Le recenti modifiche apportate al Codice dell’amministrazione digitale (d.lgs. n. 82/2005) dal d.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217 – recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179 – in vigore dal 27/1/2018 – costituiscono l’occasione per alcune riflessioni sul processo amministrativo telematico (PAT) ad un anno dalla sua entrata in vigore.
Sotto il profilo tecnologico, il Sistema Informativo della Giustizia Amministrativa ha senz’altro dimostrato, in questo primo anno, di reggere senza tentennamenti all’impatto di un processo amministrativo telematico “dalla A alla Z”: i dati ufficiali forniti dal Segretariato Generale della giustizia amministrativa evidenziano, per il 2017, un totale 268.552 di depositi telematici, soltanto il 7,7% dei quali (pari a 22.357) respinti per errori tecnici (peraltro imputabili agli utenti – il più frequente dei quali è la mancata allegazione da parte del difensore del Modulo di deposito al messaggio PEC- e solo in casi del tutto minimali e trascurabili a problematiche inerenti allo sviluppo del Sistema Informativo).
La percentuale dei ricorsi rifiutati per errore tecnico, peraltro, dopo un valore iniziale del 21%, è scesa a una soglia fisiologica che negli ultimi mesi si è assestata sotto il 6% (dati aggiornati al 31 Dicembre 2017).
Un PAT da primo premio
Sotto il profilo prettamente processuale, è da rilevare anche che gli avvocati e i giudici amministrativi, alle prese con nuove problematiche di interpretazione e applicazione di disposizioni telematiche, hanno dimostrato un buon senso senz’altro superiore a quanto in passato accaduto nel processo civile telematico, mostrandosi riottosi – tranne alcune eccezioni – a sollevare ed accogliere eccezioni processuali di inammissibilità dei ricorsi fondate esclusivamente su profili telematici, affrontando più frequentemente tali problematiche sotto il profilo giuridico delle irregolarità sanabili. Non è un caso, quindi, come in questo primo anno una delle disposizioni meno utilizzate nelle aule dei Tribunali amministrativi sia stata proprio quella di cui all’art.13 bis delle disposizioni di attuazione del c.p.a. che consente di valutare già in primo grado la rimessione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato di eventuali problematiche interpretative e applicative di norme sul PAT (v. ad es. T.A.R. Napoli, I, sent. n. 1694/2017 che, con riferimento alla questione relativa all’efficacia “sanante” della sottoscrizione del “ModuloDepositoAtto” in presenza di atti processuali privi di firma digitale ha ritenuto non sussistenti allo stato “significativi contrasti giurisprudenziali” tali da legittimare il ricorso all’istituto in questione).
Si può dire, quindi, che malgrado le paure iniziali e le inevitabili difficoltà dovute ad un cambio di mentalità epocale per utenti nati nell’era cartacea, il PAT ha senz’altro meritato il primo premio Agenda digitale 2017, del quale è stato recentemente insignito per lo sforzo compiuto nell’ultimo anno per la informatizzazione del processo davanti ai Tar e al CDS.
Dal punto di vista strettamente attinente all’informatica giuridica tuttavia, nell’immane sforzo posto in essere dalla Giustizia Amministrativa per realizzare in pochissimo tempo un’impresa così straordinaria a “costo zero”[1], non sono mancate tuttavia critiche da parte di chi ha segnalato che, rispetto alle previsioni del CAD e ai passi da gigante dell’evoluzione tecnologica, il CAD sia nato già “vecchio”. Anche dopo le modifiche apportate al CAD dal d.lgs. n.217/2017, deve tuttavia segnalarsi che lo sforzo di adeguamento tecnologico compiuto dall’amministrazione della giustizia è stato rispettato al punto che l’art.2, comma 6, che precisa che le disposizioni del CAD in materia di processo telematico (civile, penale, amministrativo, contabile e tributario) si applicano “soltanto ove compatibili e salvo che non sia diversamente disposto dalle disposizioni in materia di processo telematico”.
Ciò significa che, con buona pace di chi contestava le scelte tecniche effettuate dall’art.136, comma 2 c.p.a nonché dal d.P.C.M. n.40 del 16 febbraio 2016 (recante regole tecnico/operative del processo amministrativo telematico), anche dopo le modifiche apportate alla definizione di documento informatico dall’art.20 comma 1 bis del CAD l’unica tipologia di documento informatico ammesso nel PAT è, fatti i casi eccezionali della copia informatica di atto analogico, quello in formato PDF sottoscritto con firma digitale e l’unica tipologia di firma consentita resta quella PadES.
Inoltre, l’art.20 comma 1 quater del d.lgs. 82/2005, introdotto dall’art.20 del d.lgs. n.217/2017 precisa che pur dopo le modifiche apportate al CAD “Restano ferme le disposizioni concernenti il deposito degli atti e dei documenti in via telematica secondo la normativa, anche regolamentare, in materia di processo telematico.”. Ciò significa che, in materia di deposito con modalità telematiche, le disposizioni regolamentari speciali dettate dal d.P.C.M. n.40/2016 (cioè il deposito a mezzo PEC e, in casi eccezionali, upload, attraverso il Modulo di deposito definito dal d.P.C.M. n.40/2016) sono fatte salve.
