Può esistere un’informatica buona, pulita e giusta? La computer ethics classica si è sempre focalizzata sulle conseguenze dell’uso e diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) nella società dopo la loro progettazione. L’approccio Slow Tech propone di introdurre un nuovo paradigma di progettazione delle tecnologie stesse. Propone un’informatica buona (disegnata ponendo al centro i bisogni degli esseri umani), pulita (che minimizza l’impatto ambientale dell’ICT) e giusta (che tiene in considerazione le condizioni dei lavoratori lungo tutta la filiera ICT).
Dal punto di vista teorico è stata Deborah Johnson, nel 1985, con la sua definizione di “socio-tecnical systems“: “… la tecnologia non è soltanto artefatti, ma artefatti incorporati in pratiche sociali e infusi con significati sociali“, a riconoscere che la tecnologia e la società di plasmano a vicenda (co-shaping) e quindi diventa fondamentale guardare i sistemi ICT come “socio-technical systems” (Johnson D.G., Computer Ethics, Prentice-Hall, 1985). Questo permette di anticipare i problemi legati ai computer, diventa necessaria una “proactive computer ethics“, dove viene messa in discussione l’evoluzione dell’ICT stessa e non accettata come inevitabile.
Un’informatica buona parte proprio dagli esseri umani nella definizione dei requisiti, e questo richiede un approccio interdisciplinare (ingegneria, informatica, antropologia, human-computer interaction, filosofia, sociologia, etc.). Diventa possibile indirizzare in modo costruttivo lo sviluppo dei sistemi verso una innovazione responsabile che pone gli esseri umani, la sostenibilità ambientale e l’etica, alla base dello sviluppo della scienza e della tecnologia.
Un’informatica pulita affronta i temi dell’impatto ambientale dell’ICT: dal problema dell’esaurimento delle cosiddette “terre rare”, all’energia necessaria per alimentare i giganteschi datacenter dei cloud provider (ormai la CO2 prodotta dall’ICT è paragonabile a quella delle linee aeree), al riciclo e riuso dei materiali, alla gestione dei rifiuti elettronici, al concetto di recyclable-by-design.
Un’informatica giusta rispetta i diritti umani, la sicurezza e la salute dei lavoratori lungo tutta la catena del valore dell’ICT.
Il termine Slow Tech si ispira a Slow Food, che si concentra sull’importanza di un cibo buono, pulito, e giusto. Con lo stesso approccio, Slow Tech propone una riflessione sull’intera catena del valore dell’ICT, una visione sistemica che non si concentra solo sull’impatto sociale ed etico legato al loro uso, ma allarga la riflessione etica alla progettazione, sviluppo, produzione, e applicazione dell’ICT fino alla chiusura del ciclo dei rifiuti elettronici. Una ICT che sia socialmente desiderabile, ambientalmente sostenibile e eticamente accettabile.
Se ne parlerà lunedi 19 Febbraio, all’Università Statale di Milano, in occasione della presentazione del libro “Slow Tech, a responsible, sustainable, and ethical approach“.