Lo studio

Il Parlamento spende 12 mln di euro in carta. “Un paradosso”

Un nuovo studio dell’Istituto Bruno Leoni mostra una contraddizione in seno all’Agenda. “Il Legislatore parla bene e razzola male”. Il digitale farebbe risparmiare 40 milioni di euro in Parlamento. Che ora prova a fare qualche timido passo avanti sull’informatica. Ce ne parla Diego Marangon, uno degli autori e candidato alle prossime elezioni nella lista “Fare per Fermare il declino”

Pubblicato il 12 Mar 2013

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La materialità cartacea sembra essere ancora radicata proprio in seno all’organo investito della funzione legislativa: il Parlamento italiano.

Eppure con il varo del Nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale e l’istituzione dell’Agenda Digitale Italiana il Legislatore stesso ha dettato regole per cercare di digitalizzare e dematerializzare l’attività di Pubblica Amministrazione, società e impresa.

Per investigare su questa contraddizione abbiamo interpellato Diego Menegon – Fellow dell’Istituto Bruno Leoni e candidato alle prossime elezioni nella lista “Fare per Fermare il declino”, autore di una ricerca sul tema della dematerializzazione del Parlamento, dalla quale risulta che se le due Camere passassero in toto al digitale risparmierebbero 40 milioni di euro l’anno. Ora ne spendono 12 milioni solo per l’uso della carta.

“Il Legislatore parla bene, ma razzola male – afferma Diego Marangon. La classe politica attribuisce alla ricca semantica che fa perno sul digitale (informatizzazione, dematerializzazione, digitalizzazione dell’amministrazione) un certo appeal; tanto che ogni decreto in materia di crescita o di semplificazione reca norme per la modernizzazione degli strumenti di comunicazione tra cittadini e autorità pubbliche. Le norme che però il Legislatore detta per le amministrazioni pubbliche (che spesso sono inattuate e si riducono a mere dichiarazioni di intenti), non valgono per gli organi legislativi; che ne sono esenti in nome dell’autonomia e dell’autodichia del potere legislativo. Nei fatti, il Parlamento spende ancora circa 12 milioni di euro l’anno per la stampa degli atti e della documentazione parlamentare”.

Sembra che norme interne del Parlamento siano fatte apposta per il mantenimento dell’attività su supporto cartaceo. “Ad essere onesti, si è fatto qualcosa per rendere trasparente l’attività legislativa – riconosce Marangon. E si paga a caro prezzo: ogni anno si spendono quasi 20 milioni di euro, tra Camera e Senato, per l’acquisto di strumenti informatici, per la loro manutenzione, per l’accessibilità alla documentazione parlamentare in via telematica. A lato di questa spesa significativa, che negli ultimi 10 anni è raddoppiata al Senato e triplicata alla Camera, se l’accessibilità agli atti da parte del pubblico è garantita, è altrettanto vero che le modalità di presentazione e di circolazione della documentazione legislativa continua a basarsi sul cartaceo. Disegni di legge, emendamenti e atti di sindacato ispettivo sono presentati e firmati a mano, talvolta con correzioni a penna”.

Firma elettronica e posta certificata non hanno validità per il Parlamento? “Ad ogni parlamentare è attribuito un indirizzo di posta elettronica di Camera o Senato – spiega Diego Marangon – ma questa non viene utilizzata per la presentazione degli atti. La cosa che più fa rabbrividire è il fatto che il bilancio della Camera stanzia ogni anno una voce di spesa, che nel 2012 ammontava a 400 mila euro, per la formazione linguistica e informatica degli onorevoli. Il Senato nel 2012 ha destinato mezzo milione di euro per il rimborso delle spese sostenute dai Senatori per l’acquisto di strumenti informatici. Computer e tablet che paghiamo noi anche se potrebbero benissimo essere acquistati con le ricche retribuzioni riconosciute ai parlamentari Eppure la presentazione degli atti parlamentari continua ad essere eseguita a mano, su supporto cartaceo. In via informale, i funzionari talvolta chiedono la trasmissione del documento in formato informatico, ma questo non è legalmente valido e va volta per volta confrontato con la copia cartacea. Solo in questi giorni, al Senato, si sta riflettendo sull’opportunità di rendere telematico il procedimento di presentazione degli atti a partire dalla prossima legislatura. Alla Camera, invece, tutto tace”.

Le norme non aiutano, poi. C’è ancora l’obbligo per i parlamentari e i loro uffici di recarsi materialmente presso gli uffici della Camera e del Senato per depositare i testi, anziché poterlo fare in via telematica. “E’ la norma. Gli uffici dei singoli parlamentari e dei gruppi scrivono gli atti da presentare a mano o al computer; in quest’ultimo caso devono comunque stampare una copia per la firma autografa. Presentano l’atto agli uffici competenti, dove i funzionari si mettono a trascrivere i testi. Spesso chiedono in via informale l’invio di una copia digitale, ma devono comunque confrontarla con la copia cartacea e tener conto di eventuali correzioni a penna. Gli atti sono poi stampati e distribuiti per il loro esame e ristampati una volta esaminati per dar conto della loro approvazione o bocciatura”. Tutto questo ha dei costi enormi. Non solo per i costi di stampa ma soprattutto per le ore uomo impiegate dai funzionari impegnati nella trascrizione e revisione degli atti presentati. “Con la digilitazzazione dell’attività parlamentare – chiarisce Diego Marangon – si potrebbero ridurre i trasferimenti ai gruppi, che ammontano a 75 milioni di euro l’anno e le spese per il personale, cresciute ad un tasso più che doppio rispetto all’inflazione negli ultimi 10 anni (del 55%, da 100 a 156 milioni di euro, al Senato e del 45%, da 161 a 234 milioni di euro alla Camera)”. “I funzionari del Parlamento sono lautamente pagati e assunti dopo concorsi generalmente molto difficili da superare. Dovrebbero aver cura della qualità della nostra legislazione. Strapagarli per far loro svolgere mansioni esecutive di copiatura di testi, facilmente evitabili con l’utilizzo della posta elettronica certificata, è uno dei tanti sprechi posto a carico dei contribuenti“.

Qual è l’ordine di grandezza dell’attività di “carta” e quanto costa al cittadino la mancata dematerializzazione? Il contachilometri segna 5714 progetti di legge alla Camera e 3596 disegni di legge al Senato (senza contare i testi che tornano in terza, quarta o quinta lettura). “Gli emendamenti e le diverse versioni e correzioni non sono nemmeno calcolabili, ma se pensiamo che ai decreti crescita o alla legge di stabilità vengono proposti tra i mille e i duemila emendamenti in ciascuna delle due camere, possiamo avere quantomeno un’idea dello spreco di carta e tempo che ne consegue.
I parlamentari, nel corso della XVI legislatura, hanno poi presentato 1933 mozioni, 2348 interpellanze, 43046 interrogazioni, 1889 risoluzioni, 15518 ordini del giorno”.
Sappiamo che Camera e Senato costano complessivamente al contribuente un miliardo l’anno. “Sicuramente i tagli più urgenti riguardano i privilegi, le indennità, i vitalizi dei parlamentari. Rendendo più efficiente la macchina amministrativa sarebbe sicuramente più facile contenere anche le altre voci di spesa. La sola dematerializzazione degli atti porterebbe ad un abbattimento dei costi di stampa, oggi pari a 12 milioni di euro l’anno, ma consentirebbe anche una riduzione delle spese per il personale a parità di qualità dei servizi resi e dei trasferimenti ai gruppi. Un obiettivo plausibile è la realizzazione di risparmi per un importo complessivo di 40 milioni di euro”.

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