L’Italia è quarantacinquesima (su 139 Paesi) secondo l’edizione 2016 del Global Information Technology Report del World Economic Forum (Wef), ma fa un salto in avanti notevole, di 10 posizioni, tanto da meritare la qualifica di “top mover”. Un salto che deve molto al miglioramento della percezione che si registra in diversi ambiti (legislativo, sociale, economico, governativo) e poco, molto poco, al miglioramento sugli indicatori oggettivi. Se prendiamo questo dato come “segnale debole” di un progresso in atto, di un miglioramento che si sente, ma ancora non ha dato risultati, è un ottimo dato. Rimane però segnale debole, che ha bisogno ancora di conferme oggettive, di veri risultati conseguiti.
Ma andiamo con ordine.
Indicazioni di tipo generale dal Rapporto
Il Global Information Technology Report del Wef è, come sempre, una buona occasione per fare il punto sullo stato delle politiche di innovazione del nostro Paese. Non si tratta, infatti, di un’analisi mirata esclusivamente su fattori legati all’agenda digitale dei diversi paesi e non si basa soltanto su indicatori ma anche su sondaggi.
In questo senso, il “Networked Readiness Index” del Wef è meno “oggettivo” di indici come il DESI, ma d’altra parte consente di avvalersi anche di considerazioni qualitative che esprimono valutazioni a più ampio raggio di quelle possibili con i dati a disposizione. Tra l’altro, anche il modello dell’Indice, che misura sei “driver” (tre di “readiness” – infrastrutture, competenze, accessibilità-, e tre di “uso” – individui, imprese, settore pubblico) e due “impatti” (economico e sociale), si propone come uno strumento in grado di valutare lo stato complessivo della maturità di un Paese sul fronte dell’innovazione, piuttosto che il semplice stato di digitalizzazione.
Il rapporto 2016 si focalizza sul tema della quarta rivoluzione industriale ed enfatizza il fatto che siamo all’inizio di una “trasformazione globale caratterizzata dalla convergenza di tecnologie digitali, fisiche e biologiche” in modi che stanno cambiando sia il mondo che ci circonda sia la nostra idea di ciò che significa essere umano. I cambiamenti sono storici in termini di dimensioni, velocità e ambito.
Ma la particolarità di questa trasformazione, secondo il rapporto, è che non dipenda da una tecnologia specifica ma dai nuovi modelli e i nuovi sistemi abilitati dalla convergenza e dalla pervasività delle tecnologie, che modificano il modo in cui noi produciamo, consumiamo, comunichiamo, ci muoviamo, generiamo energia e interagiamo tra noi.
Date le nuove competenze in ingegneria genetica e neurotecnologie, questi cambiamenti possono direttamente influenzare “chi siamo, come pensiamo e ci comportiamo”. Questa rivoluzione pone pertanto anche nuove minacce legate ai cambiamenti drastici (disruptions) che possono avere influenza sui mercati del lavoro e sullo stesso futuro del lavoro, sulla disparità di reddito, sulla sicurezza geopolitica, sui sistemi di valori sociali ed etici.
Nel rapporto vengono inoltre evidenziati quattro aspetti chiave rilevati:
- la rivoluzione digitale cambia la natura dell’innovazione. Le tradizionali misurazioni dell’innovazione, basate ad esempio sul numero di brevetti, possono raccogliere solo una parte di quello che davvero sta avvenendo. L’innovazione si manifesta oggi con i nuovi e innovativi modelli di business;
- le imprese si troveranno via via ad affrontare una crescente pressione per innovare continuamente, ed è evidente la correlazione di questa capacità con la presenza di modelli di business basati sull’ICT. I principali sette paesi nella classifica del Wef (Finlandia, Svizzera, Svezia, Israele, Singapore, Paesi Bassi, e Stati Uniti) lo confermano;
- le aziende e i governi non riescono a star dietro (o a porsi come riferimento) ad una popolazione digitale in rapida crescita. Un divario crescente e preoccupante sta sempre più emergendo tra crescita nell’utilizzo individuale delle tecnologie digitali e impegno del settore pubblico nell’economia digitale, deludendo le aspettative della popolazione. I dati suggeriscono anche che l’adozione dell’ICT nel business delle imprese è molto più lento che lo sviluppo delle infrastrutture e delle condizioni che lo abilitano. D’altra parte, la performance della Malaysia (31°) mostra che un intenso impegno governativo sull’agenda digitale crea le condizioni per un sviluppo dell’intero sistema;
- la nuova economia che emerge e di cui si vedono le manifestazioni, richiede innovazioni urgenti in materia di governance e regolazione. Le nuove dinamiche economiche e sociali legate alla trasformazione in atto, configurano i tratti di una economia digitale resiliente, che richiede nuovi tipi di leadership, di governance, e di comportamenti.
