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Come trovare 6 miliardi di euro per salvare la Sanità italiana dall’arretratezza

Pubblicato il 20 Set 2017

Paolo Colli Franzone

presidente, Osservatorio Netics

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Stimiamo che la Sanità italiana ha bisogno di 5-6 mld da investire in innovazione per recuperare il gap – nel giro di 2-3 anni – con i migliori Paesi del mondo. Dove trovarli? E’ la sfida dei prossimi anni, come emerge durante l’evento S@lute 2017, in corso a Roma oggi e domani.

Un’idea è sfruttare nuovi strumenti – procurement innovativo (previsto nel nuovo codice degli appalti), finanza di progetto, affidamento concessione servizi – per scaricare sui partner aziendali (non più meri fornitori di tecnologia) l’onere dell’investimento iniziale, garantendo remunerazione nel tempo sulla base di risultati ottenuti.

Quindi per prima cosa è importante diffondere consapevolezza sugli strumenti di procurement innovativo.

Ci si scontra però anche con la difficoltà delle strutture pubbliche ad accettare logiche innovative.

L’ho sperimentato di persona collaborando con l’Asl Bolzano. L’Asl ha appena ricevuto una cifra importante dalla Provincia, 50 milioni, per 500 mila persone, ma poi per utilizzarli si è scontrato con le difficoltà della burocrazia. Prima di apporre la firma sulla delibera per il procurement innovativo, il responsabile ha avuto bisogno di rassicurazioni, temendo problemi con la Corte dei Conti.

Allora io guardo a Ferrovie, Poste Italiane: società pubbliche che però, per le necessità di urgenza tipiche delle logiche industriali, che prevalgono sulla natura pubblica, non devono seguire le vie lente della burocrazia quando devono comprare innovazione. Gli ospedali non sono poi tanto diverse, però, quanto a esigenze. Su questo bisognerebbe aprire una discussione.

Ma la stessa tecnologia risolverebbe alcuni eccessi di burocrazia difensiva, quindi tutto torna.

Insomma, i due temi sono supportare la tranquillità dei decisori pubblici nella spesa e trovare vendor partner nel procurement.

E in tutto questo bisogna coinvolgere di più i medici di medicina generale. Se chiedi loro di cosa hanno davvero bisogno, rispondono: non il fascicolo sanitario elettronico; ma che i dati arrivino alla cartella clinica senza intermediari,  di un supporto algoritmico alle decisioni critiche (per esempio in oncologia). Di sistemi di medicina predittiva, già diffusi per esempio a Valencia, per alcune patologie. Sarebbe il momento di prevedere una convenzione Consip per questi sistemi.

Il passaggio dai sistemi informativi sanitari basati sul documento a quelli basati sul dato rappresenta il vero punto di svolta, l’occasione per dare agli operatori sanitari uno strumento (e le informazioni) che diventa supporto nell’assumere decisioni diagnostiche, terapeutiche e assistenziali.

Niente di fantascientifico né tantomeno di futuribile: i cosiddetti “Clinical Portal”, o – meglio ancora – le Clinical Collaboration Platform esistono e vengono utilizzate in mezzo mondo, soprattutto laddove i sistemi informativi ospedalieri e territoriali sono basati su piattaforme ERP e non su silos applicativi più o meno eterogenei.

Infine, per risparmiare, tanto si otterrebbe dalla razionalizzazione della logistica grazie a strumenti digitali.

Tutte esigenze spesso ignorate a livello governativo.

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