lavoro

Il futuro delle competenze in un mondo interconnesso

Oggi, come già accaduto in passato, si assiste al paradosso per cui nonostante la ripresa in atto e l’intensa dinamica innovativa, la produttività del lavoro non riesce a raggiungere i ritmi degli ultimi decenni. Per questo le competenze del futuro devono essere sempre più multidisciplinari

Pubblicato il 09 Mag 2017

Mauro Lombardi

Scienze per l’Economia e l’Impresa, Università di Firenze

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Un paradosso è al centro di un dibattito crescente in vari Paesi. Si profila sempre più nettamente uno scenario di accelerazione innovativa, contraddistinto da notevoli progressi tecnico-scientifici in alcuni campi: nanotecnologie e post-genomica, robotica avanzata, Intelligenza Artificiale, cognitive computing, cioè agenti artificiali non solo estremamente potenti, ma anche dotati di capacità di elaborazione di contenuti cognitivi prossimi a quelli finora ritenuti propri degli esseri umani, come ad esempio l’elaborazione di scenari strategici. In questo orizzonte fortemente dinamico la produttività del lavoro non riesce a raggiungere i ritmi degli ultimi decenni: dall’inizio della Grande Recessione (2007-2008) la produttività del lavoro negli Usa e in molti altri Paesi resta al di sotto “degli standard storici”, nonostante la ripresa in atto e l’intensa dinamica innovativa.  Analisti e studiosi, centri di ricerca pubblici e privati si interrogano su questo paradosso, che a dire il vero non emerge per la prima volta nella storia recente. Negli anni ’80 del secolo scorso, proprio gli inizi della rivoluzione delle Information and Communication technologies, si è presentato un fenomeno simile, sintetizzato nelle celebre affermazione del Premio Nobel per l’Economia Robert Solow: “You can see the computer everywhere but in the productivity statistics” (New York Book Review, July 2, 1987). Questo, che è passato alla storia come “paradosso di Solow”, è stato per così dire risolto tre anni più tardi dallo storico economico Paul David, il quale in un meno famoso, ma molto importante articolo (The Dynamo and the Computer: An Historical Perspective on the Modern Productivity Paradox), dimostra come anche l’introduzione e la diffusione dell’energia elettrica abbia richiesto decenni, tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, per un pieno dispiegamento degli effetti produttivi del potenziale insito nelle nuove tecnologie. In effetti le discontinuità tecnico-scientifiche comportano mutamenti dei regimi tecno-economici, cioè delle strutture produttive, dei modelli organizzativi e degli stili manageriali, degli orizzonti culturali e istituzionali, delle modalità di interazione tra gli attori socio-economici. Tutto ciò richiede tempo e il superamento di molti ostacoli e barriere di varia natura: orizzonti tecnico-culturali da trasformare, resistenza e inerzia al cambiamento, rapporti di potere e interessi consolidati, limitata capacità di elaborazione strategica in un quadro fortemente incerto.

La situazione odierna non è molto dissimile da quelle del passato con apparenti e duraturi paradossi: nelle fasi di più intensa trasformazione è inevitabile che si crei un divario tra le potenzialità inerenti a nuove tecnologie, cosiddette “dirompenti”, e la tradizionale configurazione del sistema socio-economico. Occorre infatti affrontare problemi rilevanti al tempo stesso di natura individuale collettiva, che implicano costi economici e sociali non indifferenti, per di più in un mondo che perde i tradizionali punti di riferimento.  Di qui la necessità di non restare in attesa, bensì di moltiplicare gli sforzi per captare i segnali di cambiamento, individuare anche i processi embrionali di formazione delle traiettorie, in un orizzonte di breve e medio-lungo periodo. Tutto ciò è possibile e di più agevole realizzazione oggi, perché gli attori economici e sociali hanno a disposizione strumenti che ampliano enormemente la capacità di delineare scenari, elaborare strategie e scegliere azioni più appropriate rispetto ad una dinamica tecno-economica in accelerazione. Un correlato essenziale del divario indicato è il drastico cambiamento delle competenze a vari livelli, dai compiti di natura esecutiva a quelli con maggiori contenuti cognitivi e decisionali.

La dinamica in atto sembra investire in modo più intenso proprio questi ultimi.  Appunto nel contesto odierno, contraddistinto dalla connettività globale e quindi dalla creazione e dal mutamento continuo di strutture interattive multi-scala, un’assunzione di fondo da cui partire per individuare le direttrici di mutamento è la seguente: stiamo entrando, sia pure con percepibili ritardi temporali tra i vari Paesi e Regioni, nel mondo incentrato sulla completa digitalizzazione del ciclo di vita di prodotti e dei loro input, suscettibili di molteplici possibilità di impiego. Si pensi a questo proposito ad approcci progettuali e realizzativi di crescente impiego quali “from cradle to cradle”, “simbiosi industriale”, “economia circolare”, quest’ultima recentemente scelta come direttrice strategica dall’EU. La virtualizzazione dei processi reali interferisce continuamente con questi ultimi, consentendo già da ora di aggiungere ad un bene o servizio esistente nuove funzionalità, impieghi originali, differenti modalità di utilizzazione da parte dell’utente. Per dare l’idea, già dalla fine del primo decennio del ‘2000 un modello di auto offriva una gamma di opzioni pari a 15 miliardi di varianti, tutte prodotte in tempi rapidi e con adattamenti personalizzati. La produzione di un bene o un servizio è quindi sempre più destinata ad assumere la configurazione di “spazio combinatoriale”, ovvero di creazione continua di nuove combinazioni di conoscenze appartenenti a sfere di conoscenza molto differenti. Da ciò deriva che i sistemi di produzione (imprese e cicli produttivi) progressivamente diverranno sistemi intelligenti, cioè in grado di elaborare informazioni generate dalle interazioni con il contesto in cui sono inseriti, quindi sistemi adattativi, in grado di assumere comportamenti dinamici in risposta ad esigenze che emergono incessantemente. Al tempo stesso tali sistemi devono essere in grado di realizzare processi di auto-ottimizzazione, che significa un set di proprietà molto importanti in uno scenario di accelerazione innovativa:1) trasformazione e accorciamento della catena del valore. Permeabilità dei confini dell’impresa, nel senso che occorre sviluppare relazioni collaborative con una molteplicità variabile di partner. 3) Capacità di integrare una pluralità di competenze e risorse (hardware, software, orgware, wetware) sia interne che esterne.

