Facebook ha investito nel fact-checking rivolgendosi a gruppo terzi per avere la verifica delle informazioni. Qualora non fossero risultate attendibili venivano marcate con un “disputed”.
L’intenzione era quella di fornire uno strumento in più agli utenti per districarsi nell’ecosistema informativo tra notizie vere e false.
Uno recente studio fatto a Yale prova a far chiarezza sull’efficacia di questa soluzione e i risultati sono poco incoraggianti.
C’è da dire che non poche volte era stato fatto presente che il problema era molto più profondo e grave.
Facebook in questo contesto si trova tra l’incudine e il martello. La vera questione è la responsabilità dei contenuti. Prendere un ruolo attivo nel filtraggio automaticamente implica anche una responsabilità su ciò che circola online passando da piattaforma a un ibrido strano di media-broadcaster.
L’errore sarebbe proprio confondere i due livelli.
E’ facile cadere in errore, il sistema è nuovo, il paradigma è cambiato e la concentualizzazione scricchiola. Il rischio è di creare meccanismi ancora più perversi.
Bisogna inquadrare il problema per quello che è:
C’è un mare magnum di informazioni e narrative, tendiamo a selezionare quello che maggiormente ci aggrada e finiamo per incontrare nostri simili. Si innesca cosi il circuito che porta alla emergenza delle cosiddette “Echo Chamber” (casse di risonanza e non camere dell’eco) in cui tendiamo a strutturare e modulare le nostre credenze secondo una narrativa condivisa da un gruppo.
I giornalisti competono con praticamente chiunque abbia accesso ad una connessione internet, non c’è ordine dei giornalisti che tenga (negli Stati uniti dicono che sarebbe ritenuto anticostituzionale).
Vanno invece intercettato il fabbisogno informativo delle persone a scapito dei deliri (tipo le varie argomentazioni per legittimare il proprio operato che vanno dal negare le echo-chambers o appellarsi al fact-checking per risolvere il problema).
C’è una crescente sfiducia nei corpi intermedi, nella classe dirigente. Dovrebbe coadiuvare, non fare proselitismi sulla sua legittimità.
L’autoreferenzialità genera mostri, se poi incide sulla sfiducia c’è poco da essere ottimisti.
Purtroppo quello che manca è il riconoscimento del principio di terzietà.
In un sistema basato sul diritto, un contenzioso si risolve avvalorando le proprie tesi e poi un “giudice” ha il compito di dirimere la faccenda e il suo esito viene accettato da entrambe le parti in dibattimento. Mancando questo principio e nella totale disintermedizione c’è il caos totale.
Invocare Aristotele serve a poco.
C’è bisogno di un ente terzo che faccia gli interessi dei cittadini nel tenere sotto controllo l’attività informativa coinvolgendo tutte la parti in causa dagli utenti, alle istituzioni alle aziende erogatrici dei servizi.
L’autoregolamentazione a cui puntano Facebook, Google e gli altri è impensabile.