Arrivano i competence center, con due anni di ritardo (annunciati con la presentazione del piano, nel settembre 2016, e finanziati con le risorse della manovra di bilancio dello scorso anno).
Si ha notizia della costituzione del competence center di Milano, di Torino, Bologna, Padova, Pisa e Roma, con un crescendo di annunci in questi giorni.
La lista dei competence center
- Manufacturing 4.0, che fa capo al Politecnico di Torino,
- Made in Italy 4.0, cui ente capofila è il Politecnico di Milano,
- BI-REX, ente capofila Università di Bologna,
- Artes 40, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa,
- SMACT, Università degli studi di Padova,
- Industry 4.0, Università degli Studi di Napoli Federico II
- Start 4.0, che vede come ente capofila il CNR – Consiglio nazionale delle ricerche
- Cyber 4.0, Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
Il ministero dello Sviluppo economico ha pubblicato a maggio la graduatoria (primo posto al Politecnico di Torino, sul podio anche Politcnico di Milano e Università di Bologna), e ha stanziato nuove risorse, dunque sul piatto ci sono 73 milioni di euro, quasi doppio rispetto ai 40 milioni precedentemente previsti.
Competence center Industry 4.0, ecco i progetti di tutte le università
I criteri generali per la selezione dei competence center sono stati quelli contenuti nel bando pubblicato il 29 gennaio, come anticipato da Agendadigitale.eu, e nel decreto attuativo 214/2017, in vigore dal 24 gennaio 2018,che privilegiano la ricerca applicata e non di base. C’è una forte spinta sulla rilevanza imprenditoriale dei partneriati pubblico privati che devono far parte dei centri di eccellenza per il trasferimento tecnologico di Industry 4.0. Sono otto i competence center che hanno presentato domanda entro il 30 aprile 2018 e sono entrati in graduatoria. Ora, parte l‘ultima fase della selezione, che prevede una negoziazione con i centri di competenza selezionati per la ripartizione delle risorse: il bando non prevede un numero fisso di competence center, il numero sarà determinato dalle risorse in base ai diversi progetti presentati.
Le caratteristiche dei competence
Il 65% dei 73 milioni (quindi, 47,5 milioni di euro) servirà a coprire le spese di costituzione e avviamento dell’attività dei competence center, fino a un massimo di 7 milioni e 500mila euro ciascuno. Il restante 35% servirà invece per finanziare i progetti di ricerca tecnologica, fino a un massimo di 200mila euro a progetto. Ora bisogna capire, anche alla luce dell’incremento delle risorse, quanti saranno alla fine i competence center finanziati: potrebbero non esserci finanziamenti sufficienti per tutti e otto i progetti, anche se la fase di negoziazione serve proprio a ottimizzare le risorse, quindi non si può escludere nulla.
Nle gennaio scorso Francesco Seghezzi, direttore Fondazione Adapt rilevava: «abbiamo aspettato un anno e mezzo per il bando, e in realtà abbiamo già capito chi saranno i candidati e chi vincerà». Il riferimento era agli atenei che fin dall’inizio (quando sembrava che non ci sarebbero stati bandi) erano stati indicati come sede dei competence center: i Politecnici di Milano, Torino e Bari, il Sant’Anna di Pisa, la Federico II di Napoli. In realtà, i partecipanti al bando sono stati più numerosi. Il ritardo, secondo Seghezzi, crea problemi anche in materia di efficacia: alla fine, prima di vedere i centri di competenza in funzione, passeranno circa due anni dal piano. La mission di queste strutture dovrebbe essere, fra le altre cose «quella di consigliare le imprese come investire», ma di fatto le imprese, grazie agli incentivi, le tecnologie le stanno già comprando. «Quindi, mi chiedo quale sarà la funzione di questi competence center». E comunque, l’elemento delle competenze, della costruzione delle competenze 4.0, doveva essere fondamentale, «mentre mi sembra che ci sia un scelta di fondo troppo concentrata sulla tecnologia, senza il capitale che deve gestirle». Stefano Firpo, direttore generale del ministero dello Sviluppo economico, difende invece l’impostazione portata avanti: «è la prima volta che si fa un reale politica di incentivazione per andare incontro alla domanda di innovazione delle imprese», e questo rappresenta un primo, importante, punto a favore. Per quanto riguarda l’eccessiva concentrazione sulle tecnologie, Firpo sottolinea che sono previste tutte le materie STEM (scienze, tecnologie, ingegneria e matematica), non solo quelle tecnologiche, e tutte le discipline economiche (Economia, statistica). Certo, mancano le materie umanistiche, considerate effettivamente lontane dalle logiche 4.0. Anche dal punto di vista della formazione? I Competence center, sottolinea Firpo, prevedono anche servizi di formazione, orientamento alle imprese, sviluppo di partneriati.
