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Copyright, perché il filtro automatico europeo ha il sapore di censura

La Commissione LIBE del Parlamento Ue si è opposta all’introduzione di un filtro automatico dei contenuti caricati dagli utenti online che dovrebbe tutelare il copyright. Il motivo? Gli algoritmi non sono in grado di comprendere e interpretare tutte le eccezioni al diritto d’autore

Pubblicato il 24 Nov 2017

Vincenzo Tiani

Policy & Digital Communication

copyright

La riforma europea del copyright aggiunge una nuova tappa al suo cammino. La Commissione del parlamento europeo per le Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni (LIBE) ha votato contro la norma che prevede l’inserimento di un filtro automatico dei contenuti caricati dagli utenti online.

Con l’Art. 13 la Commissione Europea vorrebbe sanare il cosiddetto value gap, dando più potere ai produttori di contenuti laddove tali contenuti vengano caricati online senza il loro consenso. Quello che questi contestano è che, per via della facilità con cui gli utenti possono caricare online contenuti in violazione del copyright, una larga parte dei proventi vengano tolti ai produttori e vadano nelle mani di chi li distribuisce, attraverso la pubblicità online. Per farlo, ha proposto che piattaforme come YouTube debbano installare dei filtri che rilevino una violazione di copyright in maniera automatica.

Benché a prima vista possa sembrare una buona idea, questa scelta va incontro ad alcune problematiche.

Gli algoritmi non sono in grado di comprendere e interpretare tutte le eccezioni al diritto d’autore. Estrarre la breve parte di un film all’interno di un video su YouTube per fare una critica, o una parodia, difficilmente potrebbe essere letto da un algoritmo come una legale eccezione prevista dalla legge.

La norma poi, sarebbe in contrasto con la direttiva e-commerce che proibisce un monitoraggio generale dei contenuti online. La direttiva al momento prevede la procedura di notice and takedown per rimuovere i contenuti illegali. Secondo la direttiva il fornitore di un servizio di hosting dovrebbe provvedere alla rimozione di un contenuto illecito solo quando ne sia venuto a conoscenza. Non dovrebbe invece monitorare attivamente i suoi server in cerca di tali contenuti.

Infine, il rischio di un numero elevato di “falsi positivi” non sarebbe arginato da una valida e puntuale risposta delle piattaforme. Pur assumendo centinaia di addetti, questi dovrebbero avere la preparazione necessaria per valutare in pochissimo tempo se si tratti di un’eccezione prevista dalla normativa locale nel campo del diritto d’autore.

Il rischio quindi è che si crei una vera e propria “macchina della censura”, come è stato ben evidenziato dall’europarlamentare Julia Reda, dalla comunità accademica e dalla società civile.

Questa riforma però potrebbe costituire un’inutile barriera per l’innovazione, come sostenuto anche da Gianmarco Carnovale, Presidente di Roma Start-up.

Il voto della commissione LIBE è un passaggio rilevante ma purtroppo non conclusivo di questa vicenda, in cui l’Unione Europea manifesta nel modo più sbagliato possibile la propria ossessione nei confronti dei grandi OTT statunitensi. L’innalzamento di barriere regolamentari e tecnologiche a difesa di settori industriali vecchi ed incapaci di creare nuovo valore può ostacolare solo le start-up soggette a questi vincoli, cioè quelle europee, mentre queste barriere rimarranno ben gestibili da soggetti operanti sotto altri sistemi giuridici nonché da quei soggetti dotati delle risorse economiche necessarie. Il rischio è che continuiamo a farci del male da soli, e che stronchiamo in culla le auspicabili “google europee”.

YouTube ad esempio ha speso oltre 60 milioni di dollari per implementare la sua tecnologia di riconoscimento Content ID e ci sono voci contrastanti sul costo che una start-up dovrebbe affrontare per sviluppare qualcosa di simile, che soddisfi la norma dell’Art. 13.

Al momento la riforma ha già visto il vaglio di quattro commissioni parlamentari. Sull’art. 13, IMCO (Commissione per il Mercato Interno e dei Consumatori) e LIBE (Commissione per le Libertà Civili, Giustizia e Affari Interni) hanno votato contro l’introduzione di un controllo automatico, mentre CULT (Commissione Cultura ed Educazione) e ITRE (Commissione Industria, Ricerca ed Energia) hanno votato a favore. Resta fuori l’ultimo voto della Commissione JURI (Commissione Affari Legali), previsto tra il 24 e il 25 gennaio 2018.

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