Pagamenti elettronici, gestioni di pratiche esclusivamente on line, sistemi di autenticazione digitale, servizi più veloci e più semplici per cittadini e imprese, meno passaggi e meno carta negli uffici, più capacità di elaborare dati per programmare le attività dell’Ente: in una parola eGovernment. Da anni in Italia si discute e si cerca di realizzare lo snellimento della burocrazia attraverso la digitalizzazione dell’amministrazione, ma basse restano le percentuali di successo in questo campo. Se, infatti, più della metà degli Enti pubblici italiani ha attivato progetti di eGovernment (circa il 60%), resta alta la probabilità che le soluzioni sviluppate e adottate siano abbandonate (35%).
Sono questi i dati emersi da una recente indagine dell’Osservatorio eGovernment del Politecnico di Milano relativa alla gestione dell’innovazione nelle PA italiane. Dall’analisi dei dati raccolti appare evidente come le Pubbliche Amministrazioni siano disposte a investire proprie risorse economiche e a mettere in campo proprie competenze per sviluppare soluzioni in grado di ammodernare i propri processi. Quasi la metà delle PA (45%) per la copertura finanziaria dei progetti eGovernment ricorre esclusivamente a fondi propri e, per questo 2014, la maggior parte degli Enti intervistati dichiara che manterrà invariati gli investimenti in questo campo (66%), se non li aumenterà addirittura (23%). Si deve però dire che spesso questi sforzi non si traducono sempre nel raggiungimento dei risultati desiderati. A fronte di un impegno economico che resta costante, nonostante i vincoli del Patto di Stabilità e della Spending Review (segno che, in particolare le Pubbliche Amministrazioni Locali, credono fortemente nella possibilità di snellire le procedure attraverso la semplificazione e la digitalizzazione), bisogna però rilevare come, quasi un Ente su due, abbia dichiarato che i progetti attivati sono spesso abbandonati per le difficoltà a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Perché questi fallimenti? Tante possono essere le cause, ma le maggiori criticità sono legate alla difficoltà di gestire le attività di sviluppo progettuale e di consolidamento del cambiamento organizzativo all’interno dell’Ente. Appare quindi evidente che, più che di problemi tecnologici, legati quindi alla digitalizzazione vera e propria, si tratta di questioni di natura organizzativa. Analizzando i dati dell’osservatorio eGovernment emerge come gli Enti siano determinati: nella maggior parte dei casi, infatti, sviluppano progetti in autonomia o al massimo in collaborazione con altre PA, utilizzando prevalentemente le proprie risorse economiche, pur non avendo chiare competenze di gestione dei progetti, capacità di coinvolgere gli stakeholder, un adeguato commitment politico e della dirigenza, così come un adeguato supporto degli uffici interni. E tutto questo porta spesso al fallimento. Come evitarlo?
Secondo gli Enti, in particolare, le istituzioni sovraordinate dovrebbero favorire e supportare la formazione del personale (57% delle risposte), impegnarsi in interventi infrastrutturali (41%), rendere disponibile personale ad hoc (32,1%), assicurare attività di consulenza tra PA (30,7%) e portare avanti campagne per sensibilizzare sul tema sia i cittadini che le stesse PA (30,5%). Ciò di cui gli Enti sentono il bisogno, quindi, è acquisire competenze e conoscenze per fare le cose al meglio. A coordinare queste politiche di eGovernment dovrebbero essere, secondo più della metà degli intervistati (50,2%), le Regioni, seguite da un nuovo e crescente paradigma di riferimento, costituito dalle gestioni associate (18,4%). Meno del 7% dei Comuni affiderebbe invece questo ruolo ai Ministeri o alle loro Agenzie.
Per poter quindi assicurare una più alta percentuale di successo dei progetti di digitalizzazione negli Enti locali sarà necessario che questa regia sovraordinata operi su più livelli. Innanzitutto sarà fondamentale una (ri)qualificazione delle competenze all’interno delle PA. Dalle indagini svolte appare infatti evidente che se i Comuni dovranno continuare a gestire più o meno autonomamente lo sviluppo dell’eGovernment nei propri territori dovranno anche poter disporre di adeguate risorse e competenze per poterlo fare. Hanno infatti bisogno di conoscenza, intesa sia come formazione che come esperienze passate che fungano da esempi. La formazione è una prassi consolidata nel mondo privato, perché appare esserlo meno nel pubblico?
Dal punto di vista delle esperienze passate, sarà importante condividere le esperienze di successo (quindi può giocare un ruolo cruciale la condivisione non solo delle soluzioni applicative, ma anche delle esperienze a queste legate), ma – forse in misura eguale – avrà senso far circolare anche le esperienze negative. Conoscere che cosa è andato male e perché, fare autocritica e condividerla, infatti, potrà essere utile a non intraprendere una strada che per altri si è rilevata fallimentare. Anche questo tipo di approccio è molto diffuso nel mondo del privato, ad esempio, soprattutto negli Stati Uniti, non vengono stigmatizzati coloro che hanno alle spalle start up che hanno fallito, anzi vengono valorizzati perché si è coscienti che si tratta comunque di un’esperienza utile e di cui fare tesoro. Per portare tutto ciò all’interno del mondo pubblico, non ci si può aspettare che basti l’autonomia e l’indipendenza degli Enti. È necessario, bensì, che si sviluppino dei meccanismi di condivisione della conoscenza progettuale, meccanismi che devono essere snelli ed incentivanti. Per intenderci: non un catalogo, come per esempio quello relativo al Riuso, ma una community, un gruppo in grado di discutere di questi temi e lavorare insieme per trovare le soluzioni migliori. Solo garantendo un’efficace circolazione del know-how e delle competenze delle PA sarà possibile raggiungere quello snellimento della burocrazia a cui la Pubblica Amministrazione ha dimostrato di voler tendere, ma che ancora non è stata in grado di generare.