Conservazione documentale

Conservazione elettronica, Guercio: “Nuove regole aprono scenari incerti”

Il quadro di regolazione nazionale costruito pazientemente in questi vent’anni sembrava aver fornito una cornice di riferimento. Adesso sembra, però, il governo si stia avviando verso l’ennesima riscrittura delle norme, prospettando uno scenario dai confini ancora incerti

Pubblicato il 02 Ago 2017

Mariella Guercio

Università Sapienza di Roma, Anai

Archivi

Uno degli standard più rilevanti e più persistenti nel mondo digitale, l’Open archives information system – OAIS, si basa sul presupposto che non si può anticipare il futuro delle trasformazioni tecnologiche, ma si deve cercare di assecondarne gli sviluppi grazie alla presenza di una struttura di riferimento flessibile ma concettualmente robusta e coerente. Il quadro di regolazione nazionale costruito pazientemente in questi vent’anni – nonostante le contraddizioni più volte sottolineate e i limiti dovuti all’assenza di controlli e monitoraggio – sembrava aver fornito una cornice di riferimento in linea con le raccomandazioni dello standard.

Dopo le ultime riforme del CAD approvate nel 2016, le amministrazioni e le imprese che avevano e hanno investito nell’innovazione – questa era almeno l’aspettativa diffusa degli stakeholder – avrebbero finalmente potuto affrontare con un quadro stabile un assestamento (anche migliorativo) delle soluzioni tecniche e organizzative sviluppate consolidando le esperienze maturate e avviando in modo operativo una nuova fase nei rapporti con i cittadini. L’abbiamo chiesto in molti e in tutte le sedi: nei convegni di Forum PA dell’ultimo anno ma anche nei numerosi contributi che le pubblicazioni digitali di settore hanno ospitato in questi mesi.

Alcuni segnali sembrano, tuttavia, indicare che il governo si sta avviando verso l’ennesima riscrittura del quadro normativo che non si limiterà a integrare le disposizioni esistenti con i necessari correttivi relativi all’adozione di servizi coerenti con quanto previsto dai regolamenti europei. Il Piano Triennale da un lato e le prime, sia pure parziali, anticipazioni sul nuovo CAD dall’altro aprono, infatti, uno scenario dai confini ancora incerti, ma sicuramente caratterizzati da modelli organizzativi diversi da quelli attuali.

E’ impossibile esprimere in questa sede e in questa fase una valutazione di merito tenuto conto che le informazioni disponibili si limitano alle indicazioni programmatiche del Piano Triennale per l’informatica nella PA 2017-2019 che AgID ha pubblicato alcune settimane fa. Certo, il metodo di lavoro non è rassicurante: un metodo che non ha previsto – a differenza del passato – nessun confronto con le amministrazioni e con gli operatori e i professionisti del settore e che si ridurrà nella migliore delle ipotesi a un breve periodo di valutazione pubblica nelle prossime settimane. Si avrà modo di tornare in futuro su questa tendenza ricorrente all’opacità del processo decisionale anche quando si trattano questioni pervasive che interessano una larga platea di interlocutori pubblici e settori cruciali per le imprese italiane. Non è in gioco la bontà delle soluzioni specifiche adottate (peraltro ancora scarsamente definite), bensì la perdita crescente (speriamo non definitiva) di capacità della classe politica e dei suoi manager di condividere scelte strategiche e di considerare con la necessaria attenzione e consapevolmente gli apporti rilevanti che possono derivare da occasioni di confronto adeguatamente gestite.

Per quanto riguarda, invece, la valutazione delle proposte operative che il Piano Triennale individua, ci sono aspetti che destano preoccupazioni soprattutto per l’incertezza con cui gli obiettivi sono indicati e le azioni delineate, altri che incuriosiscono e che meriterebbero una presentazione più dettagliata e una analisi dei contesti e delle pratiche esistenti, che invece sono del tutto assenti. Penso, ad esempio, alla proposta di radicale riorganizzazione del modello conservativo che il piano prefigura senza che si sia in precedenza affrontato o almeno reso noto l’esame delle forme attuali, ma anche alla decisione di adottare un sistema centralizzato per la gestione dei procedimenti amministrativi gestiti dalla PA sulla base di un documento sui requisiti funzionali, non funzionali e di progetto di enorme complessità e di difficile realizzazione, senza tuttavia prevedere nel triennio investimenti seri ma solo la definizione di linee guida e regole di interoperabilità.

Si tratta di ipotesi di sviluppo progettuale che – per essere operative – dovrebbero (dovranno?) dar vita a gare multi-milionarie senza alcuna garanzia di qualità e sostenibilità dei risultati, tanto più che il modello concettuale del documento di partenza sui requisiti (a sua volta non disponibile pubblicamente ma, inspiegabilmente, presente solo nel catalogo del riuso) include qualche rilevante errore metodologico, tra cui ad esempio la definizione della funzione  di classificazione allo stesso livello e con la stessa finalità dei processi di indicizzazione.

La classificazione archivistica ha una funzione originaria essenziale di organizzazione e definizione di relazioni stabili, giuridicamente rilevanti. Non è uno strumento di ricerca e di indicizzazione anche se può fornire basi solide per sostenere processi qualificati di ricerca semantica.  Vedremo se la revisione del CAD includerà, come paventiamo, anche indicazioni di questa natura (fuorvianti e quindi, alla fine, inutili) o se si tratterà di proposte (speriamo) solo integrative e non sostitutive dei principi archivistici. Restano, come si diceva, la preoccupazione e l’inquietudine per un intervento di rivisitazione significativa delle norme che rischia di essere approvato senza una riflessione adeguata fornendo ulteriori elementi e alibi a chi non ha tempo e voglia di trasformare le forme attuali della gestione documentaria. Anche sul fronte della conservazione il piano si configura in modo contraddittorio, proponendo da un lato qualche ipotesi innovativa e di sicuro interesse (la rete dei poli pubblici di conservazione), qualche buona definizione (quello di conservazione documentale), dall’altro errori sconfortanti (come nel caso della conservazione perenne distinta da  quella permanente o a lungo termine e incredibilmente affidata a una catena ininterrotta di marche temporali di durata decennale (dimenticandosi addirittura che il legislatore ha stabilito da tempo una durata ventennale delle operazioni di time stamping), per di più destinate alla cura dell’Archivio centrale dello Stato.

Molto ci sarebbe da dire in proposito, a cominciare dal fatto che di tutt’altra natura è e sarà il ruolo dell’Archivio centrale, anzi dell’amministrazione archivistica, dato che per statuto, almeno per ora, l’ACS ha compiti limitati ai soli organi centrali delle amministrazioni centrali dello Stato, né il Piano triennale è strumento in grado di modificarne lo statuto. Comunque, in nessun caso (e in nessun paese al mondo) la funzione di conservazione archivistica a lungo termine (permanente? Perenne?) può sensatamente essere ricondotta alla gestione di una inutile, costosa e anche un po’ ridicola verifica periodica della validità di marche temporali. Ben altro stabiliscono le regole tecniche, che – speriamo – la legislazione prossima ventura (l’ennesimo nuovo CAD) vorrà mantenere in vita nelle convincenti e autorevoli forme attuali, che garantiscono quel tanto o poco di cautela e di  coordinamento che la conservazione delle memorie future del paese richiedono.

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