Il quadro

Orrori e dolori della giustizia digitale

Nel settore penale il database più usato è scritto in linguaggio Clipper e dal 2000 si parla di sostituzione. Nel civile va meglio ma la strada è ancora lunga. Ed è di due giorni fa il blocco delle firme digitali perché il server giustizia era stato “bannato” dal server Postecom, che lo riteneva un attacco DOS

Pubblicato il 23 Set 2013

Enrico Consolandi

Magistrato, referente informatico Tribunale di Milano

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L’idea di un processo civile telematico è ormai vecchia di più di 10 anni: qualcosa si è realizzato, ma la strada è ancora lunga.

Nel settore penale il database più usato è scritto in linguaggio Clipper e dal 2000 si parla di sostituzione, ma solo di recente sono stati stipulati i contratti; nel frattempo non risulta possibile alcuna moderna applicazione. Per questo la trasmissione di dati da altri centri, per esempio dalle forze di polizia per le notizie di reato, è ancora cartacea e non esiste interoperabilità.

Difficoltà esistono nella gestione dei dati anche nel settore civile: pur non essendo l’informatica il target istituzionale del ministero della giustizia, lo diventa quando si passa a una gestione telematica del processo.

Buona parte delle difficoltà derivano dalla carenza numerica di professionalità informatiche nell’ambito della amministrazione, per la gestione dei sistemi. Gran parte dei tecnici interni sono ottimi, ma dopo anni di formazione sui sistemi ed una infarinatura sul versante giuridico; dunque per necessità si conta anche su assistenza fornita da esterni, ma il susseguirsi di subfornitori, sempre tirati al risparmio, il fiorire di i subappalti, il conseguente avvicendarsi del personale e la relativa esperienza di questo non consente di avere a disposizioni tecnici all’altezza e fidelizzati, il che costituisce un danno organizzativo.

Occorrono assunzioni dedicate all’informatica subito perché possano essere utili fra un anno; a fronte di ciò potrà calare la necessità di personale del Ministero “tradizionale”, per il quale per altro l’ultimo bando di assunzione risale al secolo scorso.

I sistemi stanno diventando complessi, ma non esiste o non è noto un piano di investimenti necessari alla gestione dei dati e alla interoperabilità con altri sistemi. Sviluppo e interoperabilità non sono programmati. Per esempio non è mai stata realizzata la applicazione per la registrazione delle sentenze per difficoltà fra la amministrazione della giustizia e quella finanziaria ed è di due giorni fa il blocco delle firme digitali utilizzate nel ministero della giustizia perché il server giustizia era stato “bannato” dal server postecom, che lo riteneva un attacco DOS.

E’ necessario, come sempre in informatica, non solo che i sistemi siano ben funzionanti, ma anche un continuo monitoraggio, impossibile con il personale attuale.

Lo skill del tecnico informatico giustizia non si trova facilmente perché è necessaria la conoscenza anche del funzionamento degli uffici giudiziari: i tecnici sono pochi e le assunzioni bloccate da tempo, i dipendenti delle società di assistenza non posseggono la esperienza necessaria, oltre ad essere più cari di quelli interni.

I costi DGSIA, orientativamente, per circa 500 dipendenti, dei quali solo una parte tecnici, sono di 16 milioni annui circa, mentre il contratto di assistenza esterno comporta costi per circa 27 milioni, ma su circa 320 persone a disposizione.

La strada maestra è dunque quella di alcune assunzioni per far fronte alle cresciute e crescenti necessità.

Sotto il profilo degli applicativi c’è una grossa necessità di sviluppo, cui il sistema attuale degli appalti dà risposte troppo lente: fra il momento in cui si avverte la necessità di mutamento, per esempio per novità normative, e l’adeguamento degli applicativi passano anni. Novità normative del 2011/2012, quali la legge Fornero e la c.d. semplificazione dei riti, stanno vedendo solo ora l’adeguamento dei registri di Cancelleria e nel frattempo la normativa è già cambiata.

