Già nelle scorse settimane abbiamo rilevato una serie di punti critici relativi alle regole previste dal Codice Appalti, sottoposto a correttivo, in materia di acquisti di innovazione da parte della Pubblica Amministrazione: i problemi fondamentali riguardano il criterio del massimo ribasso, ritenuto poco efficace nel momento in cui bisogna acquistare servizi alto tecnologico, e la necessità di potenziare una serie di istituti ritenuti particolarmente adatti a stimolare gli investimenti in innovazione (partnership pubblico-privato, procedure competitive con negoziazione). Proseguiamo l’analisi delle strategie di procurement dell’innovazione applicandola non più alle regole previste dal Codice dei Contratti, ma presentando una serie di riflessioni e di casi pratici su ciò che avviene effettivamente sul mercato degli acquisti della PA.
Renzo Turatto, docente Scuola Nazionale Amministrazione, offre uno spunto di riflessione utile a mettere in luce una serie di criticità presenti nel sistema del procurement pubblico italiano, sintetizzabili come segue: la difficoltà a pensare regole sufficientemente flessibili per promuovere una vera e propria innovazione nella PA italiana. Un esempio (che riguarda la questione del criterio del massimo ribasso): si pensi «ai numerosi, recenti, casi – stiamo parlando di volumi finanziari di centinaia di milioni di Euro – in cui le amministrazioni centrali e regionali sono state indotte ad assegnare servizi di consulenza tecnico-specialistica con offerte al ribasso superiori al 50%, data l’impraticabilità di considerarle “anomale” e di escluderle come tali». Si tratta di «servizi specialistici, in cui la parte del leone la fa la manodopera. Le prestazioni, inoltre, non sono fornite a corpo, bensì vengono conteggiate sulla base degli input di lavoro. In questa situazione è dunque evidente che per questi servizi qualsiasi ribasso che vada al di là di una certa soglia è possibile solo a patto di che si riduca il costo unitario della manodopera». Con tutti i rischi che questo comprota sul fronte della qualità del servizio, del corretto funzionamento del mercato, e anche dei rischi di contenziosi che ne derivano.
Dalla teoria alla pratica, Olindo Rencricca, Massimiliano Campoli, Gabriele Mezzacapo, di Consip, forniscono utili chiarimenti sulle gare in corso per i servizi cloud nella PA della centrale di committenza, nell’ambito dell’accordo quadro per il Sistema Pubblico di Connettività, in collaborazione con l’Agid, Agenzia per l’Italia digitale. Una gara che parte dagli strumenti cloud computing per disegnare un sistema coerenti di strumenti e servizi utili a promuovere la digitalizzazione della PA. Uno strumento, insomma, che dovrebbe favorire quell’innovazione della PA che rappresenta, o dovrebbe rappresentare, una delle priorità di tutti gli sforzi che si fanno sul fronte legislativo, regolatorio, e pratico.
Infine, Stefano Tomasini, direttore centrale Inail, presenta un esempio concreto di digitalizzazione applicato a un pubblica amministrazione,. Un percorso avviato nel triennio 2014-2016, che prosegue con il piano del periodo successivo, che comporta profondi cambiamenti organizzativi (c’è anche un cambiamento di nome della struttura centrale, diventata Direzione Centrale Organizzazione Digitale), con una governance che attraverso comitati specifici consente un periodico coordinamento trasversale, nuove figure trasversali, anche a livelo manageriale, e una digitalizzazinoe delle procedure che parte proprio dalle pratiche di procurement. Innnovazione da sottolineare, il primo esempio nel contesto della Pubblica Amministrazione diun modello di vendor rating che «prevede l’utilizzo consapevole, strategico e manageriale delle forniture con l’obiettivo di garantire il continuo allineamento delle prestazioni dei fornitori alle esigenze dell’Istituto e di consolidare la partnership in una logica di autonomia realizzativa, governata da un processo di controllo da parte dei referenti della Direzione IT».