L’Italia “digitale” ha vissuto un periodo di grande fermento e di attività, il biennio 2016 e 2017 rimarrà alla storia come uno dei momenti di maggiore operosità a livello nazionale, qualcosa che non si vedeva da almeno venti anni circa. Il Piano Nazionale Banda Ultra Larga e il Piano Crescita Digitale (da cui il Piano Triennale) hanno mano a mano preso forma e vita in modi molto differenti e con soluzioni diverse sono oggi avviati. Come per ogni cosa ci sono luci ed ombre ma di certo l’immobilismo centrale a cui ci si era rassegnati, a livello regionale, è terminato.
Banda ultra larga
Iniziamo dalle infrastrutture, l’Italia fanalino di coda d’Europa fino a tre anni fa oggi vanta un piano nazionale che prevede interventi in tutte le aree a fallimento di mercato, su questo i bandi sono già stati realizzati con la sottoscrizione di contratti con Open Fiber per la quasi totalità del territorio nazionale (restano fuori Puglia, Calabria e Sardegna sulle quale dovrebbe realizzarsi un terzo bando e la Provincia Autonoma di Bolzano).
È stato accumulato del ritardo che oggi è stimabile in almeno un anno a causa del combinato disposto di ricorsi presentati da parte degli operatori esistenti, un cronoprogramma molto/troppo sfidante e difficile da rispettabile da parte di MISE e Infratel, la difficile e complicata interazione con l’EU, l’aggiudicatario Open Fiber che è una vera e propria start-up del settore. Questo significa che l’avvio dei lavori nelle Regioni del primo bando, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Lombardia, Abruzzo e Molise, avverrà nel 2018 e quindi i primi effetti tangibili per i cittadini delle prime aree bianche interessati saranno percepibili a fine estate 2018.
Per onestà va detto che alcuni cantieri sono già avviati ma si tratta di qualche decina di comuni a fronte di interventi che a regime interesseranno migliaia di comuni. Come ho già avuto modo di scrivere l’intervento per la banda ultra larga è il vero e proprio “progetto paese”, un intervento che nel confronto europeo pone l’Italia in una posizione di apripista ed esempio virtuoso per gli altri Paesi. La rete di proprietà pubblica, gestita in concessione da Open Fiber, collegherà in banda ultra larga la stragrande maggioranza delle unità immobiliari in aree bianche. Un risultato che solo 3 anni fa era “impensabile”. Se oggi quindi nelle grandi città, aree nere, l’offerta commerciale è già ad un Gigabit a breve, e comunque entro il 2020, nelle aree più marginali (quelle classificate bianche) saranno offerti quasi ovunque 100 mega.
Nel ragionamento restano da considerare le aree grigie che oggi sono quelle che in prospettiva potrebbero vedere “meno miglioramenti” di tutte le altre. Si tratta di aree del paese mediamente popolate e con buoni livelli di sviluppo economico, in altre parole quella “provincia” che spesso è il motore produttivo e la residenza della maggior parte della popolazione. È quindi prioritario prevedere un intervento strutturato che dovrà essere incluso in quella che va sotto il nome di Fase 2 del Piano BUL. Le Regioni, soci alla pari del Piano Banda Ultra Larga, sono le prime ad essere interessate allo sviluppo della Fase 2 che oltre a intervenire sulle aree grigie dovrà anche definire nel dettaglio le forme di incentivo alla domanda di BUL (voucher, incentivi, wifi pubblico a banda ultra larga, promozione e cultura, competenze, ecc…).
Il percorso è avviato e parrebbe tutto “facile” ma così non è in quanto la scelta ardita e coraggiosa che ha portato Regioni e Governo a mettere in condivisione le risorse programmate su vari fondi di natura europea deve pagare il tributo della “complessità di gestione” che vuol dire procedure di rendicontazione vincolate da regolamenti europei e obiettivi di spesa al 2018 da rispettare per non rischiare di vedere tagliati i fondi disponibili. Siamo quindi nel mezzo dell’attuazione di un “grande progetto” che promette risultati eccezionali e che è eccezionalmente complicato. Sarà la capacità di far bene ed in fretta e l’intelligenza dei vari soggetti in campo a fare la differenza. Le Regioni da parte loro sono in prima linea per risolvere problemi e fornire spiegazioni e indicazioni. Sarà quindi determinante garantire continuità e intensità di azione anche nel corso del 2018 che si prospetta essere l’anno fondamentale per l’attuazione.
