Non ci sono dati ufficiali sull’efficacia o meno dell’attuazione dell’alternanza scuola lavoro, ma i sondaggi presentati da skuola.net a maggio e dall’Unione degli Studenti qualche settimana fa parlano chiaro: siamo ancora lontani da un’attuazione funzionale e coerente con gli obiettivi (“consentire agli studenti di prendere contatto con una realtà produttiva, sociale, artistica e culturale in rapida trasformazione, di esplorare vocazioni, opportunità, tensioni innovative, ma soprattutto di modificare il tradizionale rapporto tra il conoscere, il fare e lo sperimentare.”)
I dati dei sondaggi evidenziano una situazione ancora con notevoli disfunzioni. Dai dati delle interviste condotte dall’Unione degli Studenti, il 38% degli studenti ha dovuto sostenere delle spese per partecipare alle esperienze di alternanza, il 57% ha portato avanti percorsi non inerenti al proprio percorso di studi, il 40% ha visto i propri diritti negati.
È importante incrociare questi con i dati rilevati a maggio da Skuola.net, per i quali le esperienze positive sono caratterizzate da alcuni fattori ricorrenti:
- la presenza di un’adeguata formazione, sia a scuola che in azienda. Ad esempio, quando a scuola viene spiegato agli studenti l’obiettivo e gli scopi del progetto e quando all’alternante è affiancato un tutor aziendale per tutto il tempo del tirocinio;
- l’accoglienza dei professori al momento del ritorno in classe, ad esempio posticipando verifiche e interrogazioni;
- la possibilità di scegliere tra più offerte di tirocinio.
I risultati dell’alternanza sono tanto più negativi quanto più ci si allontana dagli obiettivi originari, che trovano senso profondo e concreto nel valore dell’orientamento. Nelle parole della Ministra Fedeli: “L’alternanza scuola-lavoro è un’innovazione didattica importante. È uno strumento che offre alle studentesse e agli studenti la possibilità di acquisire competenze trasversali e consente loro di orientarsi con più consapevolezza verso il loro futuro di studi e lavorativo.”
Orientamento da intendere non tanto come identificazione del profilo occupazionale da perseguire secondo le proprie competenze e, dall’altra parte, secondo la domanda di mercato, ma quanto di identificazione di un progetto di vita. In questo senso l’orientamento è funzionale a fronteggiare la situazione che emerge dal Rapporto dell’Ocse sulle competenze in Italia, caratterizzata da una situazione da circolo vizioso “una percentuale non trascurabile della forza lavoro ha competenze superiori a quelle necessarie per svolgere le mansioni richieste (11.7%) o è sovraqualificato (18%). Inoltre, circa il 35% dei lavoratori svolgono la loro attività in settori che non corrispondono ai loro studi. Circa un giovane italiano su quattro (tra i 15 e i 29 anni) non lavora, non studia né partecipa a un percorso di formazione (i cosiddetti NEET), la seconda proporzione più alta dell’OCSE.”
L’auspicio è che lo strumento dell’alternanza scuola lavoro sia finalmente assunto consapevolmente come strumento di orientamento e pienamente nella responsabilità della scuola e dei docenti, concepito come pienamente organico al percorso scolastico. In questo obiettivo fondamentale la scuola deve essere in grado di aprirsi rispetto alle esperienze più positive e che vanno nella direzione dello sviluppo di una consapevolezza sempre più alta delle proprie capacità, anche attraverso la comprensione delle opportunità del digitale e la capacità di realizzazione di un progetto imprenditoriale. Così, le parole della Ministra devono essere assunte come impegno profondo (“garantiamo il massimo impegno e anche la massima fermezza di intervento in caso di situazioni in cui il patto formativo che sta alla base dell’alternanza sia violato, impedendo a studentesse e studenti di fare un percorso significativo, innovativo e di qualità”), sapendo che il rischio, ancora elevato, è di minare il passaggio più delicato per gli studenti della scuola superiore.