I servizi alle imprese
Vediamo con maggior precisione come funzioneranno questi poli intorno ai quali si dovrà sviluppare l’eccellenza dell’Industria 4.0 italiana. Dovranno erogare un servizio alle imprese che si sviluppa su tre assi:
- orientamento, in particolare per le PMI, attraverso la predisposizione di una serie di strumenti volti a supportare le imprese nel valutare il loro livello di maturità digitale e tecnologica;
- formazione, con l’obiettivo di promuovere e diffondere le competenze in ambito Industria 4.0 mediante attività di formazione in aula, sulla linea produttiva, e su applicazioni reali, utilizzando, ad esempio, linee produttive dimostrative e sviluppo di casi d’uso, allo scopo di supportare la comprensione da parte delle imprese fruitrici di benefici concreti in termini di riduzione dei costi operativi e aumento della competitività dell’offerta;
- attuazione di progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale, proposti dalle imprese, compresi quelli di natura collaborativa tra aziende, e fornitura di servizi di trasferimento tecnologico in ambito Industria 4.0, anche attraverso azioni di stimolo alla domanda di innovazione da parte delle imprese, in particolare delle PMI.
Attenzione: le risorse pubbliche copriranno solo in parte le spese che le imprese andranno a sostenere per i servizi del competence center e per i progetti di innovazione che attueranno. In pratica, il competence center può dare aiuti fino al 50% delle spese sostenute per ogni progetto, fino a un massimo, appunto, di 200mila euro per ogni progetto. Quindi, nel momento in cui un singolo progetto avrà a disposizione 200mila euro, di fatto costerà all’impresa almeno 400mila euro.
La composizione dei competence center
Gli atenei che fanno parte del competence center possono essere pubblici o privati. Il decreto specifica quali caratteristiche devono avere i diversi soggetti partner, quindi centri di ricerca, università, imprese. I requisiti sono elencati dall’articolo 4 del provvedimento ministeriale. Eccoli:
- Università: impiegare personale e strutture che appartengano per almeno il 70% ai dipartimenti selezionati in base all’indicatore standardizzato della performance dipartimentale (ISPD) e ammessi alla presentazione di progetti di sviluppo dipartimentale. Aver partecipato all’ultimo esercizio di Valutazione della qualità della ricerca (VQR) dell’Agenzia nazionale di valutazione (ANVUR), con esito positivo, per tutte le strutture di ricerca appartenenti all’istituzione posizionandosi, nelle aree di interesse per le attività previste, nel primo quartile della distribuzione nazionale (atenei) dell’indicatore R (voto medio normalizzato dell’area) e dell’indicatore X (frazione di prodotti eccellenti normalizzato nell’area).
- Enti di ricerca: devono aver lo stesso requisito relativo alla valutazione della qualità della ricerca delle università.
- Organismi di ricerca: devono avere stabile organizzazione in Italia, essere presenti nell’Anagrafe nazionale delle ricerche, prevedere una contabilità separata per il finanziamento, i costi e i ricavi delle attività economiche legate al competence center e assicurare, se sono privati, che le imprese in grado di esercitare un’influenza decisiva sull’ente, ad esempio in qualità di azionisti o di soci, non possano godere di alcun accesso preferenziale ai risultati generati. Devono poi avere gli stessi requisiti soggetti delle imprese.
