L’intervento

Vimercati (PD): “Ecco gli emendamenti per migliorare Crescita 2.0”



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Il senatore descrive come vorrebbe cambiare il decreto. Necessario allargare i vincoli, adesso troppo stretti, a favore di infrastrutture e startup

Pubblicato il 5 nov 2012



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Finalmente l’Italia si dota di un’Agenda digitale e si mette al passo con l’Europa. Il 2020 diventa così un target anche per gli italiani. La svolta rispetto al governo “televisivo” di Berlusconi non potrebbe essere più netta.

Monti ha ben chiaro, come si evince dall’articolo 1 del decreto, che la partita della crescita si gioca in buona misura su questo terreno, il terreno dell’innovazione digitale.

Ciò non stupisce perché è in perfetta continuità con quel che, qualche anno fa, l’allora professor Monti scriveva al Presidente della Commissione Barroso a proposito del mercato unico digitale quale leva per lo sviluppo dell’economia europea del secondo decennio del XXI secolo. Quel suggerimento è poi diventato obiettivo dei 27 Paesi europei e ha dato vita all’agenda digitale europea 2020.

Il decreto evita di iniziare arrogantemente da zero. Tutta la parte, molto estesa, dedicata alla modernizzazione digitale della Pubblica Amministrazione eredita il lavoro già svolto in precedenza dal Ministro Nicolais e più di recente dal Ministro Brunetta. Il pregio del testo sta nel carattere sistematico della scossa che si vuol dare agli sclerotizzati apparati pubblici. Nessun campo è trascurato: dalla giustizia alla scuola, dalla sanità ai trasporti. A tutti gli attori pubblici sono dati obiettivi chiari ed è richiesto un impegno serio con tanto di valutazione del lavoro svolto. Unica , ma non marginale, nota dolente è la scarsità di risorse a disposizione. Ad un apparato pubblico che già da anni mangia solo pane e cicoria si chiede di promuovere innovazioni molto significative a costo zero o quasi. E’ facile prevedere che molti mancheranno gli obiettivi e in tanti vi si accosteranno senza soverchi entusiasmi. Sarà in ogni caso necessario mettere una data di vero e proprio switch off dal cartaceo al digitale nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione.

La scarsità delle risorse condiziona, poi, l’evoluzione della banda larga italiana. Solo 150 milioni di euro la cifra stanziata in questa battuta. Se pensiamo che il Piano Caio per l’allora ministro Romani ne prevedeva almeno 800 milioni per dare i 2-20 Megabit a (quasi) tutti gli italiani, si comprende come con quei quattrini si potrà fare ben poco… Al massimo, eliminare appena il digital divide base. Tanto più che tagliati i fondi agli Enti Locali e alle Regioni sarà difficile fare piani regionali all’altezza della sfida per un Paese come l’Italia, sempre nelle posizioni di coda nel ranking europeo della Banda Larga e del suo utilizzo.

Utile, invece, la norma, di sapore un po’ giacobino e speriamo non a rischio di incostituzionalità, che consente alle imprese di telecomunicazioni di entrare a proprio piacimento nei condomini per posare i cavi di fibra ottica destinati a connettere gli italiani alla banda ultralarga come è previsto dagli obiettivi europei.

Manca, però, qualunque riferimento all’annosa ma attualissima questione dell separazione della rete di Telecom Italia. Non basta spingere Cassa Depositi e Presititi a creare partnership sulle infrastrutture di rete. Questo decreto poteva essere l’occasione per passare dalla “moral suasion” a indicazioni forti per mettere in campo un intervento pubblico/privato capace di determinare il vero decollo delle reti di nuova generazione nel nostro Paese. Il dibattito parlamentare credo constirà di chiedere al governo di uscire dalla attuale timidezza.

Infine , nel capitolo infrastrutture del decreto, pensato prevalentemente per le infrastrutture stradali o ferroviarie, bisognerà estendere gli incentivi fiscali anche alle società di telecomunicazioni che vorranno fare cospicui investimenti per le infrastrutture i fibra ottica.

Valido è poi l’impegno a sostenere la crescita attraverso lo sviluppo delle startup innovative. Qui il decreto si giova del pregevole lavoro fatto in sede parlamentare. Molte norme riprendono infatti il DDL Gentiloni – Palmeri approvato all’unanimità dalla commissione Telecomunicazioni della Camera prima delle ferie estive. Mancano anche qui risorse adeguate, ma è importante aver intravisto con chiarezza una strada importante su cui far marciare l’innovazione dell’economia italiana.

Ho già presentato emendamenti su

1.Net neutrality, perché sia garantita e protetta.

2.Carta dei diritti sulla Rete. Aggiornare la Carta dei diritti dell’Uomo includendo il diritto all’accesso.

3.Obbligo dei Comuni di dotarsi di siti con open data. Lo so che è previsto dal decreto, ma bisogna fissare una procedura che conduca in porto questo risultato, affinché i dati non sia solo aperti ma anche utilizzabili per i servizi.

4.Startup. I vincoli stabiliti dal decreto per il supporto sono troppo stringenti, rischiano di escludere la maggioranza delle startup. Devono essere allargati. Presenterò inoltre alcuni emendamenti per facilitare il rapporto con Università, Enti Locali virtuosi e Camere di Commercio che già da tempo sono impegnati su questo terreno. Anche in quest’ambito fare squadra è decisivo soprattutto se si hanno a disposizione pochi quattrini.

5.Parificazione fiscale tra editoria cartacea e digitale. Lo so che la questione dell’Iva va affrontata in sede europea, ma il governo dovrebbe finalmente sollevarla e portarla in Europa. Altrimenti arriveremo all’assurdo che le famiglie pagheranno molta più Iva sui testi scolastici digitali rispetto a quelli cartacei.

6.Obbligo di revisione dei regolamenti di edilizia scolastica per connessioni di rete. Per le nuove costruzioni e in caso di ristrutturazioni di scuole, obbligo a predisporre il cablaggio in fibra.

7.Incentivi fiscali per progetti di partenariato pubblico privato per Banda ulatralarga.

8.Bigliettazione digitale integrata per trasporti nelle aree metropolitane.

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