Occorre tenere presente che la attività di adeguamento dei programmi è costante e necessita competenze che si possono trovare solo all’interno del Ministero della Giustizia. Le riforme procedurali “a costo zero”, come troppo spesso si dice, non esistono, generano costi sommersi per la modifica delle procedure: la capacità di programmare in proprio, pur essendo un costo fisso, renderebbe più semplice trovare le risorse per la riprogrammazione degli applicativi a fronte della sin troppo abbondante attività normativa di riforma delle procedure, civili degli ultimi anni. Paradossalmente nel penale la scarsità degli applicativi esistenti rende meno pressante il problema in occasione delle modifiche normative.

Così pure sotto il profilo statistico, per la rilevazione dei dati, occorre una elasticità che ben difficilmente si può ottenere con capitolati di appalto, gare, contratti e collaudi, assai più semplice una getsione in proprio, per la quale tuttavia le risorse sono scarse.

Occorre interrogarsi se non sarebbe più efficiente avere una software house a disposizione, un gruppo di tecnici-programmatori dipendenti che sviluppino direttamente i sistemi e gli applicativi; alcuni esempi di sviluppo interno vi sono, andrebbero incentivati.

Ma per tutto ciò occorrono assunzioni, profili professionali adeguati e occorre poter motivare, anche economicamente, il personale. Occorre una riorganizzazione dei sistemi, la cui fragilità attuale è figlia anche di un immobilismo degli anni passati che non dipende solo dai limiti di spesa. Vi sono state, specie in campo penale, eterne sperimentazioni che, non prive di costi, non hanno prodotto sostanziali miglioramenti.

Nel settore civile, negli ultimi tempi, è in atto una sorta di rivoluzione, anche culturale, che si rischia di perdere se il Ministero non potrà essere all’altezza, specie nella gestione dei data center: alle mutate e cresciute necessità non si potrà far fronte con le medesime risorse di quando il processo viaggiava soltanto su carta.

Per il penale taluno profila limiti normativi nel fatto che il registro delle notizie di reato – “novità” normativa del 1989 – sia per legge tenuto presso ciascun ufficio di Procura, per cui ciascun ufficio dovrebbe avere un proprio centro dati; occorre qui capire, rectius far capire, che la proprietà dei dati non è custodire il server sotto la sedia, ma certo si tratta di un ostacolo normativo forte all’affidamento a privati dei registri di Cancelleria penali. Il Ministero ha in progetto di consolidare in pochi data center tutti i sistemi, rimarcando comunque l’assoluta necessità che il dato giudiziario- per il rilievo e la delicatezza che rappresenta- debba rimanere nell’ambito del diretto ed esclusivo controllo e gestione del Ministero della Giustizia.

L’affidamento ai privati comporta anche rischi di monopolio e la amministrazione rischierebbe di trovarsi nelle mani del fornitore qualora non disponesse delle competenze professionali per controllarlo ed eventualmente riprendersi il servizio; dunque è forse più economico sfruttare queste competenze per gestire i data center direttamente nel pubblico.

Analoghi rischi si rinvengono nell’utilizzo di applicativi proprietari, cosa che per altro attualmente la amministrazione sta cercando di limitare, affrancandosi così dai costi negli anni a venire per rinnovo licenze: in un sistema proprietario della amministrazione è più facile controllare gli applicativi utilizzati, perché siano effettivamente open source.

Il rischio è che dati giudiziari vengano in possesso o gestiti da privati: nel sistema fallimentare e delle esecuzioni civili molti giudici e curatori utilizzano applicativi privati, gestiti da data center privati, che svolgono funzioni che il sistema del ministero non è ancora riuscito a fornire.

Tale situazione, anomala, è per certi versi preoccupante per l’uso che di questi dati potrebbe essere fatto dai privati e dovrebbe essere gestita, mentre si son fatti maldestri tentativi di abolirla cercando di suscitare sanzioni disciplinari verso i giudici che ricorrevano a questi data center: i metodi non mancano ad iniziare dalle concessioni-contratto con le quali si può affidare una funzione anche pubblica a un privato, vincolandolo però ad un comportamento coordinato alla amministrazione.

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