dati personali

Intelligenza artificiale e salute: il sogno dell’immortalità alla prova del GDPR

L’Intelligenza Artificiale svolge un ruolo connesso ma diverso dalla ricerca di nuove forme di terapia, farmaci o tecnologie di cura, che può avere come fine il raggiungimento di livelli sempre più elevati di conoscenza per assicurare, modalità sempre più raffinate di tutela della salute e di prevenzione delle malattie

Pubblicato il 15 Set 2017

Franco Pizzetti

professore emerito in diritto costituzionale, Università di Torino, ex Garante Privacy

salute sul lavoro

Lo sviluppo delle tecnologie digitali sta procedendo con una velocità superiore alla capacità degli esseri umani di comprendere non tanto i cambiamenti in atto quanto il futuro che questi fanno intravedere.

Soprattutto è frequente pensare che le tecnologie procedano secondo strade proprie, senza un progetto complessivo di società che le guida.

Si tratta di un modo di vedere il rapporto tra tecnica e progettazione sociale ricorrente nel pensiero umano e sempre smentito dai fatti.

In realtà sviluppo tecnologico e costruzione di nuovi modelli di società hanno sempre proceduto di pari passo, e spesso secondo un pensiero politico e filosofico coerente e dichiarato.

Questo sta accadendo anche oggi.

L’autore che in questo momento meglio esprime il progetto che guida lo sviluppo delle tecnologie digitali e in particolare dell’intelligenza artificiale, è certamente Yuval Noha Harari non solo col suo libro Homo Deus ma anche con le conferenze che sta tenendo in tutte le principali Università del Regno Unito e degli States.

Ovviamente, come sempre capita quando tecnologia e sviluppo di un progetto politico e sociale vanno mano nella mano, vi è sempre chi progetta e chi diffonde, chi cura soprattutto lo sviluppo tecnologico e chi comunica ciò che è necessario affinché questo processo di cambiamento sia accettato e sostenuto anche dall’opinione pubblica.

Il cambiamento in atto è potenzialmente (ma meglio sarebbe dire concretamente) enorme. Passa attraverso la raccolta massiccia e tendenzialmente infinita dei dati personali di miliardi di esseri umani, e in prospettiva di tutta l’umanità. Dati personali che possono riguardare come gli esseri umani sono, cosa pensano, quali emozioni hanno, quali relazioni intrecciano, quali comportamenti hanno, quali sono le loro preferenze, i loro sogni, le loro speranze, le loro difficoltà.

Ma la conoscenza più approfondita possibile degli uomini, raggiunta attraverso le tecniche di raccolta massiva di dati personali di ogni tipo (dalle foto ai messaggi, dagli emoji ai video) non è uno scopo fine a sé stesso, né le tecniche di Big data, Data mining, Data analysis, Machine learning hanno ormai scopi unicamente commerciali e men che mai si limitano a profilazioni di massa per sviluppare nuove forme di business. Così come, in maniera analoga, tanto i social network quanto i sistemi di advising non hanno più come scopo unico e principale, l’incremento del loro business o la raccolta dati a fini commerciali.

L’obiettivo di fondo è offrire all’uomo sempre più ciò che egli pensa di aver bisogno e desidera mentre allo stesso tempo, grazie alla conoscenza acquisita dei suoi desideri e dei suoi sogni, lo si guida a credere di “sapere” quali siano le sue necessità e i modi possibili per soddisfarle. La connessione tra tecnologia e costruzione sociale da sempre consiste esattamente nel fatto che i nuovi strumenti messi a disposizione dell’uomo ne cambiano comportamenti, abitudini e potenzialità. Nel nuovo mondo in cui siamo entrati il processo è però molto più complesso. L’obiettivo è infatti quello di usare la tecnologia per costruire l’uomo nuovo, e allo stesso tempo di convincere gli esseri umani a rinnovare sé stessi e le proprie abitudini grazie alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie.

Solo in questo contesto possiamo capire la spinta fortissima allo sviluppo dei sistemi IoT proposti come forme di liberazione da una parte crescente del peso quotidiano di vivere. Ed è in questo quadro che si colloca la spinta sempre più enfatizzata all’uso e all’implementazione della robotica come forma di liberazione dell’uomo dal peso del lavoro.

E’ banale pensare che la tematica dei robot, compresa la responsabilità relativa ai danni eventualmente da essi provocati, possa essere risolta semplicemente richiamando la realtà del rapporto tra padrone e schiavo dell’antichità greco-romana.

