sociologia

Blue Whale, il ruolo perverso di media e social

Un’analisi di cosa c’è di vero e cosa no nel fenomeno del Blue Whale Challenge e del perché i media tradizionali e i social network stiano trasformando un fenomeno controverso in una realtà fattuale giocando sulla paura delle persone.

Pubblicato il 31 Mag 2017

Davide Bennato

professore di Sociologia dei media digitali all’Università di Catania

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In una delle puntate più inquietanti della terza serie di Black Mirror – Zitto e balla (Shut Up and  Dance) – un ragazzo scaricando un malware sul proprio computer si vede costretto a eseguire sotto ricatto una serie di strani ordini da parte di un misterioso account. Ordini che lo porteranno ad una vera e propria discesa negli ambiti più oscuri della propria anima.

Fin qui la serie di fantasia.

Non è invece opera di fantasia – o meglio non completamente – la vicenda del Blue Whale Challenge, ovvero la sfida che circolerebbe in rete tra gruppi di adolescenti, che consiste in una serie di atti di autolesionismo da compiere sotto il controllo di un “curatore”, la cui prova finale sarebbe quella di gettarsi dal palazzo più alto della propria città.

A questo punto la domanda: cosa c’è di vero e cosa c’è di falso in questa vicenda?

L’argomento è piuttosto scivoloso, in quanto alcune cose sono vere, altre verosimili, altre frutto di cattiva interpretazione, altre ancora palesemente false.

Procediamo con ordine.

In Italia la vicenda è stata posta all’attenzione dell’opinione pubblica da un inchiesta del programma “Le Iene” del 14 maggio 2017 (“Suicidarsi per gioco”), in cui la Iena Matteo Viviani metteva in relazione il suicidio di un ragazzo di Livorno con  il fenomeno Blue Whale, una sorta di gioco di autodistruzione nato in Russia nel social network Vkontakte e che avrebbe portato al suicidio un gran numero di adolescenti.

La vicenda dei gruppi Vkontakte di adolescenti suicidi è stata raccontata per la prima volta nel maggio 2016 dall’inchiesta della testata giornalistica russa Novaya Gazeta, in cui l’autrice del reportage, Galina Mursaliyeva, raccontava di questi gruppi di suicidi spesso etichettati con il codice f57 (altre fonti aggiungono altri codici come f58 e f59) nei quali avrebbe preso piede il Blue Whale Challenge. Al momento esistono diversi casi che la polizia russa ha ricondotto a questo macabro gioco, circa 50, ma il primo – e più accreditato – è il suicidio nel 2015 della 16enne russa Rina Palenkova che ha caricato nel suo profilo Vkontakte la propria foto prima di suicidarsi in maniera piuttosto cruenta. La storia ha cominciato a circolare nelle testate giornalistiche internazionali a partire dallo scorso febbraio su quotidiani di lingua inglese spesso scandalistici, come The Sun. Alcuni dettagli poco noti sul gioco, su come partecipare e su quali fossero le regole sono apparsi in alcune conversazioni sui social network Reddit e 4Chan e da lì hanno cominciato a far parte degli approfondimenti sul fenomeno, in particolare sulla pagina dedicata di Know Your Meme, il sito specializzato nell’analisi dei fenomeni della rete, che raccoglie una serie di fonti per descrivere il Blue Whale Challenge. Lo scorso dicembre è stato arrestato a San Pietroburgo per istigazione al suicidio di 16 ragazze, Phillip Budeikin, 21enne studente di psicologia.

In Italia la situazione ha scatenato la prevedibile isteria del pubblico televisivo, in prevalenza genitori preoccupati che i propri figli potessero essere coinvolti in questa specie di “gioco”. In realtà delle oltre 40 segnalazioni su cui sta indagando la Polizia Postale, al momento nessuna sembra essere connessa al fenomeno del Blue Whale. Ciononostante una pagina di consigli ai genitori è stata predisposta dall’autorità.

Fin qui i fatti.

