Si comincia a delineare il ruolo pro-innovativo delle donne nel sistema degli investimenti startup italiani. Un mercato da 24,4 milioni di euro, in 52 società emittenti, taglio medio 479.000 euro. L’informal venture capital prosegue il trend di crescita rispetto al 2015 (dai 20,9 milioni di euro), secondo quanto emerge dalla survey che ogni anno l’Associazione IBAN svolge sul mercato italiano dell’angel investing insieme al professor Vincenzo Capizzi dello SDA Bocconi. Fino a qua, niente di nuovo. Si tratta comunque di un mercato ancora piccolo, se paragonato ai colleghi europei. Nota dolente, da sempre, il fatto che solo il 4% del campione ha dichiarato di aver effettuato almeno un disinvestimento nel 2016. In media, si verificano 4 anni dopo l’investimento. Questo probabilmente ha reso il mercato maturo. Se andiamo a riguardare le ultime sei edizioni della survey, sono stati investiti da privati – i business angel, per quanto possa essere consistente, investono il loro patrimonio personale – 146,6 milioni di euro. Di cui, nella migliore delle ipotesi, solamente il 4% è stato remunerato.
Ne abbiamo già parlato in precedenza, anche in sedi istituzionali, ma per migliorare la remunerazione del capitale investito e incentivare di conseguenza a reinvestirlo, andrebbe costruita e di conseguenza sostenuta una vera e propria finanza di filiera che colleghi il Business Angel con il Venture Capital e il Capitale di Debito. Oltre che a promuovere meccanismi di exit per i Business Angel, fondamentali per uno sviluppo del settore, sostenendo il venture capital aziendale. Perché se i business angel non fanno volumi di investimento così rilevanti, al contempo svolgono però il ruolo di traino e garanzia per investimenti ben più consistenti da parte dei venture capital. Già dai dati 2015 della survey giunta alla quarta edizione e condotta dall’osservatorio VeM® – IBAN (la prossima edizione sarà tra qualche settimana) era emerso un trend costante e sempre più diffuso nel rapporto tra investitori istituzionali e informali: come già notato anche in ambito internazionale, gli investitori tendono ad unirsi in cordate (syndication) per aumentare l’apporto finanziario complessivo e ridurre il rischio unitario in caso di insuccesso dell’operazione.
C’è però una buona notizia. La survey segnala infatti un aspetto molto positivo, e inedito, che potrebbe dare una spianta al mercato. Ovvero, la componente femminile tra i Business Angel è in forte aumento rispetto agli anni precedenti. Nel 2016, un investimento su quattro è stato portato a termine da una business angel. Fino allo scorso anno parlavamo del 5%. Quindi un balzo avanti notevole. È un tema che sicuramente va approfondito per poter adottare policy adeguate. Anche per questo l’Associazione IBAN, insieme ad altri sette partner attivi in Europa (Belgio, Francia, Portogallo, Spagna e Regno Unito) sta portando avanti da alcuni mesi il progetto WA4E – Women Angels for Europe’s Entrepreneurs – coordinato da BAE (Businesss Angel Europe) e sostenuto e finanziato dall’Unione Europea. Obiettivo del progetto è quello di censire i numeri e il ruolo delle donne nell’angel investing e di individuare le azioni necessarie per coinvolgere un sempre maggior numero di donne tra i Business Angel. Il progetto è finalizzato a fotografare la situazione in Italia e nei principali mercati europei: I risultati, gestiti dalla Cass Business School, una delle principali istituzioni accademiche del Regno Unito, saranno presentati a metà luglio, e serviranno ad individuare le azioni necessarie per coinvolgere un maggior numero di donne tra i business angel.
L’angel investing è una delle forme più importanti di aiuto e supporto per la crescita e il successo delle imprese capaci di scalare velocemente nel mercato globale: una diversity tra chi non solo apporta il capitale, ma dà anche un contributo in termini di esperienze, competenze e network di contatti è fondamentale per il successo delle neo imprese. Speriamo che questo trend sia in futuro non solo confermato ma accentuato, in modo che tutti davvero tutti possano dare il loro contributo alla crescita di questo Paese.
Anche perché se confermato, questo trend ci distinguerebbe dagli altri paesi. Dai pochi dati a disposizione, infatti, emerge che nel il mondo “investitori”, infatti, solo il 7% dei partner dei 100 principali fondi di venture mondiali, è una donna. E lo stesso vale se andiamo dall’altra parte della barricata a guardare i numeri nella sezione speciale del Registro delle Imprese dedicata alle startup innovative: al primo trimestre del 2017 il dato è abbastanza significativo: solo 304 startup su 7281, cioè il 4.17% hanno sia soci che amministratori donne. C’è ancora molto lavoro da fare, iniziando a combattere sin dalle scuole elementari uno degli stereotipi esistenti più radicati, ovvero quello di una presunta scarsa attitudine delle studentesse verso le discipline STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics). E quindi numeri, finanza, ingegneria, etc.
Tornando agli investimenti angel, i settori che hanno beneficiato maggiormente dei finanziamenti sono ICT (App web, Mobile, Software), Sanità e apparecchiature medicali seguiti da Fintech e Media Entertainment. Censiti 52 investimenti, dicevamo, per un ammontare medio è di 479.000 euro. Il 78% dei finanziamenti è stato finalizzato all’acquisto di equity, mentre il 22% al finanziamento soci: secondo un trend sempre più diffuso, gli investitori tendono ad unirsi in cordate per aumentare l’apporto finanziario e ridurre il rischio (71%).
La potenziale crescita del mercato (63%), e quindi la scalabilità dell’impresa resta il principale dei fattori considerati al momento della valutazione del progetto imprenditoriale, ma c’è anche un attenzione al capitale umano. Il 37% guarda al management team (37%), al momento di scegliere l’investimento. Seguono poi caratteristiche del prodotto e/o servizio (26%).
La maggioranza degli investimenti ha finanziato imprese con sede nel Nord Italia, in uno stadio di sviluppo già abbastanza avanzato, ovvero fase di Startup (56% dei casi). Nel 32% dei casi, invece, le imprese finanziate sono nello stadio di Seed; nel 12% nello stadio di Expansion. Oltre all’investimento in equity il business angel di riferimento (il champion) apporta soprattutto competenze strategiche e contatti per lo sviluppo dell’attività sociale. Il suo stato di coinvolgimento nelle imprese finanziate nel 70% dei casi è medio o alto.