banda ultra larga mobile

Contro il digital divide 5G, una strategia di finanziamenti pubblici

Bisogna guardare a infrastrutture mobili comuni, a partecipazione pubblico/privata nella logica del project financing, da rendere disponibili agli operatori in modalità wholesale o revenue sharing per un vantaggio diffuso di tutti gli attori. Così potremo diffondere le smart city a livello locale

Pubblicato il 11 Apr 2018

Francesco Pirro

responsabile Area Innovazione della PA AgID

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La complessità dello scenario che si profila con l’introduzione massiva dell’IOT e lo sviluppo delle Smart city impongono cautela circa l’avvio delle procedure di gara 5G sulle quali Agcom ha avviato l’indagine conoscitiva sullo sviluppo dei servizi 5G, proprio per mitigare i rischi di esclusione di altri soggetti pubblici e privati che potrebbero collaborare sinergicamente allo sviluppo della “BUL Wireless”.

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Le misure per supportare tutti i soggetti del 5G

Analizzando tali rapporti e gli interventi effettuati da operatori di mercato risulta evidente, infatti, come sia necessario prevedere anche nuove soluzioni (ad es. white label) in cui si prevedano celle integrate all’interno di infrastrutture civili di varia natura (come stadi, stazioni, fermate di metro) realizzate da soggetti diversi dagli operatori tradizionali che possano poi rivendere il traffico raccolto a questi ultimi, creando nuovi modelli di business (neutral host) e in modo da favorire così l’accessibilità del cittadino con qualunque forma di trasporto esso intenda affacciarsi, secondo necessità ed opportunità. In questo scenario, essendo le frequenze una risorsa limitata, la stessa Comunità Europea prevede che l’uso debba essere il meno esclusivo possibile favorendo scenari di condivisione dello spettro o impiego di bande ad uso collettivo accoppiando quelle licenziate e quelle non licenziate (light licensing, club use, Licensed assisted access, etc). Il framework della gara delle frequenze dovrà prevedere meccanismi di questa natura per venire incontro alle esigenze rappresentate.

Anche se si prevedrà che sulla porzione di banda 3.6-3.8 Ghz ci saranno formule di abilitazione di altri soggetti diversi dall’operatore licenziatario (tipicamente service provider IOT) all’accesso alle frequenze licenziate in modalità di leasing (use it or lease it obligation) e sulla banda 26 Ghz, per la natura della medesima, si opterà per un utilizzo in aree geografiche limitate (hot spot), la necessità di attendere per la copertura 5G il posticipo del rilascio delle frequenze del 700 mHz per il refarm delle medesime sul digitale terrestre verso il 2022 e l’impellente e improcrastinabile diffusione dei servizi IOT e Smart City produrrà sicuramente un Digital Divide Wireless ancora più acceso di quanto non sia oggi tra aree di territorio coperte, altre in attesa di copertura, ove eventualmente prevista, ed altre che non lo saranno mai senza un’eventuale riflessione in merito dello Stato.

L’idea rappresentata nel presente articolo consiste, quindi, nell’agire in maniera sinergica e complementare, cercando di creare infrastrutture mobili comuni, a partecipazione pubblico/privata nella logica del project financing, da rendere disponibili agli operatori in modalità wholesale o revenue sharing per un vantaggio diffuso di tutti gli attori abilitanti il successo quali: Telco, fornitori di servizi digitali, investitori e anche la stessa società civile. Se ieri con il piano BUL bastava cablare i territori con fibra “da rivendere” agli operatori TLC domani, con l’IOT e con la crescita esponenziale dei dispositivi interconnessi (si stimano per il 2020 50 miliardi di oggetti interconnessi che nel 2025 potrebbero essere milioni di miliardi) per gli innumerevoli servizi associati (dalla mobilità all’energia, passando per l’ambiente, la sicurezza, il turismo, etc) sarà necessario dotare il territorio, oltre che delle sole reti mobili di accesso, anche di vere e proprie piattaforme cloud mobile first con vari strati  applicativi aperte all’uso ed all’accesso di tutti con evidenti e diffuse  economie di scala. Se si giudicava drammaticamente dannoso il digital divide fisso, con la pervasività dell’IOT nei diversi settori della vita sociale, il digital divide mobile sarà una maledizione per la popolazione di quelle zone del territorio italiano che ne saranno afflitte.

