Telemedicina bloccata dallo stallo della politica italiana

Le linee guida nazionali elaborate nel 2012 sono ancora al vaglio della Conferenza Stato-Regioni. Intervista a Gianfranco Gensini, presidente della Società Italiana Telemedicina e sanità elettronica. Stato dell’arte ed eccellenze a Roma, Brescia, Reggio Emilia, Torino, Ancona e Napoli

Pubblicato il 16 Mag 2013

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In Italia siamo di fronte ad un passaggio cruciale della telemedicina, definita come “la prestazione di servizi di assistenza sanitaria, tramite il ricorso alle tecnologie dell’informazione e della telecomunicazione (ICT)”. L’Italia rischia di restare indietro mentre gli altri paesi corrono avanti cogliendo le opportunità della medicina telematica.

Negli Usa e in Canada la telemedicina è una realtà consolidata; in Francia, Norvegia, Finlandia, Svezia e Danimarca, è già molto diffusa e regolamentata. Nell’Unione europea è prevista nella Digital Agenda 2020 e la Commissione Europea attribuisce un rilievo particolare al tema : nella Comunicazione (COM-2008-689) del 4 novembre 2008 s’individuano una serie di azioni che coinvolgono tutti i livelli di governo, sia comunitario sia degli Stati Membri, onde favorire una maggiore integrazione dei servizi di telemedicina nella pratica clinica, rimuovendo le principali barriere in grado di impedire una piena ed efficace applicazione.

In Italia nonostante vi siano in corso molti progetti legati alla telemedicina manca ancora una normativa chiara in merito. L’ICT rappresenta una molla di cambiamento e di evoluzione del sistema sanitario che richede un salto di qualità, più che sul piano tecnologico, nella regolamentazione e il suo inserimento tra le prestazioni erogate dal Servizio sanitario nazionale.

Per questo motivo, la SIT, Società Italiana Telemedicina e sanità elettronica, in occasione del suo primo Congresso nazionale, tenutosi a Firenze nell’aprile del 2010, oltre ad aver presentato il Manifesto italiano sulla telemedicina, ha promosso, tramite Rossana Ugenti, Direttore generale del Sistema informativo e statistico sanitario del Ministero della Salute, la creazione di un apposito tavolo ministeriale con il compito di formulare alcune linee d’indirizzo in materia.

La Commissione, istituita presso il Consiglio Superiore di Sanità dall’allora Ministro Fazio nel febbraio del 2011 e coordinata dalla professoressa Maria Carla Gilardi del CNR di Milano, Università Bicocca, ha concluso i suoi lavori il 10 luglio del 2012, ma, stante l’attuale situazione politica nazionale e regionale, le linee d’indirizzo elaborate sono ancora al vaglio della Conferenza Stato-Regioni. Davanti a questa impasse abbiamo chiesto a Gianfranco Gensini, Presidente della SIT, di chiarire la posta in gioco e spiegare ostacoli e prospettive di sviluppo del settore.

Perché è importante sostenere la telemedicina in Italia?

La possibilità di seguire, presso il proprio domicilio, attraverso il telemonitoraggio medico, pazienti con malattie croniche come diabete, scompenso cardiaco, aritmie, ipertensione, insufficienza respiratoria o ulcere degli arti inferiori, con la stessa accuratezza con la quale un paziente viene seguito in ospedale, garantisce cure adeguate, comporta una migliore qualità della vita dell’assistito ed indubbi risparmi di spesa, riducendo le giornate di degenza ed il pesante pendolarismo tra il domicilio del paziente e l’ospedale.

Oltre all’aspetto normativo che altro tipo di ostacoli ci sono?

Le resistenze sono essenzialmente di tipo culturale, legate sia ad una naturale resistenza al cambiamento e diffidenza rispetto all’innovazione tecnologica, sia a pratiche per la scarsa alfabetizzazione informatica degli attuali operatori sanitari. Per questo puntiamo molto sulle giovani leve, che già nascono, diversamente da noi, “informatizzate”, e sulla formazione specifica in telemedicina, vedasi la collaborazione che abbiamo in atto con l’AICA per i corsi ECDL, ed in e-health, tramite la recentissima acquisizione del Corso di Alta Formazione tenuto finora dal professor Gaddi presso l’Università di Bologna. Poi vi sono delle vere e proprie criticità, come la sicurezza e la privacy dei dati teletrasmessi. Dobbiamo sempre ricordarci che stiamo trattando dati sanitari e sensibili dei nostri assistiti per i quali il Codice privacy prevede delle particolari garanzie e cautele. Lavoriamo a stretto contatto con il Garante per la protezione dei dati personali, proprio perché anche con la telemedicina, occorre preservare quel rapporto fiduciario che ci lega indissolubilmente ai nostri pazienti, rapporto imprescindibilmente basato sulla riservatezza dei dati trattati e sulla confidenzialità delle informazioni forniteci. La SIT, infatti, oltre ai medici, agli informatici e agli ingegneri, ha una qualificata partecipazione di giuristi, coordinati dall’avvocato Chiara Rabbito, particolarmente esperti sulle tematiche della sicurezza e della privacy come Corrado Giustozzi e Andrea Monti o quelli provenienti dal CIRSFID di Bologna, diretto dalla professoressa Carla Faralli, con cui collaboriamo attivamente.

