Aleggia in rete, da tempo, tra gli addetti ai lavori, un dilemma. Lo scarso livello nell’utilizzo dei servizi di eGovernment che pone l’Italia tra i peggiori in Europa, è più un problema di domanda o di offerta? Il nostro Paese sconta maggiormente un ritardo culturale nelle competenze digitali dei suoi cittadini, oppure la PA non offre adeguati servizi alla propria utenza?
Adesso abbiamo elementi sempre più forti, da diverse fonti, per provare a dare una risposta. E la risposta è che è un problema soprattutto di offerta.
Si prenda per esempio il Digital Economy and Society Index (DESI), che misura i progressi dei Paesi europei in termini di digitalizzazione dell’economia e della società e che è stato pubblicato qualche mese fa dalla Commissione Europea. Denuncia il grave ritardo in cui versa il Paese nell’area Servizi Pubblici Digitali.
L’Italia si posiziona 21esima su 28 Paesi europei per digitalizzazione dei suoi servizi pubblici; l’ultimo rapporto dell’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano, pubblicato in questo luglio 2017, fotografa una PA in cui Oltre il 50% dei Comuni italiani non offre servizi digitali ai cittadini. D’altra parte chi ne fa chi ne fa soprattutto una questione di domanda individua nel basso livello di competenze digitali dei cittadini italiani il principale responsabile dello scarso utilizzo dei servizi di eGovernment. A questo riguardo il DESI rileva anche come solo il 16,4% dei cittadini italiani abbia inviato digitalmente negli ultimi 12 mesi moduli precompilati alle PA, contro una media europea del 33,6%. Qualcuno a questo punto abitualmente asserisce che la colpa sia soprattutto delle scarse competenze digitali italiane.
Questa tesi però vacilla se si confrontano tali performance con i dati rilevati nella ricerca 2016 dell’Osservatorio Multicanalità (una collaborazione tra il Politecnico di Milano, Nielsen, Nielsen Online e Connexia), che rileva come, dei 31,5 milioni di italiani utilizzatori di internet, ben il 65% abbia concluso un acquisto on line nel 2016. Si intuisce che il livello delle competenze digitali dei cittadini è solamente una delle criticità legate all’utilizzo dei servizi on line della PA. Ci sono enormi problemi di offerta, come ben raccontano i numeri riportati a inizio articolo. Se i servizi digitali non sono disponibili o sono poco fruibili è difficile che vengano utilizzati.
E c’è infine un terzo elemento, ancora più recente. Cominciano a esserci sempre più casi di buoni servizi pubblici digitali, appena realizzati, che riscuotono un successo rilevante d’utenza (noi abbiamo tracciato un esempio al Comune di Firenze, al quale dedicheremo un prossimo articolo).
Per comprendere a fondo il fenomeno è bene considerare i risultati di uno studio sui desiderata dei cittadini condotto nel 2016 dal Politecnico di Milano in stretta collaborazione con l’Agenzia per l’Italia Digitale. La ricerca, che ha coinvolto un campione statisticamente rappresentativo di 2000 cittadini, ha rilevato che:
- il 48% dei cittadini predilige l’interazione con la PA attraverso il canale fisico tradizionale in quanto non trova il canale digitale sufficientemente attrattivo;
- il 37% dei cittadini dichiara di essere favorevolmente propensa a interagire con la PA attraverso i canali digitali.
In particolare, questi utenti sono molto favorevoli a cogliere tutte le opportunità offerte dal digitale: un unico sistema di autenticazione nazionale, il confronto via Web con altri utenti per lo scambio di esperienze sui servizi usufruiti e anche l’introduzione di inserzioni pubblicitarie, se ciò consente di migliorare i servizi e quindi aumentare i benefici per l’utente.
Occorre pertanto incentivare allo stesso modo sia l’offerta che la domanda di servizi pubblici digitali.
Sulla prima si deve accelerare con iniziative come SPID e PagoPa che — centralizzando e rendendo disponibili “a scaffale” soluzioni digitali chiave ma di difficile implementazione (come la gestione delle identità digitali e quella dei pagamenti elettronici) — consentiranno alle PA di liberare energie e risorse da usare per meglio comprendere le esigenze dei cittadini, producendo e offrendo servizi digitali che rispondano efficacemente ai loro bisogni.
