“La PA dice addio alla carta”. Ci sarebbe da fare una standing ovation, se non fosse che prevale la sensazione di deja-vu.
Ma partiamo dall’antefatto.
12 gennaio 2015: esce in Gazzetta Ufficiale (rigorosamente cartacea) il DPCM 13 novembre 2014 recante “regole tecniche sul documento informatico”.
Tanto per incominciare, facciamoci una domanda: due mesi per pubblicare in Gazzetta un DPCM?
Complimenti per la rapidità!
E veniamo alla sostanza.
Entro il 16 febbraio tutte le pubbliche amministrazioni dovranno approvare un piano di informatizzazione delle procedure per la presentazione di istanze, dichiarazioni e segnalazioni che permetta la compilazione online con procedure guidate accessibili tramite autenticazione con il sistema pubblico perla gestione dell’identità digitale di cittadini e imprese.Un mese di tempo per scrivere e approvare il piano; nessuna sanzione per gli inadempienti; neppure la più pallida indicazione sul dove trovano i soldi, le PA, per mettere in pratica tutto quello che (eventualmente) metteranno nero su bianco sui mitici “piani”.
Sarà che sono anziano, ma a me pare di rileggere per la quarta/quinta volta in dieci anni la medesima sceneggiatura: piani da predisporre (tutto grasso che cola per i consulenti specializzati in “copia e incolla”), nessuna attenzione rispetto alla cogenza della norma, totale disinteresse verso gli aspetti organizzativi e realizzativi (come si finanzia questa digitalizzazione).
Ulteriore elemento di sconforto: si parla di “informatizzazione delle procedure”, riferendosi quindi ovviamente a “procedure attuali”. Con buona pace di tutti coloro i quali, da anni, si sgolano per dire che l’informatizzazione della situazione “as is” non può che produrre mostri.
Ma tant’è.
Francamente, non si capisce perché questa volta bisognerebbe dar credito agli ottimisti: siamo di fronte all’ennesimo tentativo di far succedere tutto “per tabulas”, e poco importa se fino a qualche mese fa gli stessi entusiasti odierni erano in prima fila nel dire “l’innovazione non si fa per legge”.
Il tutto in uno scenario dove nulla è praticamente cambiato rispetto a dieci anni fa: il livello di utilizzo delle tecnologie (non la quantità di tecnologia adottata, si badi bene!) da parte della PA italiana è rimasto pressoché immutato, e inoltre si sono drasticamente ridotti i budget destinati allo sviluppo e alla gestione dei sistemi informativi e della IT infrastructure.
La sensazione è che ancora una volta chi sta prendendo decisioni lo fa senza avere un reale polso della situazione: senza sapere (tanto per fare un esempio) che l’età media del parco PC installato nei Comuni italiani sta superando quota 6 anni, con almeno il 4% dei PC con più di 12 anni di età!
O che almeno il 20% dei DBMS utilizzati non viene aggiornato da almeno 3 anni per mancanza di budget.
E così si finisce col parlare di Open Data, Internet of Things, Smart Cities, senza rendersi conto della situazione molto vicina al tragico in termini di componenti “basici” dei sistemi informativi.
Ancora una volta, abbiamo a che fare con ottime intenzioni condannate a rimanere tali in totale assenza di un vero commitment e di risorse economiche adeguate.
Se ci si allontana per un attimo dal circolo ristretto degli addetti ai lavori, andando magari a intervistare un dirigente della PA non direttamente riconducibile alla “sfera” dell’ICT, è facile rendersi conto di quanto i due mondi siano lontanissimi fra loro.
Quello della “PA senza carta” è davvero l’ultimo dei problemi, dal punto di vista di un generico dirigente o funzionario pubblico. Anzi: molto spesso la carta viene vista come “l’alleato prezioso”, quella “cosa” capace di mantenere inalterato il potere della burocrazia.
Paradossalmente, i non pochi avversari della digitalizzazione si fanno forti della debolezza del “partito digitale” e della cronica mancanza di fondi da destinare a un inevitabile (ed “epocale”) piano straordinario di innovazione tecnologica.
E continuiamo a essere in fondo alla classifica degli IT spender, quando parliamo di pubblica amministrazione. In termini relativi, espressi per numero di abitanti, sprofondiamo giocandocela con Portogallo, Grecia e Romania.
Il rischio è quello di finire nel classico “cul de sac”: i CIO vorrebbero, ma non possono; i burontosauri gongolano; i politici non riescono ad andare al di là del proclama.
Accumuliamo cataste di documenti programmatici, tentando di convincerci che questa sarà finalmente la volta buona.
Anche se prima o poi dovremo porcela, questa domanda: come mai i Paesi rispetto ai quali pretendiamo di confrontarci spendono in IT per la PA almeno quattro volte tanto quello che spendiamo noi?