Sono uno dei suoi 1.999.999.943 abitanti. Alla fine della lettura di questa riga saranno 57 in più, per un totale di 2 miliardi di abitanti. Cittadini del Paese più popolato del mondo. Paese e cittadini di proprietà del Signore dei Social.
Nel Paese più popolato del mondo flussi di scampagnate, comizi, blog, corsi di laurea, chiacchiere al bar, talk show, party, insulti, abbracci, marce, manifestazioni, odi, insulti, omicidi in diretta, prediche e sbronze distillano il sentimento dell’appartenenza.
Nel Paese più popolato del mondo mi trovo proprio bene. Non mi dimentico di fare gli auguri a un amico o parente. Ho un folto ufficio-segnalazioni, formidabile per il mio lavoro, per aumentare i miei orizzonti, letture, approfondimenti, divertimenti e pensieri. Tra i miei attuali 535 “amici” ce ne sono una trentina che lavorano ogni giorno, ogni ora, gratuitamente con me. Gratuitamente. Qualche volta, quando riesco, restituisco il favore con merce spero analoga. Mi fanno una rassegna stampa a 360°, mi offrono collegamenti, suggerimenti di lettura, documenti preziosi, idee fresche di giornata, tuffi intriganti nel sorriso, nell’indignazione, nello spazio e nel tempo. Nei loro spazi e nei loro tempi. Un lavoro articolato. Volendo a tutti costi mettere il tutto in contabilità, direi che dovrei spendere almeno diecimila euro al mese, se dovessi pagarmi una squadra in grado di produrre la stessa mole di materiale utile. E quando ci vediamo di persona, i fili dei discorsi sono tesi, mai interrotti, pronti per tessere altre tele insieme. Dicono che i social siano le piazze dove “si mente, o comunque ci si dà un tono, un’altra identità”, per fare apparire sé stessi e la propria vita attraenti di più di quanto sia. Dicono che inesorabilmente si finisce con lo stare solamente con chi la pensa come noi, in una confortante “bubble” monadica.
Ma succede ogni giorno anche il contrario. Nell’eventuale anonimato si ascoltano di più gli altri, si accoglie il fatto di poter/dover cambiare idea. Nel Paese più popolato del mondo si riesce spesso ad apprendere e applicare la serena virtù dell’umiltà. Che voglio di più?
Nel Paese più popolato del mondo, i miei amici immigrati di prima e seconda generazione, siano indiani, peruviani, filippini, brasiliani o ucraini, rimangono grandi famiglie peninsulari. Non perdono una festa per il primo giorno di scuola, un nuovo paio di scarpe della figlioletta, una partitella persa per un soffio, un litigio con il papà ricomposto fra lacrime e abbracci, la promozione in terza media, un nuovo piatto inventato della mamma e perfino dei compiti fatti insieme. Il Paese, spesso semplicemente paesello, è sempre lì. Lo si tocca con mano, via touch screen. L’appartenenza, l’esserci, le memorie, le relazioni non si sfilacciano, non si corrodono, non si appannano, non si rilassano, non muoiono. Che vogliamo di più?
Nel Paese più popolato del mondo una quindicenne è stata “stuprata e seviziata da un gruppo di coetanei, in diretta”. Nel terribile video “la ragazzina appariva legata e imbavagliata: i suoi aguzzini le hanno strappato i vestiti, tagliato i capelli e spento sigarette sul corpo, poi almeno in sei l’hanno violentata. Le immagini trasmesse in streaming sono state rimosse dopo che la polizia ha avvertito il social network” (corriere.it).
Del Paese più popolato del mondo ne parla l’elzevirista più televisivo d’Italia Gramellini, (ex La Stampa ora Corriere della Sera): “L’ultimo omicidio di donna… ha guadagnato l’attenzione dei media grazie a un particolare che la dice lunga sulla nostra sudditanza nei confronti dei social network: la vittima aveva scritto…di avere trascorso una domenica piacevole con il convivente-assassino. … Che la signora abbia urlato il suo abbaglio d’amore dal balcone di un social ha immediatamente dato alla rivelazione un crisma di solennità e autorevolezza.” Che vogliono di più?
Ora penso a quando il Paese più popolato del mondo sarà abitato da tutti, ma proprio tutti gli abitanti del Pianeta, dopo aver esteso il suo dominio, pur a fatica, alla sterminata steppa russa e aver abbattuto la Grande Muraglia digitale cinese, diventando così il Paese Unico al Mondo.
Ogni umano si ritroverà col codice fiscale sostituito dall’account del Paese Unico al Mondo nell’istante della propria nascita, iscritto in automatico all’Anagrafe Unica. Sarà la sua Unica Appartenenza. In tutti i sensi e con tutti i sensi. Libero e consenziente per diritto di “acconsento”. Senza alcun rammarico, senza alcuna ombra lunga di Grande Fratello nei confronti del Signore Unico del Social, ormai diventato padrone del Motore Unico al Mondo, del Negozio Unico al Mondo, delle fabbriche uniche del mondo, avendo asservito tutti gli oligarchi del digitale e oltre.
Il Signore Unico dei Social padrone del Paese Unico al Mondo avrà perfino algoritmato un ciclo di ricaduta, di “redistribuzione” dei suoi immensi (e unici) incassi, sincronizzata alle necessità di mantenere un tot di consumi del popolo del mondo, “sempre libero e sempre consenziente”. Perché tutti, ma proprio tutti avranno acconsentito, contrattualizzato la propria appartenenza con un clic oppure con un “sì” vocale forte e chiaro. Una redistribuzione consolidata per un flusso a circuito chiuso, totale, unico, blindato. Sicuro.
Di fatto un sistema fiscale privato, strutturato con intelligenze artificiali, ma su un modello antichissimo, in mano al nuovo Signore del Paese Unico al Mondo. Il tutto mecenatescamente affiancato da una fondazione personale. Soggetto di “charity”. Gratificante. Consolatorio.
Poi ho pensato al Signore Unico dei Social e mi sono domandato: “E se il suo Paese Unico al Mondo chiudesse i battenti?” Se il suo Governo, o lui Presidente e/o tutte le Istituzioni del mondo, le sue istituzioni, decidessero a maggioranza o d’imperio di chiudere, di azzerare il Paese Unico al Mondo? Oppure se una stupida ma letale guerra globale sbriciolasse le sue server farm, i suoi magazzini Unici con tutte le merci del mondo, la sua Clickpedia ormai unica, il suo NewsRoll, striscia unica con tutti i contenuti del mondo, la sua rete di connessione unica a 1000 tb/s, eccetera?
Cosa faremo noi, nessuno escluso, tutti appartenenti al Paese Unico al Mondo? Saremo orfani attoniti dell’unica appartenenza rimastaci? Anch’io, naturalmente. I miei amici non lavoreranno più per me, né io per loro? Le “mie” famiglie peninsulari indiane, peruviane, filippine e ucraine torneranno isole lontanissime con le radici strappate? I consumi non saranno più il perfetto incontro “intelligente” fra la domanda e l’offerta della Democrazia dell’Appartenenza (dell’appartenergli)? Torneremo soli? Sconnessi? Dispersi e persi? Senza la sua charity e i suoi filtri “intelligenti” contro le fake news e gli hater? Oppure passeremo, o saremo già passati da tempo senza averlo saputo, con una transazione “molto riservata” di trilioni di bitcoin, semplicemente dal Paese Unico al Mondo della Silicon Valley al Signore Unico della Terra di Mezzo?