I problemi interpretativi
I problemi interpretativi riguardano, invece, quegli ambiti in cui la disciplina del processo telematico sia carente o lacunosa. In particolare, per quanto attiene al processo amministrativo, la modifica dell’art.22 del CAD pone alcuni problemi con riferimento alle modalità di attestazione di conformità della copia informatica di atto o documento analogico, nei casi eccezionali in cui il deposito di tale formato è consentito nel processo amministrativo telematico.
L’art.136, comma 2 bis, c.p.a introdotto dalla l. n.197/2016 prevede infatti che quando il difensore depositi con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attesta la conformità della copia al predetto atto mediante l’asseverazione di cui all’articolo 22, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.
Proprio tale disposizione è stata interessata da rilevanti modifiche ad opera del d.lgs. n.217/2017.
Il nuovo comma 1 bis dell’art.22 d.lgs. n.82/2005, come modificato dal d.lgs. n.217/2017, precisa, infatti, che la copia per immagine su supporto informatico di un documento analogico è prodotta mediante processi e strumenti che assicurano che il documento informatico abbia contenuto e forma identici a quelli del documento analogico da cui è tratto, previo raffronto dei documenti o attraverso certificazione di processo nei casi in cui siano adottate tecniche in grado di garantire la corrispondenza della forma e del contenuto dell’originale e della copia e non c’è dubbio che tali modalità debbano essere rispettate anche dal difensore, al fine del deposito in giudizio.
Tuttavia, a differenza di quanto previsto dall’ art. 22, comma 3, del d.lgs. n. 82/2005 (CAD) che in generale ammette la possibilità di utilizzare anche copie non autenticate (salvo il rischio del disconoscimento), per quanto riguarda il PAT la formulazione dell’art. 136, comma 2-ter, c.p.a. pare disporre, come condizione indefettibile, che il difensore che deposita in giudizio copie informatiche di atti, provvedimenti e documenti analogici – e che a tal fine è espressamente riconosciuto “pubblico ufficiale”- debba previamente attestarne la conformità all’originale in suo possesso, senza eccezione alcuna.
È indubbio, tuttavia, che la modalità con cui l’attestazione deve essere effettuata (prima contenuta nell’art.22 comma 2, del CAD, che precisava che l’asseverazione venisse effettuata «con dichiarazione allegata al documento informatico e asseverata») non è contemplata, in via generale, dal d.P.C.M. n.40/2016 che, a differenza di quanto previsto per il PCT, prevede solo disposizioni specifiche per la procura (art.8) e per la documentazione relativa alla notifica effettuata in modalità cartacea (art.14)[2].
Anche dopo le recenti modifiche del CAD, resta inoltre irrisolto il problema del rapporto tra l’ art. 136, comma 2 ter, c.p.a. e l’ art. 22, comma 1, d.lgs. n. 82/2005 (CAD), che attribuisce ai documenti informatici contenenti copia di atti pubblici, scritture private e documenti in genere (compresi gli atti e documenti amministrativi di ogni tipo formati in origine su supporto analogico), spediti o rilasciati dai depositari pubblici autorizzati e dai pubblici ufficiali, lo stesso valore giuridico degli originali da cui sono tratti, ai sensi degli artt. 2714 e 2715 c.c., se ad essi è apposta o associata, da parte di colui che li spedisce o rilascia, una firma digitale o altra firma elettronica qualificata, con la conseguenza che «la loro esibizione e produzione sostituisce quella dell’originale».
PA senza PEC, ancora un problema
Il d.lgs. n.217/2017, infine, sembra avere perso un’ottima occasione al fine di risolvere l’annoso problema delle notificazioni processuali alle amministrazioni che continuano a violare l’obbligo di eleggere un indirizzo PEC a tal fine. Come è noto, il Consiglio di Stato, nel parere reso dall’Adunanza della Commissione speciale del 4 ottobre 2017 sullo Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179, al fine di consentire il definitivo superamento dei problemi connessi al mancato popolamento del registro delle P.A. gestito dal Ministero della giustizia, causati dalla ingiustificata inerzia di numerose pubbliche amministrazioni, aveva ritenuto di dover segnalare l’opportunità di prevedere, nell’art. 62 dello schema del decreto correttivo, anche un potere sostitutivo che l’AgID, decorso un ragionevole tempo dall’accertata inerzia, potrebbe esercitare per l’iscrizione del soggetto pubblico inadempiente nel registro.
Invio di comunicazioni legali al domicilio digitale
Infine, sarà importante verificare quale impatto avrà sull’art.16 ter del d.l.179/2012, la recente modifica apportata dall’art.9 del d.lgs. n.217/2017, che ha introdotto il nuovo art.6 –quater del d.lgs. n.82/2005 (CAD) intitolato “Indice nazionale dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato, non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese”. L’ultimo comma di tale disposizione prevede infatti – seppure implicitamente- che tali indirizzi possano essere usati anche senza il consenso degli interessati ogni qualvolta la comunicazione sia finalizzata “all’invio di comunicazioni aventi valore legale o comunque connesse al conseguimento di finalità istituzionali dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2”.