Commissario Straordinario Piacentini (50% di comuni subentrati in ANPR per la fine del 2018), il domicilio digitale è destinato a non poter essere comunicato e utilizzato per ancora un bel po’ di tempo.

Peccato che, sempre seguendo il CAD, il domicilio digitale sia la condizione base per portare la comunicazione tra PA e cittadini esclusivamente su via telematica.

Insomma, semplificando, niente ANPR significa niente comunicazione telematica e quindi cittadini invasi da lettere e raccomandate, e obbligati a presentarsi agli sportelli, fisici.

Da un lato spinta sui servizi pubblici digitali e su Spid, dall’altro stagnazione cartacea. Pura schizofrenia e spreco, con danno enorme per una transizione difficile verso il digitale che vede l’Italia tra i paesi più arretrati in Europa secondo l’indice DESI (Digital Economy and Society Index) della Commissione Europea.

Il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate ha il merito di cercare di tamponare il buco attuativo derivante dalle scelte operate nel CAD, che non ha previsto una norma transitoria utile ad attivare comunque il domicilio digitale (infatti, esplicitamente il provvedimento dell’Agenzia avvisa che la comunicazione perde efficacia “[..] con la completa attuazione dell’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), comprensiva di domicilio digitale”), e anche di evitare il rischio della duplicazione del domicilio digitale per i professionisti (infatti nel provvedimento si legge che “La comunicazione perde efficacia qualora il soggetto istante, successivamente alla presentazione del modello, diventi titolare di un indirizzo PEC inserito nell’INI-PEC”).

D’altro canto, suona come denuncia di un problema generale e come affermazione della possibilità di adottare soluzioni specifiche, ad hoc per ciascuna PA, ciascuna con un proprio elenco di domicili digitali dei cittadini. In più, identificare la PEC come domicilio digitale del contribuente è una scelta forte, non affermata nel CAD, e in qualche modo in contrasto anche con le scelte operate per la definizione di Spid, dove si ritiene sufficiente un normale indirizzo email, separando il tema del recapito certificato dall’identificazione del domicilio.

Il problema di origine (l’impossibilità di istituire il domicilio digitale) è certamente grave, ed è altrettanto da non sottovalutare la possibile deriva che si prospetta, per la moltiplicazione degli elenchi, oltre che per le differenti scelte che le PA possono operare sull’identificazione del domicilio.

Che fare?

Innanzitutto agire, rapidamente.

Qui alcune proposte per il team Digitale e per AgID:

  1. si metta mano al CAD (come previsto, ad un anno dalla sua approvazione) inserendo una norma transitoria che disciplini l’istituzione del domicilio digitale in assenza di ANPR, tenendo conto delle due proposte successive;
  2. in attesa della modifica al CAD, si accetti come dato di fatto l’istituzione dell’elenco dei domicili digitali da parte dell’Agenzia delle Entrate e si indirizzino le PA a “federarsi”, riconoscendo l’elenco dell’Agenzia delle Entrate come elenco di riferimento a cui i cittadini devono effettuare la comunicazione di domicilio, non solo come “contribuenti”;
  3. si valuti la possibilità di considerare l’indirizzo email comunicato per Spid come indirizzo per il domicilio digitale, rendendo automatica la comunicazione per chi prende le credenziali Spid. Questo richiede certamente delle integrazioni tecniche, oltre che delle concertazioni con le PA, ma rappresenterebbe la scelta più coerente nell’ottica della valorizzazione di Spid.

Importante agire rapidamente, ma anche esplicitare subito il percorso che si vuole intraprendere, proprio per evitare che le PA si sentano in dovere di agire in autonomia e ai cittadini giungano messaggi non sempre chiari e coordinati di una PA che forse si digitalizza, ma certamente, così, continua a confondere e a mostrarsi “complicata”.

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