Il mutamento è infinitamente più profondo, anche perché sia i robot che ogni forma di IoT e di Intelligenza artificiale sono il prodotto degli esseri umani e dei gruppi sociali che guidano lo sviluppo delle nuove tecnologie.

In fondo quello che si propone all’uomo con la robotica è la liberazione dalla “maledizione del lavoro”, uno dei grandi sogni dell’umanità.

Vi è però un sogno molto più profondo che caratterizza l’uomo lungo tutto il corso della sua storia: la ricerca dell’immortalità.

Grazie allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale, della robotica e del sistemi di Machine learning applicati alla ricerca medica e scientifica e all’uso di strumenti di cura sempre più avanzati, le nuove tecnologie offrono oggi agli uomini, la speranza dell’immortalità, o almeno quella di prolungare sempre più la loro vita.

Le tecniche di raccolta e analisi massiva di dati personali relativi alla salute, e persino la raccolta di campioni biologici o comunque di informazioni che consentono di studiare le caratteristiche fisiche e le eventuali patologie di ciascuno, si sviluppano sempre più velocemente.

IBM e Microsoft sono alla guida di questi processi, che si basano innanzitutto sulla raccolta più ampia possibile di informazioni relative alla salute e ai trattamenti sanitari del numero più elevato possibile di esseri umani.

La sperimentazione farmaceutica, e in generale la verifica di nuove possibilità di cura, comportano inoltre nuove forme di trattamenti dei dati personali; impongono modalità e tempi di archiviazione dei dati raccolti e usati per gli esperimenti scientifici sempre più lunghi e potenzialmente indeterminati; implicano la necessità di scambi continui di informazioni tra ricercatori e sperimentatori; richiedono flessibilità nelle finalità di ricerca in modo da poterne modificare i percorsi tenendo conto dei risultati, spesso parziali, di volta in volta raggiunti.

Lo scambio di dati, di informazioni e dei risultati delle ricerche fra scienziati e strutture di analisi e trattamento delle informazioni, comprese quelle relative ai comportamenti degli esseri umani che possono incidere sugli stati di salute, dalle loro abitudini alimentari e alle condizioni di vita e di stress, sono sempre più intrecciati.

L’uso dell’Intelligenza Artificiale, intesa come utilizzazione massiccia e mirata degli algoritmi e delle tecniche di Data analysis per guidare i comportamenti degli esseri umani con la finalità dichiarata di prevenire le malattie, sta svolgendo un ruolo sempre più importante, connesso ma diverso dalla ricerca di nuove forme di terapia, di nuovi farmaci, di nuove tecnologie di cura.

In tutto questo vi è una forza positiva assolutamente irresistibile.

Per questo da tempo dico che il campo dell’Intelligenza artificiale applicata alla salute e alla cura è la via attraverso la quale le nuove tecnologie, fameliche di dati e informazioni sulle persone e sui comportamenti, acquistano una forza sufficiente a superare ogni resistenza alla protezione e tutela dei dati personali di ciascuno e di tutti.

Non a caso vi è chi sostiene, come Luciano Floridi, che nel mondo dominato dal digitale non vi è distinzione tra i dati personali e l’essenza stessa della persona, cosicché la tutela della privacy e la dignità della persona non sono due aspetti distinti anche se connessi, ma piuttosto due facce della unità di ogni individuo. Di qui la motivazione concettuale che secondo alcuni pensatori consente di affermare che aiutare l’uomo a vivere con dignità (e quindi anche tutelare la sua salute) giustifica e legittima l’uso dei suoi dati personali nella misura e in quanto questo sia necessario (whatever it takes, direbbe Mario Draghi).

Se questo è il presente e il futuro della Health care, è evidente che la normativa relativa alla protezione dei dati personali, specialmente nel quadro del nuovo Regolamento europeo di protezione dei dati (GDPR) impone alle Autorità garanti, e anche alle legislazioni nazionali, grandi sfide.

Come sappiamo fin dalla Direttiva 95/46 i dati relativi alla salute sono tutelati nella forma più elevata possibile. Essi non solo sono ricompresi fra i dati sensibili ma, come anche il Codice privacy italiano specifica, è sempre vietata la loro diffusione.

L’uso dei dati personali nell’ambito della ricerca scientifica, e in particolare quella farmaceutica e genetica, hanno formato oggetto di continue riflessioni da parte delle Autorità garanti, sia a livello europeo che mondiale.  L’Autorità italiana ha non a caso rinnovato costantemente autorizzazioni specifiche sia per quanto riguarda la ricerca medica e genetica che quella farmacologica e di sperimentazione dei farmaci.

