Il diritto dei cittadini al Foia ora dovrà affrontare le incognite dell’interpretazione giuridica da parte delle pubbliche amministrazioni. E’ quanto emerge facendo un punto sulle norme relative al Freedom of information act, alla luce della circolare n. 2/2017 (del 30 maggio 2017) pubblicata il 13 luglio, del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione recante “Attuazione delle norme sull’accesso civico generalizzato (c.d. FOIA)”, rivolta alle pubbliche amministrazioni.
Vediamo, dall’analisi della circolare, le potenzialità e i rischi a venire.
L’obiettivo della circolare è chiarito fin dalla premessa: dopo le indicazioni operative ai fini della definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico, fornite con le linee guida di ANAC (delibera n. 1309 del 28 dicembre 2016), «la successiva pratica applicativa ha evidenziato la necessità di fornire alle amministrazioni ulteriori chiarimenti operativi, riguardanti il rapporto con i cittadini e la dimensione organizzativa e procedurale interna». Di conseguenza, la circolare viene adottata al fine di promuovere una coerente e uniforme attuazione della disciplina sull’accesso civico generalizzato e riguarda in specifico: le modalità di presentazione della richiesta; gli uffici competenti; i tempi di decisione; i contro-interessati; i rifiuti non consentiti; il dialogo con i richiedenti; il registro degli accessi.
Non potendo analizzarne l’intero contenuto, mi soffermerò su alcuni aspetti degni, a mio avviso, di particolare attenzione.
Innanzitutto è significativa, in premessa, la qualificazione dell’accesso civico generalizzato fornita dalla circolare: libertà di accesso che «garantisce il bene “conoscenza” in via autonoma, a prescindere dalla titolarità di un interesse qualificato e differenziato».
La conoscenza si delinea espressamente come bene comune della società degno di tutela autonoma per «rafforzare il carattere democratico dell’ordinamento, promuovendo un dibattito pubblico informato e un controllo diffuso sull’azione amministrativa».
Tale qualificazione non è meramente teorica, ma è densa di significato e ne discendono, non a caso, quelli che sono delineati dalla circolare come criteri guida nell’applicazione della normativa.
Il primo consiste nel principio della tutela preferenziale dell’interesse a conoscere: «nei casi di dubbio circa l’applicabilità di una eccezione, le amministrazioni dovrebbero dare prevalenza all’interesse conoscitivo che la richiesta mira a soddisfare».
Se è condivisibile il principio e la sua declinazione, deducibile dallo stesso dettato normativo, più complessa in concreto ne è l’attuazione. Infatti, può avvenire (e sovente avviene) che il dubbio riguardi altri diritti come gli interessi privati che costituiscono eccezione al diritto a conoscere, ma che per far scattare quella eccezione devono recare quel “pregiudizio concreto” che la norma prevede e che può essere complesso individuare: può essere difficile risolvere solo con la prevalenza del diritto a conoscere in considerazione del fatto che anche quegli interessi sono fortemente tutelati dall’ordinamento giuridico.
Il secondo consiste nel criterio del minor aggravio possibile nell’esercizio del diritto, che si traduce nella generale impossibilità di dichiarare inammissibile una domanda di accesso generalizzato per motivi formali o procedurali. Il principio affonda nei criteri stessi di una buona gestione del procedimento amministrativo e non può che essere condivisibile. L’indicazione può sembrare superflua, ma non lo è in considerazione della formalità (e dell’eccesso di formalità) che spesso rischia di viziare l’agire pubblico.
La circolare poi affronta i “regolamenti interni” delle amministrazioni, chiarendo che questi devono limitarsi esclusivamente ai profili procedurali e organizzativi di carattere interno, dal momento che i profili di rilevanza esterna, che incidono sull’estensione del diritto (disciplina dei limiti o delle eccezioni), sono coperti da riserva di legge. Questa precisazione è incontrovertibile, dato che affonda le sue motivazioni nella gerarchia delle fonti del diritto e nei principi fondanti dell’ordinamento. Forse a questo proposito, anche in considerazione proprio dell’oggetto da disciplinare, sarebbe stato opportuno chiarire le tipologie di atto idonee per l’approvazione dei regolamenti interni: una deliberazione, infatti, può considerarsi adeguata all’oggetto da regolare.
