La pubblicazione annuale dello European Innovation Scoreboard (EIS), soprattutto se valutato in raccordo al DESI (Digital Economy and Society Index, dedicato ai temi della trasformazione digitale con un focus particolare, ma non esclusivo, sulla maturità digitale delle pubbliche amministrazioni), è una importante occasione annuale di analisi e comparazione per una valutazione anche sulle condizioni abilitanti per l’innovazione e sui suoi impatti economici, con un’attenzione specifica sulle aziende.
Aree critiche e progressi a livello nazionale
Qui, sull’EIS, il nostro è un Paese che, globalmente, appare in leggera regressione (il punteggio è lievemente diminuito rispetto al 2010) e comunque con performance inferiori ai Paesi di riferimento per dimensione e PIL come Francia, Spagna, Germania e UK. Ad aspetti certamente positivi, come l’aumento della popolazione con istruzione terziaria (uno degli indicatori in cui siamo molto indietro questi Paesi di riferimento) o sull’attrattività dei sistemi di ricerca, fa da contraltare un peggioramento in alcuni indicatori che misurano le condizioni di base per l’innovazione (es. presenza di venture capital, strumenti finanziari di supporto, collaborazioni tra privati e tra pubblico e privato) e che si riflettono su un peggioramento evidente sugli impatti (occupati e vendite in innovazione). L’Italia è, così, in un trend europeo positivo (il punteggio medio dell’Unione Europea aumenta di 2 punti tra il 2010 e il 2016), uno dei 13 Paesi che registra un arretramento (non consistente però come Romania e Cipro), a fronte di 15 Paesi che migliorano le proprie prestazioni. Come punteggio complessivo l’Italia è nel gruppo mediano degli “Innovatori Moderati”, molto dietro la media europea e i gruppi dei “forti innovatori” (in cui compare la Francia) e dei “leader”, in cui troviamo Svezia, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Regno Unito e Germania.
La tendenza dell’Unione Europea è di continuare su questo miglioramento moderato, con un ulteriore 2% tra due anni, che però è inferiore a quello previsto per i principali Paesi asiatici. Il rapporto infatti sottolinea che “a livello globale si prevede che le tendenze osservate negli ultimi anni siano destinate a continuare, con il recupero dell’UE sugli Stati Uniti tra due anni, mentre il divario nel rendimento innovativo dell’UE nei confronti del Giappone e della Corea del Sud potrebbe aumentare ulteriormente e il vantaggio sulla Cina ridursi ancora”.
In questo quadro, se l’Italia non si rafforza rapidamente sulle aree di attuale debolezza, il divario con i primi due gruppi (“forti innovatori” e “leader”) è destinato ad aumentare.
La situazione in ambito regionale
Per una più approfondita analisi del “dove intervenire” per favorire lo sviluppo dell’innovazione è senz’altro utile valutare le dinamiche territoriali, e lo studio quest’anno è infatti arricchito dalla pubblicazione del “Regional Innovation Scoreboard”.
In linea generale (vedi figura sotto), le performance delle regioni sono allineate con quelle dei Paesi di appartenenza. Il divario all’interno dei Paesi è però in alcuni casi comunque significativo, soprattutto su alcuni indicatori. Questo è il caso italiano, dove anche visivamente dalla mappa si nota una frattura tra la maggior parte delle regioni del centro-nord (con eccezione di Liguria e Valle d’Aosta) che rientrano nel gruppo degli “Innovatori Moderati +” e la totalità delle regioni del Sud e delle Isole che rientrano nel gruppo degli “Innovatori Moderati -”. Nel mezzo (gruppo degli “Innovatori Moderati”) alcune regioni del Nord e Molise, Abruzzo e Marche. Il divario tra la regione con più basse performance del gruppo degli degli “Innovatori Moderati +” (il Lazio) e quella con più alte performance del gruppo degli “Innovatori Moderati -” (Puglia) è di ben 15 punti, mentre il divario tra la prima regione (Friuli Venezia Giulia, in crescita) e l’ultima (Sicilia, in flessione) è di oltre 36 punti. Complessivamente in 12 regioni, la performance è migliorata, in particolare per la Calabria (+7.7%) e la Toscana (+6.6%). Per otto regioni, invece, è peggiorata, in particolare il Lazio (-2,9%).