I vantaggi economici del 5G

Peraltro il 5G potrebbe portare benefici economici di significativa portata anche nelle realtà comunali di più piccola entità. Da recenti studi europei di settore si rileva, infatti, che l’utilizzo del 5G e dell’IOT porterà benefici economici in tutte le filiere collegate, con potenzialità in termini di risultati che traguarderanno i limiti di oltre 2 milioni di nuovi posti lavori e oltre 100 miliardi di euro di fatturato nei vari settori dell’IOT: dall’automotive alle smart city, passando per il sanitario e per l’ambiente.

Ho sentito dire spesso nelle riunioni con gli organismi competenti per la gestione dei fondi di finanziamento europeo: “le reti wireless non possono essere oggetto di questo tipo di finanziamenti”, io non credo affatto sia così.

Quali finanziamenti per le smart city 5G

I finanziamenti del Fondo europeo di cui sopra non vengono esclusi a priori per l’utilizzo di soluzioni mobile e/o wireless, ma i vincoli circa le varie caratteristiche che ne circoscrivono il perimetro quali: la topografia, la densità di popolazione/utente, ecc. potrebbero lasciar intendere, in un’interpretazione miope e restrittiva che anche le reti mobili di generazione successiva all’esistente potrebbero non essere sufficienti per fornire banda larga ad alta velocità. Ciò poiché il mezzo wireless è “condiviso” (la velocità per utente dipende dal numero di utenti connessi nell’area coperta) ed è intrinsecamente soggetto a condizioni ambientali fluttuanti, per tale motivo le reti di comunicazione mobile non si qualificano a priori come NGN.

Qualcosa in Europa in questo senso si sta muovendo e l’iniziativa www.wifi4eu.eu/#/home testimonia un cambio di sensibilità in questa direzione. Il Fondo europeo sopracitato in ogni caso, però, potrebbe supportare l’implementazione di determinate soluzioni wireless in aree scarsamente servite, quando la rete mobile è l’offerta migliore.

In altre aree, in particolare nelle aree urbane, è necessario poi verificare se esista effettivamente un fallimento di mercato e se i benefici aggiuntivi derivanti dall’installazione di una rete di nuova generazione non comporteranno probabilmente il “cambio di passo” che giustificherebbe ampiamente l’utilizzo di fondi pubblici. Di contro poi il progetto delle Smart City può superare in ogni caso queste riserve non essendo più, in questo contesto, l’infrastruttura “classica” di base oggetto del finanziamento, quanto piuttosto lo sviluppo e la diversificazione di piattaforme di supporto alla disponibilità e fruibilità di servizi digitali per il cittadino, intesi come sottoinsiemi di un sistema complesso ad alta variabilità e dinamicità su tre macro variabili: l’ambiente, l’economia e la socialità e dove le interazioni tra le diverse filiere delle macro-variabili costituiscono il sistema nervoso della smart city, senza il quale rimarrebbero isole non comunicanti, non consentendo lo sviluppo delle smart city stesse.

Definendo come variabili di base, ovvero i capisaldi caratterizzanti il sistema urbano, l’Ambiente, l’Economia e la Socialità (relazioni sociali) è possibile comprendere, infatti, come un intervento su uno qualsiasi dei sottosistemi inseriti in figura (in realtà anch’essi sistemi ancora scomponibili) impatta in ingresso su diversi o molti altri sottosistemi, introducendo degli effetti positivi o negativi, per cui il propagarsi di un’azione amministrativa su uno specifico sottosistema può influenzare gli altri sottosistemi, con la conseguenza che questa azione potrebbe risultare rafforzata o viceversa indebolita ed estinguersi in breve tempo con risultati finali difficilmente quantificabili in termini di beneficio globale per la città. In ogni caso, però, senza il sistema nervoso che li collega, ogni sottoinsieme non comunica con gli altri con danni certi per il sistema complessivo.

L’estensione delle funzionalità dei vari sottosistemi, supportato dalla smartness del sistema nervoso del 5G (anche grazie alla sua caratteristica di slicing e quindi di partizionamento per sottosistemi creando una sorta di corrispondenza biunivoca tra sottoinsiemi e sottoreti relative analogamente a quello che accade con le VPN MPLS),

può poi consentire la piena interoperabilità tra diversi sottosistemi appartenenti anche a diverse Smart City, amplificando opportunità e benefici di più ampio raggio, in scenari cooperativi tutti da scoprire e inventare.