Le cose diventano complicate quando andiamo a verificare alcuni dettagli. È ormai noto da tempo che la Russia soffre di una vera e propria epidemia di suicidi fra adolescenti, tanto che l’UNICEF ha svolto uno studio sull’argomento. Così come è vero che su Vkontakte esistono gruppi in cui adolescenti con problemi di depressione parlano dei propri intenti suicidi. La questione è che non solo le due cose non sono collegate fra loro, ma non è detto che tutti coloro che frequentano i gruppi suicidi siano effettivamente intenzionati a compiere questo gesto. Cosi come esistono pesanti dubbi sull’attendibilità dell’articolo di Novaya Gazeta, il quale al momento ha moltissime informazioni non verificate, tanto che alcuni siti internazionali di debunking – come Snopes – sollevano sospetti sull’affidabilità dell’articolo. Ad esempio, il numero dei suicidi fra il 2015 e il 2016 attribuibili al Blue Whale sarebbe circa 160, ma nessuna fonte ha mai confermato questo numero.

Altra questione sulle regole del gioco: i 50 passi da compiere sotto l’egida di un curatore che porterebbero al suicidio dell’adolescente. Al momento la traccia più consistente di queste regole è la loro descrizione nei thread di Reddit. Ho svolto una analisi delle ramificazioni delle due conversazioni principali, la conclusione è che gli stessi redditor ritengono in prevalenza che sia una bufala o al limite uno scherzo di cattivo gusto o un fenomeno di trolling, mentre altri si riservano di ulteriori approfondimenti. Sta di fatto che non ci sono prove che i 50 passi di compiere facciano parte di un qualsivoglia gioco della morte rituale.

Studio computazionale delle conversazioni di Reddit che hanno diffuso nei social la storia del Blue Whale a cura di Davide Bennato

Almeno finora.

Quello che sta succedendo è che le testate giornalistiche che stanno raccontando la vicenda, spesso non sottolineano quanto ancora l’esistenza del fenomeno sia controversa, anzi spesso il contesto di riferimento (il frame) della descrizione del Blue Whale è quello del panico e della pericolosità, dando così per scontato l’esistenza del fenomeno. Attraverso il processo di cassa di risonanza dei social media – alimentato pesantemente dai mass media – un fenomeno controverso si sta trasformando in una realtà fattuale giocando sulla paura delle persone.

La questione è problematica da due punti di vista diversi.

Nelle scienze sociali di parla di effetto Werther, per riferirsi al fenomeno di emulazione causato dall’eccessiva visibilità data ai casi di suicidio. Questo enorme parlare di un gioco orientato al suicidio potrebbe portare ad un incremento dei suicidi fra gli adolescenti più fragili. Inoltre se ciò non bastasse c’è anche lo scenario descritto dal teorema di Thomas. Secondo questa dinamica sociologica, se le persone definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali anche nelle conseguenze. Perciò ad un certo punto non sarà più necessario che il fenomeno sia reale oppure no: la somma delle conversazioni che avvengono in rete sul tema, renderanno reale una cosa nata come ambigua o comunque non provata. Qualora questo non fosse sufficiente, ci saranno gli algoritmi dei social media a confermare l’esistenza del fenomeno seguendo le stesse strategie che portano alla filter bubble. Già oggi cercando su Google il termine “Blue Whale”, il motore di ricerca suggerisce come termini connessi: regole, gioco, regole del gioco. Instagram ha creato un alert che compare quando si cercano hashtag come #BlueWhale #f57, con un avviso un cui si consiglia di cercare aiuto qualora si vivesse una situazione di disagio. È facile immaginare che nel breve periodo si saranno delle persone prive di scrupoli che cavalcheranno questo fenomeno a metà tra moda e panico morale per averne un vantaggio diretto: proporsi come presunti “curatori” per plagiare le persone più deboli, sfruttare la notizia per aumentare il traffico sui siti, presentarsi come sedicenti “esperti” sull’argomento nei talk che nasceranno intorno a questa vicenda.

Il fenomeno Blue Whale ha la forma di una strana leggenda metropolitana nata in rete come espressione di una particolare nicchia deviante sviluppatasi nei social network, raccontato da certa stampa come problema globale che gli algoritmi alla base della filter bubble renderanno reale nelle sue conseguenze.

Non è una bufala, non è vera, ma non è neanche falsa: benvenuti nell’era della post-verità

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