Secondo quanto previsto dal documento “Strategia per la crescita digitale 2014-2020”, il 2017 avrebbe dovuto essere l’anno decisivo per la digitalizzazione della Sanità italiana, con l’avvio di una serie di importanti iniziative: dallo sviluppo di servizi digitali a livello aziendale e regionale (dematerializzazione delle cartelle cliniche e dei referti, prenotazioni e pagamenti online, ecc.) fino alla realizzazione di Fascicoli Sanitari Elettronici (FSE) regionali interoperabili.
La fotografia scattata lo scorso maggio dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano mostra un quadro con luci e ombre: se da un lato molte Regioni si sono effettivamente mosse nella realizzazione dei piani di sviluppo del FSE[1] – a seguito dell’emanazione del Decreto attuativo avvenuta a fine 2015 – dall’altro stentano a partire quelle iniziative sistemiche necessarie a dare concretezza agli obiettivi definiti dalla Strategia per la crescita digitale e dal Patto per la Sanità Digitale. Non sembrano esserci, in particolare, sostanziali progressi relativamente alla definizione del Master Plan triennale che doveva consentire di concretizzare il Patto per la Sanità Digitale e quindi supportare tanto le Regioni quanto le aziende sanitarie nello sviluppo di iniziative di digitalizzazione.
L’impatto di questo ritardo risulta evidente se guardiamo la spesa dedicata al digitale da parte delle aziende sanitarie: nel 2016 tale spesa è stata di 870 milioni di euro, con una riduzione del 6% rispetto al 2015 (930 milioni di euro). Alla base di questa riduzione, secondo le Direzioni Strategiche delle aziende sanitarie intervistate dall’Osservatorio Innovazione Digitale, c’è la mancanza di risorse economiche (65%) e umane (50%) per l’innovazione digitale. I tagli alla Sanità che sono stati messi in atto negli scorsi anni e l’assenza di nuovi finanziamenti, che sarebbero dovuti arrivare dal Patto per la Sanità digitale, hanno, nei fatti, bloccato lo sviluppo di azioni concrete di innovazione digitale.
A complicare ulteriormente la situazione il nuovo Codice degli Appalti, approvato il 18 aprile 2016, che avrebbe dovuto facilitare una maggiore e migliore collaborazione tra pubblico e privato, ma che a tutt’oggi sembra aver introdotto ulteriori complessità ed incertezze interpretative rallentando ulteriormente gli investimenti delle strutture sanitarie pubbliche. Il 45% dei Chief Information Officer (CIO) e il 30% dei Direttori Amministrativi (DA) ritengono che il nuovo codice sia eccessivamente complesso e finisca per dare un’ingiustificata rigidità delle procedure di aggiudicazione (31% dei CIO e 41% dei DA). Inoltre, secondo il punto di vista delle Direzioni Amministrative, l’istituzione dei soggetti aggregatori, che dovrebbe conciliare lotta alla corruzione, efficienza e innovazione, porterà a ulteriori allungamenti dei tempi associati al processo di acquisto (secondo il 56% dei DA) e a maggiori incertezze nel processo stesso (41%).
La mancanza di risorse economiche e l’incertezza normativa, tuttavia, sono solo una parte del problema: il digitale stenta a decollare spesso a causa di una bassa cultura digitale tra gli addetti ai lavori, una barriera riconosciuta come rilevante dal 34% delle Direzioni Strategiche. Proprio la presenza di questo gap culturale, combinandosi con le incertezze normative e le difficoltà economiche, ha ulteriormente accentuato il divario tra Regioni in termini di digitalizzazione della Sanità. In particolare, le Regioni che negli ultimi anni si sono mosse attivamente, promuovendo l’innovazione digitale, non hanno atteso i decreti, ma hanno in molti casi scelto di giocare “in contropiede”, cercando di anticipare e indirizzare piuttosto che subire le decisioni dei livelli decisionali centrali. Nell’ottica di favorire l’affermazione di standard condivisi e di evitare che scelte centrali tardive possano compromettere anni di investimenti e iniziative in corso di implementazione, queste stesse realtà regionali di punta si propongono in sempre più casi a supporto delle “inseguitrici”, per fornire loro competenze e soluzioni che possano aiutarle a colmare il ritardo accumulato.
La capacità di accelerare il percorso di digitalizzazione del sistema sanitario dipenderà da come i diversi livelli di governo centrale e regionale sapranno superare pregiudizi e incomprensioni e da come riusciranno a collaborare per facilitare il trasferimento di competenze e soluzioni nonché convergere verso standard condivisi.
Nei prossimi mesi, in particolare, Ministero della Salute, AgID, Regioni e Aziende Sanitarie saranno chiamate a lavorare assieme per affrontare alcune sfide di sistema:
- utilizzare al meglio le limitate risorse economiche messe a disposizione, come ad esempio quelle che rientrano nel PON governance “ICT per la salute” per formulare ed avviare piani coerenti di digitalizzazione: la reale disponibilità di queste risorse dipenderà dalla capacità di programmazione e gestione di progetti e strumenti finanziari complessi, capacità la cui carenza nel nostro Paese ha già portato in passato alla perdita di enormi opportunità e disponibilità di risorse;
- investire sulla formazione e diffusione di competenze tecnologiche, manageriali e normative per l’innovazione digitale: la presenza di cultura e professionalità per l’Innovazione Digitale rappresenta un pilastro fondamentale per poter avviare il cambiamento strutturale e organizzativo necessario al nostro Sistema Sanitario;
- sviluppare soluzioni digitali basate sulle reali esigenze dell’utente: un approccio di innovazione bottom-up consente di coinvolgere gli utenti fin dalle fasi di progettazione del servizio e ne aumenta, quindi, l’accettazione e l’utilizzo.
Solo attraverso questo sforzo condiviso, la consapevolezza ormai acquisita circa l’importanza di utilizzare il digitale per andare verso un sistema sanitario più moderno e sostenibile si tradurrà in un miglioramento reale al servizio del Paese e dei cittadini.