Oltre il 50% dei comuni italiani ha digitalizzato meno del 3% dei propri servizi di Front Office. In altre parole, la metà dei comuni del nostro Paese non offre nessun servizio digitale ai cittadini. È uno dei principali risultati della ricerca condotta nel 2016-2017 dall’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano. L’Osservatorio ha indagato il livello di digitalizzazione di Front Office (FO) e Back Office (BO) di 23 ambiti di servizi comunali e ha suddiviso i comuni italiani in quattro cluster:
- sono completamente “Non Digital” il 35% dei comuni italiani, per lo più sotto i 5.000 abitanti;
- nella categoria “Beginners” si trovano i comuni che hanno mosso i primi passi verso la digitalizzazione (50% BO e 15% FO digitale): sono il 40% dei comuni tra i 5.000 e i 50.000 abitanti e il 15% di quelli oltre i 50.000 abitanti;
- al lato opposto si collocano i “Digital Believers” (il 32% dei comuni grandi e il 7% dei piccoli), che hanno informatizzato il 70% dei sistemi BO e nel 25% dei casi hanno anche sistemi di FO digitali;
- vere eccellenze sono i “Digital Champions”, circa il 4% dei Comuni (la maggior parte di grandi dimensioni), che hanno quasi il 90% del BO e oltre il 60% del proprio FO informatizzati, anche se solo il 40% dei sistemi sono tra loro integrati.
Al di là degli specifici cluster, è importante sottolineare che:
- il 30% della popolazione italiana non può interagire online con la PA locale in quanto non ci sono servizi interattivi
- il 25% degli italiani può usufruire solo del 30% dei servizi digitali di cui godono i cittadini dei comuni classificati come “Digital Champions”.
Insomma: un’Italia a due velocità anche nella corsa alla digitalizzazione dei servizi pubblici.
Lato domanda, bisognerà lavorare su quegli aspetti che la ricerca del Politecnico ha fatto emergere come attrattivi, in modo da aggredire la percentuale di cittadini poco propensa all’interazione digitale con la PA:
- Sicurezza: avere riscontro immediato sul buon esito e/o eventuali errori;
- Velocità: metterci minor tempo possibile;
- Chiarezza: avere supporti informativi sulle fasi dell’operazione e su come risolvere eventuali problemi;
- Disponibilità: non avere vincoli di orario;
- Personale a supporto: poter interagire durante l’operazione;
- Accessibilità: poterlo fare da casa/ufficio/viaggio;
- Usabilità: il sistema è facile da utilizzare;
- Convenienza: bassi costi di utilizzo.
Negli ultimi anni AgID ha lavorato anche in questa direzione, conducendo diverse azioni atte a semplificare lo sviluppo e l’utilizzo dei servizi digitali prodotti dalle PA e ha emanato le Linee guida di design per i servizi e i siti della PA, con gli obiettivi di:
- definire regole comuni per la progettazione di interfacce, servizi e contenuti;
- migliorare e rendere coerente la navigazione e l’esperienza del cittadino;
- ridurre la spesa della PA nella progettazione/realizzazione di nuovi prodotti (applicazioni, siti, servizi digitali).
Il lavoro svolto dal Team per la Trasformazione Digitale ha posto ulteriore enfasi sull’importanza di offerta e domanda di servizi pubblici digitali. Il Piano triennale intende infatti supportarne lo sviluppo con diverse strategie, in particolare:
- la diffusione delle piattaforme abilitanti: CIE, SPID, PagoPA, FatturaPA, ANPR, NoiPA;
- la produzione di linee guida e kit di sviluppo: che aiutino chiunque voglia sviluppare servizi;
- la creazione delle community di sviluppatori, designer e gestori di servizi digitali.
Ci aspettiamo di vedere gli effetti di questi importanti cambiamenti nel posizionamento dell’Italia nel DESI 2018. È una scommessa difficile ma non impossibile.