Entrando più nello specifico degli indicatori, e considerando le aree più critiche a livello nazionale:
- gli indicatori che misurano il contesto regionale (risorse umane e sistemi di ricerca attrattivi), vedono differenze significative tra le regioni del centro-nord e quelle del sud e isole maggiori. Sui sistemi di ricerca attrattivi le performance sono mediamente oltre la media, ma qui hanno un impatto notevole le pubblicazioni scientifiche e quindi in modo fondamentale l’attività delle università. Sul fronte risorse umane, il livello di istruzione “terziaria” è basso in tutte le regioni (si “salvano” solo Umbria e Provincia di Trento), ma le performance peggiori (in modo significativo tra le peggiori a livello europeo) si riscontrano nelle Isole maggiori, in Basilicata e in Puglia. Con un divario enorme: quasi 32% di popolazione tra 30 e 34 anni in Umbria ha una istruzione superiore a quella secondaria e poco sopra il 18% in Sicilia;
- nel “lifelong learning” la provincia di Bolzano, quella di Trento e il Friuli Venezia Giulia sono nel gruppo delle regioni europee con più alte performance, mentre diverse regioni (e in particolare quelle del Sud) sono nel gruppo con medio-basse performance;
- per quanto riguarda gli investimenti, le spese sui settori di business (e quindi immediatamente riportabili ad effetti sulle PMI) sono molto basse, con alcune regioni del Sud tra le più basse in Europa e qualche regione (Emilia Romagna, Piemonte) che rientra nel gruppo delle migliori europee;
- per le attività innovative, misurate soprattutto sulle PMI, e basate su una rilevazione statistica, le performance sono molto differenti tra Centro-Nord e Sud, con alcune eccezioni nei due gruppi (in negativo soprattutto Abruzzo e Marche e in positivo Calabria), ma con la percezione generale di un approccio molto poco organico all’innovazione delle PMI, e con un conseguente sviluppo molto poco armonico, che privilegia di volta in volta per le diverse regioni solo alcuni aspetti (es. prodotti, piuttosto che collaborazione, o applicazione al marketing). Con una frattura molto pronunciata Nord-Sud sui brevetti;
- gli impatti, conseguentemente, ne risentono in modo significativo, sia a livello di occupati in imprese innovative sia di fatturato, con un’articolazione delle performance che penalizza il Sud e le Isole, con qualche eccezione (ad esempio, la Basilicata).
Conclusioni
La scoreboard sull’innovazione nelle regioni ha il limite di non correlarsi in modo compiuto con la scoreboard sulla maturità digitale (identificata nel DESI) e di basare una parte importante della rilevazione su questionari.
È indubbio, però, che i macrosegnali sono evidenti ed espliciti per l’Italia: la divaricazione di performance tra regioni del Centro-Nord da una parte e del Sud e Isole dall’altra diventa sempre più pronunciata e non sembra che l’intervento in ambito di investimenti e di spinte politiche verso l’innovazione delle Pmi abbia l’organicità e l’omogeneità che sarebbe necessaria.
Ne deriva una situazione molto sfilacciata, e con la percezione di una strategia ancora da mettere a punto e tale da conseguire risultati concreti. Certamente, ancora non possono vedersi gli impatti della strategia Industria 4.0, ma rispetto a una situazione così frammentata su tutto il fronte delle PMI è auspicabile un approccio pervasivo e deciso, a breve. Probabilmente recuperando un ruolo centrale e più forte, che sia sempre più visibilmente di coordinamento e di indirizzo.