Che possa esistere una ricetta miracolistica per preservare la Rete dalle fake news nessuno lo crede. Che si debba affrontare il problema lo sostengono in molti. Sulle modalità, però, non c’è accordo e anche recentissime iniziative prese dal governo italiano lasciano perplesso più di qualcuno.
Un conto sono le buone intenzioni, altra cosa è il modo con cui esse si traducono in azioni concrete. Il “red button” (pulsante rosso) anti-fake news inaugurato giovedì scorso dal Ministro dell’Interno Marco Minniti nella sala operativa della polizia postale, è a disposizione degli utenti sul sito www.commissariatodips.it e offre la possibilità di segnalare l’esistenza e la circolazione sul web di notizie false.
La segnalazione arriva a una task force di poliziotti del Centro nazionale anti-crimine informatico che, dopo aver fatto tutte le verifiche su quel link e sui link ad esso collegati, darà eventualmente risalto alla smentita sui canali social della polizia e sul sito del commissariato online.
Fermo restando che le fake news, nella loro declinazione di notizie distorte, manipolate e influenzate da interessi extraeditoriali, vengono diffuse con sistematicità anche dai media tradizionali, l’iniziativa di per sé non è sbagliata, perché funzionerà sicuramente da deterrente. Molti sciacalli che attualmente diffondono scientemente e con disinvoltura contenuti falsi, proprio per finalità denigratorie e manipolatorie, staranno più attenti.
Difficile, però, illudersi sul fatto che si tratti di una soluzione risolutiva. Anzitutto perché le organizzazioni che in modo scientifico producono e veicolano fake news non si lasceranno scoraggiare. Inoltre, il fattore tempo e la categoria della viralità giocano un ruolo cruciale. Se la propalazione di una notizia falsa dura giorni e giorni e con il meccanismo delle condivisioni raggiunge pubblici sterminati, una segnalazione o una smentita tardive ben difficilmente contribuiscono a ristabilire il dominio della verità dei fatti. E finiscono per disorientare o addirittura per non risultare persuasive su chi si è già formato un punto di vista consapevole e consolidato sull’argomento.
Ma le ragioni per le quali la pur lodevole iniziativa del governo mostra il fianco a critiche e, quanto meno, a una sospensione del giudizio in attesa di risultati, sono le seguenti.
Anzitutto bisognerebbe chiarirsi sul confine, molto labile e a volte impercettibile, tra informazioni e opinioni, tra fatti e commenti o interpretazioni. Esistono reati già codificati e puniti nel nostro ordinamento, dalla lesione dell’onore e della reputazione (diffamazione) al procurato allarme, che risultano integrati da condotte specifiche. Li’ si tratta semplicemente di applicare il diritto vigente, con un’estensione giurisprudenziale alla Rete. Non c’è in questo senso alcun bisogno di una legge sulle fake news, proprio perché in moltissimi casi le tutele giuridiche ci sono già e innumerevoli sentenze hanno punito, ad esempio, la diffamazione on line. Quello che invece andrebbe contrastato, anche con un fattivo coinvolgimento degli over the top, è la diffusione di gigantesche bufale, in grado di incidere sul processo di formazione delle opinioni, pur senza danneggiare nello specifico alcun soggetto.
Qui si innesta una considerazione di contesto, che avvalora una seconda riserva sul red button. Alla vigilia di una campagna elettorale dai toni già molto accesi, soprattutto con riferimento a una forza politica che seleziona la sua classe dirigente sul web e che alimenta più di altre il dialogo on line con i suoi simpatizzanti, come allontanare i sospetti che possa trattarsi di un’iniziativa con finalità politiche?
La storia si ripete, sia pure in forme nuove. In epoca fascista il regime mussoliniano usava la “longa manus” dei prefetti per combattere il dissenso e riportare l’ordine nella carta stampata, riducendo alla clandestinità le voci scomode e sgradite. La tentazione ricorrente di chi sta al governo di utilizzare i propri strumenti di controllo per incanalare in direzioni predeterminate il flusso delle informazioni anche elettorali non è una novità. La polizia dipende dal Ministro dell’interno, che è un esponente di punta di una forza politica che ha anche deciso di ricandidarsi. Fino al giorno delle elezioni, e magari anche dopo, Minniti continuerà a fare il Ministro, mentre svolgerà la sua campagna elettorale sotto le insegne di un partito. Non sarebbe stato meglio rinviare a dopo le elezioni questa azione di contrasto alle fake news in maniera tale da non riempirla di contenuti elettoralistici? In alternativa, non sarebbe stato più opportuno che a occuparsi di fake news fosse un’autorità indipendente anziché un organo di parte che risponde al governo in carica?