Dal primo gennaio 2018 il Processo Amministrativo è telematico anche per i ricorsi proposti prima del primo gennaio 2017 e i depositi di atti e documenti vanno eseguiti in forma digitale secondo le regole del PAT (processo amministrativo telematico). Dal primo gennaio 2018 il pagamento del Contributo Unificato si effettua solo con il Mod. F24 Elide. Confermato anche per l’anno 2018 l’obbligo del deposito di almeno una copia cartacea del ricorso e degli scritti difensivi (art. 1, comma 1150 della legge di bilancio 2018).
Sono questi i tre annunci fondamentali di questo periodo (infatti compaiono dall’inizio del nuovo anno sulla home page del sito ufficiale della giustizia amministrativa). Per gli avvocati, i quali sono i principali utenti del sistema, non costituiscono tutte buone notizie. Certo la fine del doppio canale, cioè il mantenimento delle regole precedenti per i giudizi iniziati prima dell’avvio del PAT, è una semplificazione. Ma se si considerano le tante problematiche che affliggono il nuovo sistema, la sua estensione a tutti i giudizi è fonte di ulteriori preoccupazioni per gli operatori. La prima delle quali è relativa all’affidabilità ed efficienza del sistema informativo, che se è vero che nel corso del 2017 non ha avuto significative interruzioni dei collegamenti, proprio alla vigilia delle prime udienze del nuovo anno ha mostrato ritardi nel caricamento dei documenti e in vari TAR (anche in quello di Milano) molti difensori si sono presentati chiedendo un rinvio delle discussioni delle istanze cautelari (per definizione urgenti) non avendo potuto esaminare gli atti di costituzione avversari depositati nei giorni immediatamente precedenti all’udienza.
Qualcuno ha attribuito all’immissione generalizzata di tutti i giudizi nuovi e pendenti il rallentamento del sistema. Considerando che il processo amministrativo, ben più del civile, si basa sulla tutela cautelare, la quale prevede termini molto ravvicinati all’udienza per le difese, inconvenienti di questo tipo non possono essere accettati e dovranno essere prontamente eliminati. Il che fa emerge uno dei peccati originali di questa informatizzazione: quella di essere stata varata con la clausola di invarianza finanziaria (art. 9, comma 5, del D.L. n. 168/2016). In sostanza si è dovuto far fronte ai maggiori costi dello sviluppo del sistema informativo di un intero plesso giudiziario con le risorse ordinarie: il che evidentemente spiega molte cose. Tra le quali la seconda novità dell’anno, quella della prosecuzione dell’obbligo degli avvocati di fornire copie cartacee degli atti depositati telematicamente. Obbligo che la prassi delle cancellerie ha esteso ai documenti e che quindi fa si che il fascicolo di ogni causa non sia solo telematico ma anche cartaceo, a beneficio dei giudici che preferiscono (come del resto la maggior parte degli operatori) lavorare con questo tipo di supporto.
Se ci fossero le risorse per l’acquisto di stampanti o per dotare le postazioni di lavoro dei magistrati di doppi schermi l’aggravio generalizzato delle copie di “cortesia” (ma in realtà obbligatorie) potrebbe essere eliminato.
Il terzo annuncio è quello relativo al pagamento del contributo unificato (la tassa di ricorso) esclusivamente con modalità telematiche. Una misura che non trova riscontro nel processo civile e che presenta vari inconvenienti. In primo luogo rende pressoché inevitabile per l’avvocato provvedere direttamente al pagamento, anziché richiedere al cliente di recarsi presso una qualsiasi tabaccheria per procurarsi la ricevuta con i sistemi di pagamento ordinari. Modalità quest’ultima che consentiva anche di disporre senza ritardo della prova del versamento e procedere nell’arco della stessa giornata al deposito telematico del ricorso nel sistema del processo.
Con il modello F24, soprattutto se effettuato per il tramite di una banca (come fanno la stragrande maggioranza degli studi legali), il rilascio della ricevuta non è immediato e richiede alcuni giorni, rallentando l’andamento della tutela giudiziaria. Problematica che si potrebbe risolvere non solo riammettendo l’alternativa di ogni altra modalità utile di pagamento ma anche soltanto con chiare istruzioni alle cancellerie e al sistema di consentire il deposito con la sola prova del mandato alla banca. E qui tocchiamo un altro fattore di criticità del nuovo sistema del processo amministrativo telematico, che attiene alle sue regole. Siamo proprio sicuri che il passaggio alla telematica giustifichi la massa di norme che a valle del codice processuale sono state adottate, articolandole in doppio livello (regolamento e specifiche tecniche)? Siamo altrettanto certi che sia conforme ai principi prevedere che da queste fonti secondarie possano derivare nullità non previste dalla legge e siano giustificate misure di rinnovazione degli atti difensivi e quindi l’allungamento dei tempi della tutela, anche dove non vengano in discussione il raggiungimento dello scopo dell’atto e non vi sia menomazione del diritto di difesa delle controparti?
Eppure se si scorre la copiosa giurisprudenza amministrativa che si è già formata sul PAT (il che di per sé non è un buon sintomo di qualità di questa regolazione) non è difficile imbattersi in alcune decisioni (fortunatamente al momento minoritarie) caratterizzate dal vizio italico dell’eccesso di formalismo, il quale, si sa, trova nell’informatizzazione e nella connaturata esigenza della regolazione estremamente dettagliata un terreno fertile di propagazione nefasta. Del resto anche la percentuale del 7,7 % di atti respinti dal sistema (su base annua) non è una percentuale di successo e deve preoccupare. Urge quindi mettersi al lavoro per un PAT 2.0. più efficiente, semplice ed immediato, che agevoli giudici ed avvocati nel loro lavoro e non richieda dibattiti dottrinali e giurisprudenziali per funzionare bene al servizio della giustizia.