Sul fronte infrastrutture va sottolineato un aspetto di forma, nel 2016 è stato formulato e sottoscritto un accordo complessivo tra Regioni e Governo, questo passaggio è stato il punto di partenza con cui definire nel dettaglio le risorse in campo, la governance e gli impegni reciproci. Un passaggio che a posteriori è facile riconoscere come l’elemento fondante che ha permesso di procedere nella chiarezza dei ruoli e delle priorità. Lo stesso, purtroppo, non è stato con il Piano Crescita Digitale, che per genesi e natura abbraccia una gamma di argomenti molto vasta facendo capo a diversi e numerosi Ministeri e non fonda la sua attuazione su un accordo con le Regioni e Province Autonome, i cui fondi dedicati ai temi del Piano sono però citati come concorrenti alla realizzazione degli obiettivi e risultati. In questo caso quindi si è scelto di operare secondo una logica di “soft governance” che però a mio parere non ha prodotto i risultati sperati o auspicabili.
Piano triennale PA e datacenter pubblici
Al Piano Crescita Digitale nel 2017 si è affiancato, in logica attuativa, il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica Amministrazione, nel quale è evidente il contributo del Commissario Piacentini e del suo Team Digitale. Il paradigma in questo caso è stato ed è tuttora quello di coinvolgere le “amministrazioni amiche” intendendo quelle che si pongono in modo proattivo, positivo e collaborativo e che sposano l’impostazione ed i principi anche tecnologici alla base del Piano Triennale. Questo non significa che non ci siano occasioni di confronto in sede istituzionale ma di certo tali occasioni sono considerate alle pari dei confronti sviluppati sui vari forum on line e con i vari interlocutori specifici. L’approccio rende molto dinamica l’azione del Team ma ora che molti dossier sono stati affrontati diventa prioritario stabilire in modo chiaro e preciso quali siano risorse, ruoli e compiti che reciprocamente Governo e Regioni si assegnano. La logica dei “volenterosi” va bene come apripista ma poi serve uno schema di gioco altrimenti il rischio è di moltiplicare i nodi decisionali con conseguente rischio di posizioni non coerenti anche all’interno di una singola organizzazione.
Un esempio tra tutti è quello legato alla strategia di razionalizzazione risorse ICT della PA, i data center per intenderci, il percorso scelto per arrivare alla identificazione dei Poli Strategici Nazionali rischia di non tener conto delle pianificazioni fatte nei programmi operativi regionali sin dal 2015 (in accordo con il Governo) rendendo la procedura proposta poco credibile o necessariamente ricca di eccezioni.
Con la circolare uscita a inizio dicembre AgID contrariamente a quanto illustrato nel Piano Triennale intende raccogliere i dati tramite censimento sulle infrastrutture digitali fisiche della PA, soprattutto datacenter, e solo sulla base dei dati raccolti definire a posteriori le specifiche tecniche e le caratteristiche dei servizi che i PSN devono rispettare per essere qualificati, questa modalità operativa porterà ad ulteriori e di fatto renderà impossibile allineare i piani operativi regionali che intervengono sulle infrastrutture al Piano Triennale.
È urgente che, ora che l’azione congiunta del Team e di AgID ha prodotto chiarimenti e scelte strategiche sia tecnologiche che organizzative su molti punti aperti del Piano Crescita Digitale, si proceda a definire un accordo generale tra Regioni e Governo per la governance dell’attuazione del Piano Triennale in modo che sia meglio chiarito come le risorse nazionali (PON Governance e altre) possano contribuire a supportare l’attuazione a livello territoriale.
Le Regioni e Province Autonome, come sappiamo, si sono tutte dotate di Agende Digitali che hanno nella maggioranza dei casi riferimento temporale il 2020. È oggi il momento di ragionare su come vogliamo che siano strutturate le Agende Digitali future, quali elementi di base dovranno essere comuni, quali funzioni e azioni sono garantite dal livello centrale (con quali tempistiche e quali SLA), quali funzioni e ruoli assegnati alle Regioni e con quali responsabilità e rappresentanza del territorio. L’impegno oggi deve essere quindi su due binari, il primo dedicato all’attuazione del contingente (chiarendo però meglio chi, come, cosa e perché) ed il secondo dedicato ad immaginare la governance del prossimo futuro.
Questo è il momento di accelerare tutti insieme.