- Imprese: iscrizione nel Registro imprese, nel pieno esercizio dei propri diritti (no liquidazione volontaria e procedure concorsuali), non rientrare fra imprese che hanno ricevuto e non rimborsato aiuti ritenuti incompatibili dalla Commissione Europea, essere in regola con l’eventuale restituzione di somme dovute in relazione a provvedimenti di revoca di agevolazioni concesse dal ministero dello Sviluppo economico, non essere impresa in difficoltà.
La partnership pubblico-privata che compone il centro di eccellenza deve essere costituita attraverso apposito contratto, con una serie precisa di caratteristiche elencate dall’articolo 2 del decreto. Fra le altre cose, segnaliamo che devono essere chiari diritti, obblighi, entità, tempi e modalità dei conferimenti di ciascun soggetto o organismo partecipante al centro. E’ vietata la ripartizione degli utili. Ci sono precise norme di governance, è prevista la chiara definizione di indicatori che dimostrino la capacità innovativa.
Il bando valuta i competence center in base a precisi indicatori: caratteristiche tecniche e solidità economico finanziaria, solidità economico-finanziaria, qualità del programma di attività (misurata in base a una serie di elementi elencati nell’articolo 7 del decreto). Ci sono specifiche caratteristiche previste per organismi di ricerca e imprese. Per gli organismi di ricerca si prendono in considerazione attività degli ultimi tre anni fra cui citiamo progetti di trasferimento tecnologico legati a Industry 4.0, pubblicazioni tecnico scientifiche sempre su Industry 4,0, assegni di ricerca e dottorati 4.0, strutture operative di trasferimento tecnologico, aggiudicazione di bandi. Dettagliate anche le caratteristiche delle imprese (brevetti, attività su Industria 4,0 dei tre anni precedenti, fatturato, numero di studenti formati all’interno di academy aziendali, con meccanismi di alternanza scuola-lavoro oppure mediante collaborazioni con istituti tecnici superiori o formati attraverso master specialistici finanziati dall’impresa, sostenibilità economico finanziaria delle attività previste).
Seghezzi ritiene un elemento di criticità la scelta di far coincidere i competence center con le università. Ci sono una serie di requisiti richiesti, come il numero di pubblicazioni, per cui è facile che vinca un’università rispetto a un centro di ricerca privato. «Ci sia appoggia troppo a un sistema universitario che sconta il difetto di non saper dialogare con il mondo delle imprese», insiste. «Non basta far incontrare due persone perché si mettano insieme, e allo stesso modo non basta mettere i competence center nelle università perché inizino a parlare con le imprese». Anche qui, Firpo insiste invece su quelli che ritiene punti di forza: «i centri non saranno formati solo da università, anzi la parte imprenditoriale rappresenta una forte caratterizzazione dell’iniziativa». Per la prima volta «obblighiamo le università ad aprirsi in maniera forte verso il mondo delle imprese», e questo rappresenta un punto centrale della strategia e una novità per il sistema Italia. «Privilegiamo i progetti di ricerca e sviluppo su livelli maturazione tecnologica più elevati, per spingere a fare ricerca applicata».
Seghezzi vede comunque il rischio che tutto si risolva in un trasferimento di fondi alle università, che metteranno in piedi qualche show room di tecnologia e qualche consulenza, senza costruire le figure professionale di cui c’è bisogno alla luce degli investimenti fatti». C’è un elemento fondamentale che secondo Adapt viene trascurato, e riguarda la funzione delle università nell’aiutare le imprese a costruire nuovi modelli di organizzazione del lavoro. «Senza questo elemento, uno può avere tecnologia e competenze, ma non costruisce un sistema nuovo». I suggerimenti: maggior coordinamento fra competence center e digital innovation hub, far partecipare di più attori diversi dalle università che possono aiutare nella costruzione di un sistema 4.0: agenzie per il lavoro, centri per l’impiego, amministrazioni locali, centri di ricerca più piccoli, rappresentanze di lavoratori per mettere a punto e sperimentare modelli partecipativi».
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