“Come cambia il lavoro e soprattutto quali saranno i nuovi lavori necessari alla crescita della società e dell’economia?”. E’ questa la domanda a cui oggi si cerca di dare una risposta.
Avremmo dovuto rispondere a questa domanda già da tempo, se non altro per sapere su quali competenze preparare i lavoratori che entrano oggi nel mercato del lavoro: il ritardo sta comunque non tanto (o non solo) nelle aree disciplinari da affrontare, quanto nella mancanza di una riflessione sistematica sui contenuti dei nuovi lavori e quindi sulla capacità di predisporre anche un approccio alla didattica e all’aggiornamento permanente. Perché il primo problema è questo: non avere ancora avviato, a livello istituzionale, una sistematica modalità di monitoraggio dei cambiamenti nel lavoro dovuti all’impatto delle tecnologie in generale, e in particolare di quelle informatiche.
Da tempo, alcune università stanno svolgendo, a fini scientifici, questa azione di monitoraggio, andando a sottolineare la necessità di strutture istituzionali che abbiano il compito permanente, su un orizzonte temporale pluriennale, di aggiornare sistematicamente le indicazioni di supporto ai nuovi contenuti formativi, utili al completamento dell’attuale ciclo di istruzione. In altri termini, occorre passare da una fase di conoscenza ancora preliminare, e da ampliare, a una fase di consapevolezza adeguata per valutare dove e come investire sul piano delle politiche e degli interventi di formazione e di educazione ai nuovi comportamenti sociali.
Sappiamo bene che aumenta sempre più rapidamente la progressione del cambiamento di tecnologie e con loro i servizi e i sistemi di produzione, creando anche instabilità nel lavoro, che diventa sempre più incerto a causa della variabilità della domanda e della competenza specifica richiesta dal mercato del lavoro. Anche in uno stesso settore, il mismatch di competenze assegnate a profili professionali apparentemente stabili, in realtà nasconde l’obsolescenza di competenze superate e la carenza di nuove competenze che si sempre più si configurano nella realtà operativa.
La sanità digitale
Non è diverso dagli altri il settore della sanità, in cui è auspicabile che l’innovazione tecnologica e organizzativa sia all’avanguardia. I sistemi gestionali richiedono interventi importanti insieme a una profonda innovazione manageriale. Ciò che oggi è in discussione, è la ridefinizione delle modalità di intervento delle regioni, il ruolo e la responsabilità degli enti locali, il contributo di nuove forme di governo della domanda. In questo quadro di cambiamento strutturale, la risposta non può derivare solo da nuovi provvedimenti legislativi. Occorre soprattutto una cultura del digitale, oltre a nuove politiche e prassi manageriali più concentrate sugli obiettivi di efficienza, di riqualificazione della spesa e di ricerca di livelli di servizi qualitativi. Le competenze digitali sono diventate una componente essenziale delle conoscenze sanitarie, che consentono a tutto il personale sanitario di acquisire nuove abilità d’uso delle varie tecnologie sia a livello operativo che professionale, anche al fine di migliorare le potenzialità diagnostiche, terapeutiche e di assistenza a distanza, in virtù dell’introduzione delle varie tecniche di telemedicina e di intelligenza artificiale, ma anche della robotica di ultima generazione in chirurgia e della stampa 3D nella creazione di protesi ad hoc.
La formazione deve, quindi, fare la sua parte con particolare attenzione allo sviluppo di nuove capacità di governo dei vari processi di digitalizzazione all’interno delle strutture sanitarie pubbliche e private. La digitalizzazione è giustamente vista come leva per il miglioramento della produttività e della competitività, e inevitabilmente va a modificare il lavoro delle persone. Le competenze digitali sono, pertanto, diventate condizioni imprescindibili per tutto il personale sanitario, sia quello attualmente in organico sia quello in formazione presso università e scuole (vedi gli OSS). Servono, ovviamente, leadership determinate che guidino i percorsi di cambiamento culturale.
Fra i temi da trattare con la massima urgenza vi è quello della “privacy in sanità”. Sanzioni salatissime sono previste dalla Comunità Europea alle strutture che non saranno in regola con il nuovo GDPR (General Data Protection Regulation), e si concede tempo fino al 25 maggio 2018 per adeguare le organizzazioni e formare il personale al rispetto della normativa. Le principali linee guida si trovano nel Regolamento UE 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, pubblicato il 4 maggio 2016 nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, relativo alla protezione delle persone fisiche, con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, che va ad abrogare la precedente direttiva 95/46/CE. Come prevede l’art. 99, il Regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (25 maggio 2016), ma si andrà ad applicare dopo 24 mesi, a decorrere quindi dal 25 maggio 2018. A differenza delle Direttive UE, questa disposizione, essendo Regolamento, non richiede alcuna conversione in legge nazionale o forma di legislazione applicativa da parte degli stati membri.