Riguardo le modalità della richiesta la circolare si concentra sull’identificazione dell’oggetto e del soggetto.
Per quanto riguarda l’oggetto, applicando il criterio di minor aggravio sopra citato, in caso di c.d. richiesta generica o c.d. richiesta esplorativa, l’amministrazione dovrebbe assistere il richiedente al fine di giungere a una adeguata definizione dell’oggetto della domanda, senza dichiararne subito l’inammissibilità. Questo atteggiamento “collaborativo” dell’amministrazione nei confronti del cittadino, teso a rendere effettivo il suo diritto a conoscere, ricorre nella circolare anche nei chiarimenti relativi alle richieste massive o manifestamente irragionevoli, quando si invitano le amministrazioni a «contattare il richiedente e assisterlo nel tentativo di ridefinire l’oggetto della richiesta entro limiti compatibili con i principi di buon andamento e di proporzionalità».
La circolare, più in generale, opportunamente esplicita la necessità di un «dialogo cooperativo» con il richiedente, in linea con un modello di open government basato sulla partecipazione e sulla collaborazione, che deve declinarsi in concreto in un rapporto bilaterale di cooperazione, in cui le parti “giocano insieme” per raggiungere lo scopo.
Più problematica l’identificazione del soggetto: la circolare chiarisce che «in linea di principio, l’identificazione del richiedente non è necessaria ai fini dell’esercizio del diritto» in linea con il dettato normativo, ma che, tuttavia, «l’identificazione del richiedente è indispensabile ai fini di una corretta gestione delle domande», concludendo che «l’identificazione del richiedente va intesa come condizione di ricevibilità della richiesta»: di conseguenza, se la richiesta è anonima o da parte di un soggetto la cui identità sia incerta l’amministrazione deve comunicare al richiedente la necessità di identificarsi.
La circolare, sempre per quanto riguarda l’aspetto soggettivo, si sofferma poi sulle domande di accesso provenienti da giornalisti e organi di stampa o da organizzazioni non governative, raccomandando in tal caso alle amministrazioni di «verificare con la massima cura la veridicità e la attualità dei dati e dei documenti rilasciati, per evitare che il dibattito pubblico si fondi su informazioni non affidabili o non aggiornate». Seppur sia chiaro e condivisibile l’intento della circolare, che ribadisce «la necessità di istruire in modo completo e accurato ogni singola richiesta di accesso a prescindere dall’identità del richiedente», il rischio di tale precisazione è lo scivolamento in valutazioni di “opportunità” che giustamente in altro passaggio della circolare si invita a non compiere. In realtà, infatti, la preoccupazione che spinge tale precisazione può insorgere anche in altri casi: ricercatori, associazioni o soggetti privati che comunque basino sui dati rilasciati ricerche, analisi o studi, che verranno magari diffusi. Direi, più prudentemente, che in ogni caso è necessaria quella cura che la stessa circolare richiama senza rischiare che le amministrazioni possano interpretare le richieste come serie A o serie B (nell’accoglimento o nell’attenzione nel fornire i dati) a seconda del richiedente, quando in realtà il diritto stesso non pone volutamente attenzione di alcun tipo alla qualificazione soggettiva, affidandosi al rassicurante “chiunque” che parifica tutti e ciascuno. Per lo stesso ordine di motivi prevedere come informazione facoltativa della richiesta di accesso “la finalità di richiesta” rischia di essere scivoloso soprattutto quando tra gli obiettivi della richiesta di questo dato, accanto ai fini statistici e alla precisazione ulteriore dell’oggetto della richiesta, si pone il fatto di «adottare una decisione che tenga conto della natura dell’interesse conoscitivo del richiedente». Qui rischia di riemergere, anche se facoltativamente, la motivazione che per norma non è richiesta.
Certo, le intenzioni sono chiare, ma anche se la circolare serve a interpretare la norma e a dare indicazioni per la sua attuazione, la circolare stessa sarà interpretata da tutti coloro che dovranno dare attuazione a questo fondamentale diritto. E pur con tutta la fiducia per chi dovrà attuare la circolare, va tenuto sempre in considerazione il mostro della “prassi conservativa” che rischia sempre di allontanare la realtà dai diritti normativamente previsti.