La rete non è neutrale tanto meno i dati lo sono, le modalità con cui i dati sono raccolti, filtrati e il fine per cui sono analizzati possono dare luogo a letture completamente diverse della realtà. Tra le tante possibili letture quella di genere dovrebbe essere una di quelle dimensioni di analisi da usare in maniera strutturale, per far emergere disuguaglianze che si nascondo in profondità.
Anche di questo si è discusso in occasione dell’Open Data Day 2018 organizzato da Bologna Educazione Aperta Italia e l’Associazione Orlando in collaborazione con il Comune di Bologna: un evento messo in difficoltà da una serie di fattori – dalle avverse condizioni meteo che hanno fatto temere per l’arrivo dei numerosi ospiti provenienti da fuori città, al calo di attenzione generalizzato sul tema, fino all’imminenza della giornata elettorale – ma che alla fine si è svolto e ha riservato non molte soddisfazioni.
Dalla giornata, che si è potuta svolgere grazie anche alla spinta propositiva dell’associazione Orlando, sono scaturiti molti e interessanti spunti di riflessione sul tema inusuale e ambizioso: dati e donne. Lo scopo dell’evento era infatti quello di comprendere da vicino cosa ci raccontano i dati rilasciati in formato aperto sulla struttura dei percorsi di accesso alle opportunità educative, culturali e professionali per le donne.
Dagli open data al “data as a service”
Il Comune di Bologna, nell’ambito delle iniziative legate all’Agenda digitale – seppur a diversi anni di distanza dalla nascita del portale open data – ha attivato un percorso per passare dagli open data ad una strategia completa di governo dei dati. L’obiettivo e i progetti in campo mirano, infatti, a costruire una visione comune e un’infrastruttura di valorizzazione del dato basato sull’idea del “data as a service”. Dati visti come un’infrastruttura urbana, immateriale e condivisa al servizio dello sviluppo delle politiche e del miglioramento dei servizi al cittadino. Un layer su cui innestare nuovi punti di vista, per cui ben venga la prospettiva di genere. Inoltre l’agenda digitale locale vede i dati come materia prima, con cui creare percorsi di sviluppo nuove competenze digitali, nel contesto di laboratori indirizzati a cittadini e cittadine. Qui un primo esempio di attivazione di comunità sui dati, con focus sulla mappatura delle rastrelliere.
Open data e disuguaglianza di genere
Altri significativi spunti di riflessione sono arrivati nel corso della giornata, in particolare in merito ai lavori di data mining volti ad indagare la disuguaglianza di genere nei percorsi formativi, professionali e culturali. Dai report presentati è emersa in maniera netta la presenza dei cosiddetti “soffitti di cristallo”, a sfavore delle donne, in particolare nei percorsi di crescita professionale. I casi trattati erano relativi al progetto Plotina Promoting gender balance and inclusion in research, innovation and training (H2020, GA 666008), al report del bilancio di genere dell’Ateneo di Bologna e ad un’indagine condotta a titolo personale da Andrea Zanni di Media Library On Line su una bibliografia campione, circa la presenza di autrici donne e il loro ruolo professionale nelle case editrici. L’analisi, anche se riferita ad una bibliografia limitata – per cui non uno studio rappresentativo di un fenomeno nella sua interezza – ha evidenziato che la presenza delle donne nelle case editrici diminuisce con l’aumentare del prestigio del ruolo editoriale. Per il progetto Plotina, invece, tra i tanti insight del report mi piace segnalare il dato secondo cui bassa la presenza delle donne nelle discipline STEM, il divario già presente tra gli iscritti ai corsi di laurea in materie tecniche, cresce con il progredire della carriera universitaria.
E ancora, al centro del dibattito, il possibile utilizzo dei dati della community e degli opendata per lo sviluppo di servizi digitali in grado di garantire il diritto alla sicurezza delle donne nelle città a qualsiasi ora del giorno o della notte.
Nel laboratorio del pomeriggio si sono esplorati vari dataset in ottica di genere, tra cui quello della partecipazione al voto del bilancio partecipativo del Comune di Bologna, per valutare la propensione di genere nelle iniziative di attivazione civica.
Bilancio partecipativo, open data e parità di genere
Il bilancio partecipativo infatti è uno strumento di democrazia diretta messo in campo dal Comune di Bologna per coinvolgere i cittadini nei processi decisionali inerenti i beni pubblici. I dati rilasciati in formato aperto hanno messo in evidenza una buona parità di genere nella partecipazione al voto, con una leggera maggioranza di donne, sia a livello dell’intero comune che dei singoli quartieri. La percentuale di votanti donne a livello comunale è stata del 58,2% fino ad un massimo del 61% nel quartiere Santo Stefano. Questo dato di partecipazione è da mettere in relazione con la natura dei progetti ammessi al voto che avevano quasi tutti al centro la cura e la rigenerazione degli spazi di comunità e il miglioramento dei rapporti tra le persone.
Durante il laboratorio si è registrato una forte spinta positiva da parte dei partecipanti nel mettersi alla prova, per passare da fruitori passivi a soggetti attivi in grado di analizzare i dati, avanzando l’istanza di essere più formati e informati sugli open data. Questo lascia ben sperare per i laboratori digitali di sviluppo di nuove competenze che stiamo progettando come Comune.
In conclusione di una giornata ricca, come ogni volta che si parla dati, ho portato a casa questa riflessione: per progredire nella strada della valorizzazione del patrimonio informativo della città a favore della città è determinante lavorare per stimolare una domanda qualificata di dati e la nascita di nuovi punti di vista di lettura dei dati, al fine di rendere utile e sensato lo sforzo di costruzione di nuovi e sempre più evoluti data framework.