Intelligenza artificiale, se la privacy dei dati frena il progresso

La fame di dati, e quindi di consensi alla condivisione degli stessi, è altissima non solo per fini commerciali ma anche per il progresso scientifico. Negare eventualmente il consenso al loro trattamento è una protezione importante della nostra privacy, ma al contempo frena lo sviluppo dell’intelligenza Artificiale

Pubblicato il 31 Ott 2017

Nicola Ruggiero

Focus Group srl

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L’Intelligenza Artificiale (AI) è contemporaneamente una scienza e una delle massime espressioni dell’ingegneria.

I principali pilastri dell’AI sono Machine Learning, Deep Learning, Natural Language Processing (o Understanding), Context Awareness, e Data Privacy. Ad oggi abbiamo grosse evoluzioni e prestazioni nei primi due ma gli altri tre pilastri sono fondamentali per il futuro.

In particolare il più delicato è la privacy dei dati. Quanto è importante conservare la confidenzialità sui nostri dati? Direi molto importante per il singolo, un grosso ostacolo allo sviluppo dell’AI. Infatti il nostro impianto normativo oggi, soprattutto negli ambiti più sensibili come la sanità e la salute, prevede che il consenso alla condivisione dei dati sia puramente strumentale alle attività da farsi (esami di laboratorio, consulenza medica, dichiarazione dei redditi…) ma non prevede a priori la condivisione con la comunità scientifica ed amministrativa per lo studio e l’incrocio con altri database pur se già in possesso dell’ente che conduce le analisi sui dati. Il consenso ad ogni condivisione dei dati al di fuori dello stretto necessario deve essere esplicitamente autorizzato.

Il problema è etico e scientifico allo stesso tempo perché il vero utilizzo dell’AI per applicazioni pratiche che migliorino il livello decisionale, soprattutto nelle grandi organizzazioni o in enti pubblici, si ha – così come negli studi di marketing – quando del mercato si conosce tutto e si riesce a profilare l’utente il più possibile. Nel caso dell’AI si tratta di riconoscere il contesto nella maniera più dettagliata possibile.

Infatti l’AI è la scienza con la quale si modella il pensiero umano con regole ed algoritmi che discendono direttamente dalla logica umana, ma allo stesso modo è Machine Learning, cioè la capacità di sviluppare autoapprendimento sfruttando la capacità di storage a basso costo, la potenza di calcolo in crescita esponenziale e la sempre minore latenza e maggiore larghezza di banda delle moderne reti di telecomunicazioni. Quando ad essa si abbinano tecniche che emulano le reti neurali, tipiche del cervello umano, si ottiene quel Deep Learning sempre più necessario per lo sviluppo delle applicazioni in grado di elaborare Big Data, infinite quantità di dati provenienti anche dall’ IoT, e in grado di sostituire l’uomo in molte funzioni di analisi e molti aspetti decisionali.

L’AI è una delle massime espressioni dell’ingegneria perché è interdisciplinare: ingegneria elettronica, informatica, del software, biomedica, automazione e robotica, fotonica e tante altre forme senza considerare le altre branchie più attinenti alla medicina, alla neurologia ed ai comportamenti sociali. Infatti realizzare le macchine necessarie alle applicazioni di AI è una continua sfida tecnologica e l’uno alimenta l’altro: più si spinge la teoria, più le macchine da realizzare sono complesse, e più le macchine complesse spingono lo sviluppo teorico.

Il riconoscimento del contesto, sia nel caso di Natural Language Processing o Understanding che nel Context Awareness, è la chiave di volta con cui il nostro cervello innanzitutto ascolta, poi capisce ed alla fine elabora. Non si tratta solo di capire le parole nel proprio significato semantico, ma di capirne l’esatto significato da attribuire in quel momento, in quel contesto e secondo le evoluzioni del contesto un attimo prima ed un attimo dopo la parola stessa. L’uomo, per sua natura, è abituato ad interagire soprattutto con il linguaggio, ad usare linguaggi o espressioni, anche dialettali, che possono avere una localizzazione spinta, è abituato ad interagire secondo regole non scritte o codici comportamentali tipici di ogni organizzazione (della famiglia, dell’azienda, della scuola, della squadra di calcetto, dell’etica e così via). Si tratta quindi di riconoscere non solo il contesto ma anche di particolareggiarlo per ognuno di noi.

Questo significa per le macchine un ciclo di apprendimento lungo su una quantità di casi, individui, scenari molto alti: grosse capacità di immagazzinamento dati, grandi capacità e velocità di calcolo appunto, ma anche prontezza nella risposta. Le auto a guida autonoma, per esempio, hanno oggi uno dei propri limiti proprio nel riconoscimento del contesto e, come un neopatentato con poca esperienza e tanta insicurezza, ogni tanto fanno qualche incidente. La fame di dati, e quindi di consensi alla condivisione degli stessi, è altissima non solo per fini commerciali ma anche per il progresso scientifico.

Ecco perché ad oggi solo le grandi software house hanno potuto sviluppare reali sistemi che realizzano in tutto, o in parte, molti mattoncini dell’AI e lasciano collegarsi alle loro API per sviluppare la nostra applicazione. Una delle applicazioni più interessanti di oggi è letteralmente nelle mani di tutti gli utenti che usano un PC o uno smartphone: parlo degli assistenti vocali presenti in tutti i sistemi operativi con cui si può interagire, sebbene non ancora del tutto conversare, ma sicuramente liberarsi dall’incombenza di scrivere, leggere e impartire comandi, lasciando a noi la decisione sul da farsi, sebbene spesso chi sceglie quale lista di ristoranti presentarci è a sua volta un sistema di AI che ci ha tracciato, ha imparato le nostre abitudini e preferenze e sa dove siamo in quel momento. Quindi la nostra è una decisione su un subset delle possibili scelte selezionate da qualcun altro secondo delle regole che lui si è dato (esempio regole commerciali legate alla pubblicità).

Negare il consenso al trattamento dei dati è una protezione importante della nostra privacy, è al tempo dell’AI un limite allo sviluppo della stessa.

Bisogna rapidamente ragionare su questi aspetti perché sempre più oggetti introno a noi utilizzano intelligenza artificiale, che per ora ragiona in proprio, ma a breve saranno tutti interconnessi – così come il nostro corpo lo sarà con gli oggetti e gli altri individui – tenendo presente che l’AI può essere usata anche per fini criminali o per ottenere supremazia di un popolo su un altro. La terza guerra mondiale potrà essere combattuta a tavolino hackerando i dati nei data centers dell’avversario ma le grandi sfide dei nostri tempi non possono prescindere da un utilizzo spinto dell’AI in tutti gli ambiti. Come al solito il buon senso ed il compromesso sociale saranno le linee guida da seguire sapendo che la tecnologia c’è e ci da una grossa mano.

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