Chiunque vinca le elezioni, dal 4 marzo anche su Industria 4.0, diventato nel frattempo oggetto di campagna elettorale, inizierà una fase nuova. In sostanza sarà finita l’incubazione (per ora limitata agli aspetti fiscali) del progetto, per iniziare la sua pratica attuazione.
Ma a 15 mesi dall’avvio del piano Calenda vediamo con realismo le tre cose principali, con le quali si troverà a fare i conti qualunque Governo ci sarà dopo il 4 marzo, per dare seguito e forza al Piano.
Prima sfida
La leva che funziona su Industria 4.0 è l’iperammortamento al 250%, dedicato al cambio dei macchinari e del software annesso, nelle aziende.
Provvedimento utilissimo per rigenerare il parco macchine del Paese, ma Industria 4.0 non può essere e non è solo una leva fiscale, è molto di più, è la trasformazione del sistema industriale europeo è la re-ingegnerizzazione del processo produttivo, è il ripensamento totale del rapporto prodotto/servizio. Bene aver ora intanto introdotto il credito di imposta al 40% sulla formazione.
Obiettivo quindi dovrà necessariamente essere: come stimolare, anche con incentivi e voucher la parte del processo produttivo della consulenza, della formazione, del cloud, della sensoristica, dei social, del marketing, degli analitycs e big data, della cyber security etc.
In una parola come stimolare il processo e il prodotto dell’Industria 4.0, che sono dati dalla sommatoria e mix di tutto quanto appena elencato.
Specificatamente sul capitolo importante della Formazione e le competenze occorre mettere a regia la misura recentemente stanziata dalla Legge di Bilancio sul credito di imposta in formazione – di cui però mancano ad oggi le linee guida – e la progettualità dei Fondi interprofessionali.
Seconda sfida
La seconda questione da risolvere: implementazione dei competence center e collegamento con i Digital Innovation Hub.
Fino ad oggi, sulle finalità del Digital Innovation Hub eravamo tarati su quanto interpretato dalla strategia “Digitising European Industry” considerando il DIH lo strumento operativo per indirizzare le imprese alle competenze disponibili (Centri di Competenza) e riportato nelle varie precedenti presentazioni MISE, in questo anno e mezzo, in termini di strategie di digitalizzazione sul territorio nazionale.
Viceversa nel Bando MISE, pubblicato il 30 gennaio, dedicato ai Centri di Competenza ad alta specializzazione, il ruolo dei DIH è stato fortemente ridimensionato (vedi Art. 1 comma n) e Art. 3 comma 2)) creando – a mio avviso – diversi problemi a breve e nel lungo periodo. E mi spiego meglio.
Dalla lettura del bando e di quanto dice la Commissione Europea sarà possibile chiarire la diversa interpretazione del ruolo dei DIH data dal MISE rispetto a quella consolidata a livello comunitario?
Obiettivo quindi: rendere coerenti i Competence Center, della ricerca specializzata e del primo trasferimento alle imprese, con i Digital Innovation Hub, luoghi diffusi nei territori dove si incontra la PMI con il mondo universitario e del digitale.
Terza sfida
La terza questione è come il piano Industria 4.0 si integra o potrà integrarsi, con le Regioni e le Camere di Commercio.
Sto pensando sia ai PDI, questi nuovi punti di innovazione digitale delle Camere di Commercio, sia alla fitta rete di competenze sovrapposte rappresentate dalle singole Regioni, destinatarie dei veri grandi (in senso monetario) finanziamenti europei POR, FESR etc. Regioni che a mio avviso sono attori importantissimi nei territori, perché a diretto contatto delle imprese e delle partite dei fondi comunitari su innovazione e ricerca, oltre che su reti, filiere e distretti (a seconda delle casistiche).
Obiettivo quindi: costituire una cabina di regia del Governo con la Conferenza delle Regioni e le Camere di Commercio, per una strategia condivisa e soprattutto per evitare sovrapposizioni e sprechi.