Competenze e Governo Agile
Alcune considerazioni dal rapporto mi sembrano particolarmente interessanti:
- continua ad esserci una consistente popolazione offline anche lì dove esistono tutte le condizioni infrastrutturali. Le spiegazioni del perché questo accade si individuano nella mancanza di contenuti pertinenti, di mancanza di piattaforme facili da usare, di servizi utili, di timori di privacy, ma il rapporto esprime l’insoddisfazione sul modo attuale di misurare il fenomeno, cruciale perché davvero si realizzi la quarta rivoluzione industriale (e quindi saranno identificati nuovi indicatori e nuove modalità di misurazione);
- i Paesi hanno bisogno di affrontare la doppia sfida di alzare le competenze dei lavoratori “al limite superiore dello spettro” garantendo che però il resto della popolazione, che è la maggioranza, riceva la formazione necessaria per beneficiare delle opportunità del mondo digitale. In altri termini: le economie dei Paesi hanno bisogno di popolazioni in possesso di adeguata consapevolezza digitale, e quindi devono prendere lo sviluppo delle competenze come parte fondamentale degli investimenti necessari;
- le dinamiche della nuova innovazione e delle nuove economie che stanno emergendo (il cui tratto distintivo è che l’innovazione avviene attraverso nuovi modelli di business) fanno sì che il paradigma dell’agilità, nato in ambito software, possa costituire un riferimento per consentire la costruzione di sistemi di governo più robusti, flessibili e reattivi ai cambiamenti. Questo può essere realizzato passando dalle regole alla definizione degli obiettivi, dal controllo alla partecipazione, dalla pianificazione alla condivisione dei valori, dall’accentramento all’auto-organizzazione. Spunti per “principi di governance agili” sui quali è utile riflettere, in ottica di semplificazione.
La situazione dell’Italia
L’Europa (ma anche le altre regioni) ha uno spettro di prestazioni molto ampio: si va dal secondo posto della Finlandia al 97° Bosnia Erzegovina passando dal 15° della Germania, il 24° della Francia, il 35° della Spagna e il 45° dell’Italia. La Germania in particolare continua ad eccellere su skill e infrastrutture, denunciando qualche ritardo nella trasformazione digitale dell’amministrazione pubblica, mentre la Francia eccelle nei servizi digitali ai cittadini, nelle pratiche di e-participation, anch’essa nella penetrazione della Banda Ultralarga, mentre l’area imprese ha spazi di miglioramento.
Per l’Italia i driver più significativi di miglioramento sono quelli degli Impatti (passa dal 66° al 48° posto) grazie alla percezione notevolmente migliorata sugli ambiti economici e sociali, dovuti al fatto che “il governo italiano ha lanciato un serie di politiche volte a migliorare l’erogazione di servizi on-line ai propri cittadini e la creazione di una migliore ambiente per le start-up e imprese innovative”.
I vincoli chiave che zavorrano l’Italia permangono: si tratta della mancanza di capitale di rischio, e in generale il contesto politico e di business (area “environment”). Qui il paese sembra muoversi nella giusta direzione, migliorando in quasi ogni aspetto del contesto normativo, ma rimane molto al di sotto della media globale.
L’area “readiness” è l’unica a registrare un peggioramento, dovuto in gran parte ad una stasi sul fronte infrastrutturale e di competenze e, a fronte di un miglioramento sulle tariffe, una grave carenza di competizione sul mercato TLC.
L’area “usage” (uso del digitale) vede un lieve miglioramento, non sul fronte individuale, dove i progressi italiani sono ancora troppo lenti, quanto sul fronte delle imprese e delle amministrazioni, dove pesa il miglioramento della percezione complessiva sulle politiche governative. Qui pesa tanto, anche rispetto alle considerazioni fatte sull’importanza di una popolazione consapevolmente online, il fatto che solo una piccola parte degli italiani siano collegati alla banda larga fissa. Un numero storicamente basso, con un divario in aumento rispetto alle altre economie avanzate (in quattro anni in Italia il tasso di penetrazione è aumentato di quasi il 2% mentre i Paesi migliori hanno avuto un aumento intorno all’8%.
Quindi si colgono segnali di miglioramento, ancora molto a livello di percezione, grazie a nuove norme, ad una maggiore attenzione al digitale, al lancio di piani strategici. Ci si aspetta che ai piani e alle definizioni seguano i risultati e i cambiamenti, ma perché la trasformazione digitale possa realizzarsi c’è bisogno di un’attenzione superiore sul ripensamento dei processi della PA e sulle competenze. L’assenza di interventi di sistema su questi fronti rischia di rendere oltremodo complesso il percorso.