L’Italia non è più nelle retrovie per la lotta alla corruzione. È il terzo anno consecutivo che il nostro Paese risale la china guadagnando ben tre posizioni nel rank mondiale del “Corruption perceptions index 2016”. Il trend positivo iniziato con il legislatore del 2012, convinto e motivato nel tracciare la strada per la risoluzione delle questioni cruciali sulla corruzione, è proseguito con spinte legislative notevoli, ricadute in termini di politica istituzionale e una maggiore fiducia degli investitori verso i nostri mercati. Ciò ha permesso all’Italia di recuperare, da allora, ben 12 posizioni nella scala mondiale. A dimostrazione di questo c’è anche l’elogio sugli sforzi compiuti, nella lotta contro la corruzione da parte del nostro Paese, nel Rapporto del GRECO[1] (Gruppo di Stati contro la corruzione), pubblicato il 19 gennaio 2017.
Ma, nonostante questo scenario, il fenomeno della corruzione risulta ancora fortemente avvertito. I numeri del sondaggio condotto da EY parlano chiaro: tra i top manager di tutte le aziende a livello EMEIA intervistati nello Studio, dal titolo “Istinto Umano o Automazione – Quale la miglior risposta nella lotta contro frodi e corruzione?”, il 71% degli italiani ritiene la corruzione un fenomeno ancora molto diffuso nel Bel Paese.
La Fraud Survey di EY, condotta in 41 Paesi, tra le varie domande, pone la questione relativa al monitoraggio, mediante l’utilizzo della tecnologia, di dati aziendali appartenenti ai dipendenti, al fine di prevenire i rischi di frode e corruzione. In tal senso, il 75% degli intervistati lo ritiene il metodo più efficace per prevenire e/o contrastare comportamenti non etici. L’89% di essi lo ritiene, al tempo stesso, una violazione della propria privacy.
Quando è stato loro domandato se fossero a favore di una raccolta e di un’analisi costante delle informazioni estratte dalle caselle di posta elettronica dei dipendenti, dai sistema di sicurezza, dai registri pubblici, gli intervistati dell’Europa dell’Ovest (42%) e dell’Est (49%) sono risultatati meno favorevoli, rispetto a India (87%) e Africa (80%). In Italia, il 13% ritiene il monitoraggio delle email uno strumento efficace per ridurre il rischio di frodi, ma al tempo stesso il 57 % lo reputa una violazione della propria privacy. Il 30% sostiene, invece, che il monitoraggio più utile sia legato ai dati provenienti dai sistemi di sicurezza; solo il 17% considera tale metodologia una violazione della privacy.
Da una parte, quindi, monitorare e raccogliere costantemente dati sui propri dipendenti potrebbe diventare un efficace paradigma nella prevenzione del fenomeno corruttivo, tanto notoriamente radicato in modo pervasivo nel tessuto della società odierna, e tale da rappresentare ancora un cifra oscura che affligge l’economia. Dall’altra, però, lo scetticismo e la paura dissacrante di essere “disturbati” nella propria intimità, induce i soggetti ad avere un atteggiamento riluttante nei confronti dell’automazione e affidarsi ancora una volta, all’istinto dell’uomo.
Ma l’uno non esclude l’altro.
Ciò di cui necessitiamo per completare questo cammino è un cambiamento culturale. Partire dall’istinto umano e completarlo con la logica delle macchine. Due potrebbero essere le leve da utilizzare: le informazioni e la formazione.
Per ottenere le informazioni occorrono i dati, che sono l’elemento di base per strutturare qualsiasi forma di controllo. Tale accesso può avvenire solo con mezzi tecnologici. Altro elemento su cui investire è la formazione: diffondere tra i dipendenti la consapevolezza sul valore di tali dati e sensibilizzare gli stessi a fidarsi dei processi automatizzati, gli unici in grado di raccogliere in modo utile le informazioni.
Attraverso questo processo, per nulla semplice e tanto meno veloce, si potrà, forse, raggiungere l’obiettivo finale: una vera cultura dell’etica nelle aziende.