In ogni caso la telemedicina in Italia prende piede. Secondo la SIT però si va avanti con sperimentazioni “a macchia di leopardo” che si esauriscono al termine dei finanziamenti. Ma quali settori di punta ed eccellenze può vantare la telemedicina in Italia? Ci può fornire degli esempi?

Servizi operativi di telemedicina sono erogati da Michelangelo Bartolo del San Giovanni Addolorata, Sergio Pillon del San Camillo Forlanini e Leonardo Calò del Policlinico Casilino, tutti di Roma, ma anche da Simonetta Scalvini, cardiologa a Brescia, Dino Bramanti dell’IRCCS Neurolesi “Bonino Pulejo” di Messina, Giorgio Vezzani, pneumologo presso l’Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia, Giancarlo Isaia, primario geriatra delle Molinette di Torino, Roberto Antonicelli dell’IRCCS INRCA di Ancona o Andrea Di Lieto, ginecologo presso l’Università “Federico II” di Napoli, solo per citare alcuni colleghi relatori ai nostri convegni e congressi.

Quali sono gli ambiti di applicazione specifici? C’è una originalità o particolarità della telemedicina italiana?

Uno dei settori in cui è maggiormente applicata la telemedicina è sicuramente la cardiologia dove si sono immediatamente diffuse pratiche di telediagnosi, attraverso l’uso di apparecchi che vengono applicati al paziente da personale paramedico e rilevano tracciati elettrocardiografici, immediatamente inviati, dapprima attraverso le linee telefoniche e oggi attraverso la rete internet, a centri specializzati, attivi anche 24H/24H che in poco tempo inviano la diagnosi sul luogo in cui è presente il paziente oppure al centro ospedaliero più vicino al paziente, per facilitare l’intervento di cura una volta che il paziente stesso è giunto sul luogo. Ma anche nell’ambito della radiologia, della neurologia, della dermatologia, della pneumologia, della ginecologia e dell’ortopedia, nella cui pratica è consuetudine consultare reperti di diagnostica strumentale inviati dai luoghi più disparati attraverso reti e supporti informatici. Non bisogna infine dimenticare gli enormi progressi compiuti dalla chirurgia telematica e dalla robotica, in particolare con il “Da Vinci”, in grado di eseguire interventi mini invasivi di altissima precisione. In Italia sono operativi 25 sistemi robotici “Da Vinci” in diversi presidi ospedalieri a Torino, Savona, Grosseto, Padova, Aosta e Roma.

Come cambia l’attività sanitaria in relazione allo sviluppo della telemedicina? Come vede il connubio tra tecnologia digitale e funzione medica? Richiede l’integrazione di competenze differenziate e di attori diversi?

Non si deve dimenticare che la telemedicina – e questo è il suo valore aggiunto – prevede lo scambio di informazioni a distanza e a grande velocità: un processo di cura pertanto che chiama in campo soggetti diversi e molteplici: i medici, i programmatori del software e i produttori dell’hardware, nonché coloro che forniscono il segnale, ovvero i provider. Inoltre va sottolineato il ruolo fondamentale degli infermieri e di un qualificato centro servizi, indispensabili per assicurare una corretta telemedicina. Risulta evidente pertanto che in un processo così complesso ci possa, anzi ci debba essere spazio, non solo per il privato, ma anche per la cooperazione.

Guardiamo al futuro. In un recente congresso internazionale tenutosi a Firenze, Lei ha parlato di possibili relazioni tra System Medicine e sanità elettronica accennando ad una rivoluzione della Medicina 2.0. Può spiegare cosa intende?

La System Medicine è la biologia dei sistemi applicata alla medicina, mentre la sanità elettronica permette di avere, dovunque ed in ogni momento, una grandissima quantità di dati e di informazioni. Tramite potenti modelli di calcolo matematico, con lo studio del genoma, proteoma, metaboloma di ogni singolo individuo, si potrà passare dal genotipo al fenotipo, da una medicina standardizzata, per popolazioni, basata su linee guida ed evidenze, ad una medicina personalizzata che sarà anche preventiva, partecipativa e predittiva, insomma, “precisa”. Le ripercussioni in termini di ricerca, diagnosi e terapia saranno enormi, una vera e propria rivoluzione, tanto che la chiameremo Medicina 2.0, la medicina del futuro, del domani che è già oggi.

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