La situazione attuale del procurement pubblico dell’innovazione, dal lato dell’offerta, vede un mercato concentrato su pochi player (i primi tre fornitori coprono il 52% dei software dei comuni), che tendono a specializzarsi o territorialmente oppure in relazione alle dimensioni del Comune di riferimento. La necessità di innovare il meccanismo degli acquisti della PA è uno degli obiettivi centrali del piano triennale AGID. Il problema è come farlo, e ancora più precisamente con quali competenze, attraverso quale percorso. Il punto sulle principali sfide che si pongono ai processi di acquisto di innovazione della PA dopo l’approvazione del piano triennale è stato fatto il 18 settembre nel corso del workshop dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano dedicato a L’offerta di soluzione digitali alla PA.
Innanzitutto, alcuni dati sul mercato: il problema numero uno evidenziato dalle pubbliche amministrazioni e dai rappresentanti dell’offerta, è rappresentato dall’obsolescenza degli investimenti già fatti, seguito dalla necessità di rivedere i modelli di business (un tema fra i più affrontati anche nel corso del dibattito), il rischio che limiti la concorrenza (anche con l’acuirsi della distanza fra i grandi e i piccoli player del settore), e infine la complicazione dei processi. Viceversa, le opportunità fondamentali sono ritenute il potenziamento dell’interoperabilità dei sistemi, il fatto che (come sottolinea Luca Gastaldi, direttore Osservatorio Agenda Digitale Polimi) incentiva la domanda di innovazione digitale, e infine la maggior chiarezza sul contesto di riferimento. In generale, la mancanza di piani strutturati fino al 2016 è indicata da Andrea Nicolini, project manager Cisis, come uno degli elementi che fino ad oggi hanno frenato gli acquisti di innovazione della PA. Anzi, più nello specifico Nicolini parla di difficoltà della pubblica amministrazione ad esprimere una domanda di qualità, che quindi faccia da volano all’innovazione.
L’innovazione del processo d’acquisto, insomma, è uno dei nodi fondamentali della questione. In questo schema, viene descritto il modo in cui il piano triennale cerca di cambiare le modalità di interazione fra il lato dell’offerta di innovazione e le pubbliche amministrazioni.
Si ripropone uno schema che, in realtà, sta diventando sempre più centrale nei processi decisionali non solo nel pubblico ma anche nel privato: la centralità del dato. Oscar Sovani, Regione Lombardia, sottolinea l’importanza di rifarsi a modelli di open government, cambiando il modo di gestire la cosa pubblica con processi decisionali trasparenti. E soprattutto, tenendo presente che «le politiche pubbliche devono partire dai dati».
L’altro grande tema sollevato sul lato PA, riguarda la mancanza di competenze adeguate. Adriana Agrimi, dirigente servizio Ricerca e innovazione Regione Puglia, si chiede se per fare il passaggio di scenario sopra descritto nell’interazione fra PA e privati sia sufficiente il piano triennale (basterà, la rassicura subito il direttore generale AGID, Antonio Samaritani, anche perché non ha un termine). Il problema, secondo Agrimi, è che bisogna affrontare subito il tema del cambiamento nella PA, altrimenti non si va da nessuna parte. E il punto fondamentale in questo senso «è il tema delle competenze. Vanno benissimo le buone pratiche, ma non è sufficiente», così come non risolve il problema «aver inserito il responsabile della transizione digitale». Il punto è che c’è «poca conoscenza di cosa significa l’agire amministrativo, le difficoltà che si incontrano. Non è un processo adeguatamente accompagnato».
Giuliano Noci, Politecnico di Milano, ritiene che non ci sia solo un tema di competenza tecnica, ma di sistema di valori. La PA deve proiettarsi maggiormente verso le esigenze dell’utente (anche questo, nuovo paradigma del mondo del business a tutti i livelli). Noci ipotizza anche una riconfigurazione della filiera, con attori chiave, come l’AGID, che dovranno introdurre un motore di cambiamento, e definire il percorso che ci porterà al nuovo marketplace digitale per gli acquisti PA.
Dal lato dell’offerta, invece, fra i temi centrali la struttura del mercato che vede pochi grandi player e molti piccoli, due mondi che non dialogano fra loro. Nicolini sottolinea l’assenza di dinamicità fra queste due dimensioni, e anche la mancanza di luoghi di confronto. Esistono esempi di grandi player che coinvolgono i piccoli attori, magari più radicati sul territorio, ma non sempre c’è questo contatto. Fra i temi sollevati invece dai protagonisti dell’offerta, l’eccessiva rigidità dei meccanismi di gara, che spesso non consentono alle PA di portare a termine veri progetti di innovazione. Ad esempio, la gestione dei contratti di soluzioni in cloud viene definita eccessivamente rigida: una pubblica amministrazione identifica un fornitore, ma sa già che alla scadenza dovrà fare un’altra gara, quindi corre il rischio di non sfruttare tutti i vantaggi della soluzione cloud. La proposta: prevedere meccanismi più flessibili, che ad esempio consentano di rinegoziare un contratto senza bisogno di fare una nuova gara.