Ma ancora pochissimi in Italia ne conoscono realmente i contenuti e le conseguenti sanzioni in caso di inadempienza. A tal proposito AICA (Associazione italiana per l’Informatica e il Calcolo Automatico) propone la certificazione “Privacy in sanità”, destinata a tutto il personale sanitario e amministrativo che opera nel SSN. Tale certificato, in virtù di un accordo col CINECA (mediante attivazione di un open-badge universitario) consente un riconoscimento diretto di crediti universitari, tra le materie a scelte, in funzione delle relative delibere adottate dalle Scuole di Medicina o dai Senati Accademici o da Decreti Rettorali, in analogia a quanto già applicato per alcune altre certificazioni AICA in diversi corsi di laurea sull’intero territorio nazionale.
Il Regolamento europeo prevede, dunque, che i dati sulla salute possono essere usati solo per finalità connesse alla salute, al fine di soddisfare le finalità di cura, e per la supervisione del Sistema Sanitario Nazionale, al fine di soddisfare le finalità di governo, ma anche per finalità di ricerca nell’interesse sociale della collettività, e lascia agli Stati membri la possibilità di mantenere o introdurre condizioni particolari o ulteriori limiti per il trattamento.
Tutti gli operatori del sistema sanitario devono, quindi, comprendere che esercitare la professione sanitaria oggi vuol dire non solo curare le persone, ma prendersi anche cura dei loro dati, e che le due cose non sono più scindibili. Non possiamo, infatti, ignorare che i dati personali vengono trattati in sanità con strumenti tecnologici informatici, come il fascicolo sanitario elettronico (FSE), dispositivi elettronici, come i molteplici dispositivi medici, di comunicazione, come le varie applicazioni della telemedicina, di intelligenza artificiale, come i vari sistemi diagnostici. In un sistema sanitario sempre più dipendente dai dati personali, il pieno rispetto dei principi di protezione dati, tra i quali i principi di liceità, correttezza, trasparenza, esattezza, integrità e sicurezza, rappresenta ormai una condizione indispensabile per il corretto svolgimento della professione medica, come già espressamente previsto del Codice di deontologia medica, che ora diventa materia di controllo da parte del Garante della Privacy.
Inoltre, l’attuale piano triennale di AgID fornisce un quadro di riferimento utile per collocare gli interventi di digitalizzazione sui 13 Ecosistemi in cui si svolge l’azione delle Pubbliche Amministrazioni, comprese le competenze digitali da formare per le organizzazioni dell’Ecosistema sanità, che viene definito in accordo alla Missione della “Tutela della salute” e al documento “Strategia per la Crescita Digitale 2014-2020” in cui viene identificata l’azione “Sanità digitale”; le principali amministrazioni coinvolte sono Ministero della Salute, MEF, ISS, Regioni, Aziende sanitarie, AgID, Istituti zooprofilattici, Agenas, Aifa. In particolare, le amministrazioni regionali dovranno procedere alla realizzazione dei propri sistemi di Fascicolo Sanitario Elettronico regionali, interoperabili con la infrastruttura nazionale.
Tutto ciò dovrà portare, in collaborazione col Dipartimento della Funzione Pubblica, all’individuazione delle competenze digitali necessarie alla PA per sostenere i processi di cambiamento e razionalizzazione indotti dal Piano, attraverso specifiche azioni di formazione e promozione di conoscenze e competenze digitali.
Riteniamo che sia molto importante, soprattutto nel mondo della sanità, distinguere fra conoscenze e competenze, essendo il sistema di conoscenze a permettere di interpretare il presente e leggere il futuro, su cui si realizzano progetti che hanno bisogno di competenze per essere realizzati; le competenze, invece, invecchiano e vanno aggiornate con continuità. In particolare è l’evoluzione della cultura digitale, basata sulle conoscenze digitali, che permetterà di modellizzare digitalmente gli attuali scenari organizzativi e sociali, e consentire di valorizzare opportunamente le grandi potenzialità che derivano da una applicazione corretta di metodi e tecnologie digitali.