La sensazione è quella di trovarsi davanti al grande salto. Dobbiamo saltare, questo è certo, perché dietro di noi avanzano le fiamme. Che si chiamano perdita di produttività Paese, declino nella competitività mondiale. Dobbiamo saltare, anche se c’è un burrone tra noi e il mondo digitale che abbiamo di fronte. E le gambe sono fiacche, abbiamo appena indossato un abbigliamento (forse) adatto all’impresa, e abbiamo pochissimo tempo per allenarci. Eppure, bisogna saltare. Tra le mani, il manualetto di istruzioni per almeno provarci, a fare questo salto della vita: il (primo) piano triennale 2017-2019 della spesa pubblica informatica. Pubblicato ieri, com’è noto, con firma del premier Gentiloni.
Quante aspettative, riposte in questo piano. L’abbiamo atteso per un anno buono. Adesso è arrivato e già appare evidente che è solo un punto di inizio. Che la sfida davanti a noi richiede altri strumenti. Un altro piano, probabilmente, più dettagliato e a un livello ancora più pratico (“basso”), laddove questo piano triennale si può considerare solo il primo passo attuativo del Crescita Digitale del 2015 (che a sua volta era un passo avanti rispetto all’Agenda Digitale di Monti del 2012).
Se leggiamo gli articoli dei tanti esperti ospitati nel nostro speciale sul piano, possiamo percepire qui e lì qualche nota di attenzione. Molti riconoscono che la sfida è complicata; del resto il piano è arrivato un anno dopo il previsto e ha target già nel 2017; del resto, perché si realizzi quella grande trasformazione Paese, deve avvenire proprio quella cosa che di solito in Italia non riusciamo a fare bene (negli ultimi decenni, in molti ambiti, mica solo nel digitale): uno sforzo congiunto di sistema. Tutti a remare in modo coordinato nella stessa direzione. E tutto questo bisogna farlo con una governance ancora incerta e modalità che sono ancora tutte da costruire – appena abbozzate nel piano, ecco perché già si comincia a parlare, in incontri con gli stakeholder, di un prossimo piano attuativo del piano triennale. Il piano del piano del piano (che era il Crescita). E chissà quando i cittadini vedranno i primi effetti tangibili di tutto questo “pianificare”. Certo non li hanno visti con Spid o con PagoPa.
Eppure, si diceva, bisogna saltare. Quindi adesso più che parlare delle difficoltà (che comunque il dovere di cronaca impone di menzionare) è utile evidenziare che cosa è opportuno fare per raggiungere la rassicurante piattaforma digitale dall’altra parte.
Da quel che ho capito, la strategia – enucleata in questo piano in uno schema di azioni pratiche – prevede di riuscire nel salto poggiando su due gambe. Il coordinamento delle PA (a diversi livelli e con diversi ruoli di aggregazione territoriale) e l’effetto di leva abilitante sulle aziende private (grazie a un ecosistema di API della PA che dovrebbero consentire alle aziende di sviluppare nuovo business, dando loro quindi il ruolo più importante di “convertitori digitali” di cittadini e altre aziende). Servono entrambe le cose, perché noi vogliamo trasformare la PA in modo capillare (vedi prima gamba) per fare da volano al mercato (vedi seconda gamba) che compia così la trasformazione digitale del sistema Paese. Una intuizione che – ci ricorda Quintarelli – parte da lontano, dalle prime versioni dell’Agenda digitale italiana (e un modello a ecosistemi già teorizzato da Fuggetta). Sappiamo che il piano “muove” direttamente 5,7 miliardi di spesa informatica pubblica annua (compresi anche gli 800 milioni di nuove risorse che vengono dai 4,6 miliardi di euro del Crescita Digitale 2020). Ma se il volano riuscirà, l’effetto leva porterà a risultati molto più grandi. Incalcolabili.
Sul primo punto si legge, molto significativamente, nel piano:
Nel 2017:
- tutte le amministrazioni sono tenute, nell’ambito delle proprie responsabilità, ad adeguare le programmazioni per realizzare le azioni descritte nel presente Piano e a nominare il responsabile per la transizione alla modalità operativa digitale;
- AgID indicherà le amministrazioni che dovranno redigere singolarmente il loro Piano e quelle che, invece, avranno un ruolo di regia nell’aggregazione delle amministrazioni, in prima istanza Regioni e Città metropolitane
Una bella immagine nel piano chiarisce il puzzle:
Il piano contiene anche un capitolo con istruzioni alle PA. Quello che manca (il piano del piano) appunto è come le PA potranno seguirle. Sappiamo al momento solo i due pilastri, il bastone e la carota. Il bastone è dato dalla forte leva del taglio del 50% delle spese informatiche che non siano allineate al piano (o le PA si allineano, comprando su Consip le soluzioni o aderendo a quelle delle piattaforme nazionali, oppure dovranno dimezzare la spesa). La carota è l’accompagnamento che l’Agenzia per l’Italia Digitale dovrà fare, con il Team di Piacentini, alle PA. Comprende team di supporto per la trasformazione, cruscotti di monitoraggio per analizzare i progressi.
Tutto questo da fare con 90 milioni di euro del Pon Governance, di cui 50 già disponibili (come annunciato a ottobre scorso). L’Agenzia è investita di un ruolo molto importante e, certo, dovrà un po’ accompagnare sé stessa pure, per dotarsi delle risorse necessarie. Che ora non ha. Il direttore generale Antonio Samaritani ne è consapevole e infatti prevede di usare quei soldi anche per potenziare l’organico. Speriamo a breve.
Intanto gli incontri con gli stakeholder della PA sono iniziati, per seguire la nascita dei piani locali e dei soggetti aggregatori sul territorio. Un modello aperto alla collaborazione (che è in nuce nello stesso formato del piano, disponibile online per commenti delle parti). E’ un approccio obbligato, perché senza la collaborazione delle PA è impossibile sviluppare la trasformazione sul territorio (ossia renderla reale, verso il cittadino). Tanto più che le nuove risorse europee sono nelle mani delle Regioni, che questo piano dovrà appunto orientare a una “buona” spesa.
Il tutto mentre il rapporto con i privati è ancora da costruire, proprio a partire dalla fiducia: siamo a livelli iniziali, o forse persino sub-iniziali se si considera la perdurante incertezza del modello di business di uno dei primi progetti Paese: Spid.
Ma abbiamo un manuale. Prima non ce l’avevamo, ora c’è. Il salto è difficile, ma non impossibile. Tifiamo perché il vento ci soffi alle spalle, almeno per una volta.