Una conseguenza logica delle affermazioni precedenti è quella di andare oltre la massimizzazione nell’uso delle risorse date, in primis l’informazione, per realizzare invece attitudini dinamiche tali da favorire l’adattatività ad un ambiente competitivo, che non consente ad alcun attore di possedere tutte le conoscenze necessarie per realizzare un output vitale in un universo dove reale e virtuale interagiscono continuamente a varia scala.  A tal fine, pertanto, l’intero ciclo di vita di un bene o servizio diviene necessariamente un processo variabile, che si basa sulla capacità di realizzare la congruenza tra team multidisciplinari, interni ed esterni ad un dato sistema-impresa. Ciò vale per un numero crescente di attività di cui tratteremo prossimamente, che non appartengono al settore manifatturiero, quali ad esempio la consulenza finanziaria e assicurativa, l’esercizio di professioni legali, il giornalismo, le professioni mediche, i processi formativi, i meccanismi e le modalità di risposta a eventi emergenziali.

Ai fini del presente contributo bisogna sottolineare un aspetto basilare: per l’efficacia e l’efficienza dinamica di un sistema aperto, come tende a configurarsi qualsiasi processo produttivo, è oggi necessario dotarsi di un’organizzazione basata su team di competenze diverse, perché è fondamentale creare valore attraverso la ricerca di nuove combinazioni, esplorando originali possibilità di risoluzione di problemi. Si tratta quindi di superare del tutto il modello di organizzazione incentrato su gerarchie e compattezza per adottarne uno permeato dal decentramento dei processi decisionali, proprio in relazione al fatto che diventa imperativo quello di coordinare itinerari domini di conoscenza e ambiti operativi troppo numerosi e interdipendenti da permettere un completo controllo centralizzato. Già alla fine degli anni ’70 Weick elaborò il concetto di loose coupled systems per indicare organizzazioni con “legami o connessioni deboli” tra sotto-sistemi appartenenti ad organizzazioni, i cui confini diventavano meno netti. Ciò vale ancor di più nello scenario attuale non solo per realtà produttive di frontiera, ma anche e soprattutto per entità a distanza più o meno prossima ad essa. E’ infatti essenziale sviluppare intelligenza strategica che, in un mondo di prodotti multi-technology e di crescente complessità, significa acquisizione della capacità di trasformare spesso il modo di pensare (mindset o frame che dir si svoglia), mettendo al centro un concetto al tempo stesso astratto e concreto: concepire beni e servizi in termini di spazio delle soluzioni (date, potenziali, promettenti, innovative) a problemi che emergono incessantemente come divario tra lo stato di cose presenti e quello desiderato, spesso non ben o mal-definito. Questa definizione del problema è in realtà una delle intuizioni più feconde dei primi studi di Intelligenza Artificiale (Newell, Nilsson, Simon) ed è attualmente è enormemente potenziata da nuovi approcci e meccanismi computazionali, che richiedono team interdisciplinari for finding problems and searching for solutions attraverso interazioni a bassa e alta frequenza con altri team a varia scala. Tali team non sono la soluzione, bensì uno strumento decisivo per la ricerca di soluzioni sempre nuove in un mondo di accelerazioni innovative. Questa affermazione trova fondamento nelle modalità con cui già operano imprese global player e sistemi di Piccole e medie imprese manifatturiere e terziarie. Nel corso di un colloquio informale, svoltosi tempo fa con tre manager di una leading company in campo manifatturiero a livello mondiale, ad una precisa domanda su come avrebbero definito la loro società, le opinioni sono state unanimi: una rete internazionale di società di ingegneria e unità di business, con rapporti più o meno stabili con sotto-reti locali (nazionali) di attività manifatturiere e funzionali-terziarie, a loro volta organizzate in forme variabili di sotto-reti.

Lo sviluppo futuro potrebbe allora mostrare questo pattern generale: processi produttivi come reti variabili di team multi-disciplinari, dove competenze mutevoli degli operatori collaborano e cooperano per affrontare nuove sfide o addirittura generarle. Ingredienti essenziali del funzionamento di questo modello sono lo sviluppo di intelligenza computazionale, in un mondo di attività e beni interconnessi, e la creazione di sistemi interattivi agili e riconfigurabili, sulla base di processi del perseguimento di una stretta collaborazione tra processi di apprendimento umano e processi di apprendimento automatico (Machine Learning e Intelligenza Artificiale). Il potenziale a disposizione per economie, imprese e individui è enorme, le tipologie di attività interessate dai processi di trasformazione sono già da ora numerose, sulle quali torneremo in modo più specifico. Per dirla con un’affermazione attribuita a Weizenbaum, il creatore nel 1964-66 di Eliza, primo chatterbot capace di sostenere una conversazione in linguaggio umano naturale: “non ho paura dei computer che ragionano come gli uomini, ho paura degli uomini che ragionano come i computer”.

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