Nel nuovo sistema normativo l’art.9 del GDPR non solo ricomprende i dati relativi alla salute fra quelli definiti generalmente sensibili, ma specifica che di essi fanno parte anche i dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica e che anche a tutti questi si applicano, salvo diverse disposizioni, i principi relativi al diritto alla conoscenza dei trattamenti e alla richiesta di rettifica o di cancellazione.

Il quadro è inoltre reso assai più complesso dall’art.17. Esso contiene una normativa specifica (richiamata purtroppo prevalentemente in materia solo di diritto all’oblio) che assicura nuove forme specifiche e rafforzate di attuazione del diritto alla cancellazione dei dati personali da parte dell’interessato, esteso ora anche a doveri più incisivi per il titolare dei trattamenti che abbia reso pubblici i dati.

Va detto però che il GDPR contiene anche, sia nell’art.9 secondo paragrafo che nell’art. 17 terzo paragrafo, regole specifiche che si applicano ai trattamenti di dati sanitari o relativi alla salute nell’ambito dei rapporti di lavoro e per finalità di gestione di servizi sanitari o sociali o conformemente a un contratto con un professionista della sanità, nonché quando i dati sanitari o relativi alla salute siano trattati per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica.

Va inoltre ricordato che, in base all’art. 9 quarto paragrafo, gli Stati membri possono introdurre ulteriori condizioni rispetto a quelle indicate negli altri paragrafi del medesimo articolo. Tali condizioni, stabilite da ciascuno Stato, possono riguardare i trattamenti dei dati genetici, dei dati biometrici e di quelli relativi alla salute.

Infine va sottolineata, nell’ambito dei numerosi “spazi di differenziazione” che il GDPR prevede a favore delle legislazioni degli Stati membri, la possibilità di deroghe ai diritti di cui agli articli15, 16, 18, 19, 20 e 21 quando i dati sono trattati per finalità di ricerca scientifica, storica o statistica e quando sono archiviati per finalità di pubblico interesse.

In sostanza il GDPR offre ampi spazi di flessibilità e di adattabilità alle esigenze specifiche dei trattamenti di dati personali per finalità di tutela della salute e di ricerca scientifica, sia prevedendo deroghe alla disciplina generale, sia lasciando ampi spazi di intervento alla legislazione degli Stati membri.

Tuttavia nella nuova regolazione europea sembrano esservi pochi spazi per sostenere la possibilità di raccogliere e trattare in modo massivo i dati relativi alla salute di milioni e milioni di persone, avendo come fine essenziale non tanto la salute dei singoli, o la ricerca scientifica e la sperimentazione farmaceutica svolta sulla base di consenso informato degli interessati e assistita dalle regole dettate nel tempo dalle Autorità garanti, quanto il raggiungimento di livelli sempre più elevati di conoscenza per assicurare, anche grazie a sistemi basati sull’uso sempre più ampio dell’Intelligenza Artificiale con finalità predittive, modalità sempre più raffinate di tutela della salute e di prevenzione delle malattie.

E’ evidente che non potranno certo essere norme tecnico-giuridiche, basate su una pure condivisibilissima attenzione alla tutela dei diritti della persona, a frenare la spinta a perseguire la ricerca dell’immortalità o almeno a realizzare la promessa di una durata sempre più lunga della vita umana.

Siamo di fronte a una sfida che obbliga a ricercare nel campo dei trattamenti sanitari e di cura e ricerca, comprese le modalità di funzionamento e di organizzazione della strutture che pongono in essere queste attività, modalità di applicazione intelligente delle norme, mirando a garantire la tutela effettiva del diritto di ciascuno senza impedire il perseguimento di attività di studio e ricerca nel campo della salute e della sperimentazione, a condizione che queste attività siano effettivamente svolte nell’ “interesse di tutti”.

Emerge qui ancora una volta una delle caratteristiche più interessanti del GDPR: la nuova regolazione infatti non è solo a tutela del diritto fondamentale di ciascuno ma anche dell’interesse sociale (e pubblico) a un corretto trattamento dei dati di tutti. Un ampliamento di prospettiva fondamentale rispetto alla Direttiva 95/46, che in campo sanitario di cura e ricerca per finalità di tutela della salute trova uno dei banchi di prova più significativi.

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