In questo scenario delle smart city dove il sistema nervoso di copertura del 5G anche a livello locale costituisce elemento fondante per il funzionamento corretto della città intelligente, oltre agli operatori licenziatari, anche altri soggetti pubblici (Regioni, città metropolitane, comuni) e privati (energy provider, vendor di tecnologia ICT, fondi di investimento, etc.) potrebbero essere interessati ad investire sulla componente infrastrutturale mobile sollecitata e favorita da un eventuale Piano BUL Mobile. Questi potrebbero fornire a livello locale, mediante appositi consorzi, agli stessi operatori di TLC, un insieme di piattaforme volte ad assicurare le condizioni per una più efficace ed efficiente diffusione wireless di servizi IOT.

Nello scenario sopra descritto la razionalizzazione dell’intervento pubblico, anche in termini di potenziale riutilizzo dei fondi residuali del piano BUL, andrebbe quindi indirizzata prevedendo agevolazioni anche nello sviluppo sussidiario di infrastrutture da parte delle amministrazioni locali su cui governare e gestire tecnologie prevalentemente mobili (es.: 5G, LTE Advanced, etc) da rendere disponibili in modalità wholesale ad Operatori anche del solo Mobile (inclusi gli operatori virtuali).

Questo, quindi, andrebbe oltre quello che il piano BUL già prevede, creando nuove opportunità di coinvolgimento di soggetti privati, che in partnership con l’amministrazione locale, favorirebbero il superamento sia del Mobile Digital Divide nelle aree a fallimento di mercato, che dell’eccessiva sovrapposizione di più Telco in aree a forte densità o ad alta complessità.

In questo scenario l’Italia vede già operare soggetti privati con offerta di servizi di co-siting, ossia condivisione di siti, presso le proprie infrastrutture affinché gli operatori vi possano installare i propri apparati di telecomunicazione per la raccolta del traffico mobile. Questi soggetti sono anche in grado di offrire agli operatori soluzioni complete di connettività tramite reti proprie di nodi MPLS, ottenute mediante ponti radio e connessioni private anche con infrastrutture cloud di importanti società multinazionali (es.: Amazon), al fine di offrire servizi avanzati di trasporto dati e hosting, soluzioni integrate di copertura sia in ambito urbano, sia in ambito rurale, Banda Larga Wireless (Reti Wi-Fi, Premium, Roaming, Offload) anche in zone con elevati picchi di traffico tipo stadi e centri commerciali e soluzioni per la gestione di piattaforme abilitanti l’IOT.

Centri servizi Iot/Smart city contro il digital divide

Per esemplificare si ipotizzi la realizzazione, con i meccanismi di cofinanziamento europeo e di project financing da parte dell’amministrazione locale interessata e dei relativi finanziatori, di centri servizi IOT/Smart City specializzati di rete nelle zone a fallimento di mercato, che non solo abilitino il territorio in questione ad ottenere copertura 5G e a rivenderla agli operatori licenziatari in modalità wholesale, territori che probabilmente non avrebbero mai avuto altrimenti tale copertura, ma che forniscano anche mediante meccanismi tipo quelli di “publish e subscribe”, il push e il pull di informazioni/dati/servizi utili ai soggetti che vi transitano per ogni tipo di esigenza correlata alla vita della smart city: dai temi emergenziali a quelli sanitari, turistici, di entertainment, etc…

Se tale modello di business risulta già sostenibile per il privato, pensare di abilitare meccanismi di finanziamento sia a livello europeo che di project financing in ambito nazionale per replicare tali realtà, nella logica di partecipazione pubblico/privato, introducendo soggetti in grado di accelerare lo sviluppo della tecnologia 5G e dei servizi associati per la nascita delle smart city nel nostro paese, è più che auspicabile.

Con tali capacità tecniche, un intervento pubblico di finanziamento consentirebbe a nuovi soggetti la possibilità di estendere i loro servizi nei punti geografici critici, che il Piano BUL intende superare, offrendo accesso totale, alla fine della filiera, sia al cittadino che all’imprenditore ancor oggi svantaggiato nell’accesso e nella fruibilità della larga banda mobile nelle zone a fallimento di mercato.

Questo modello di business garantirà alla città/area metropolitana intelligente l’incremento delle proprie revenue, aggiuntive rispetto alla composizione del bilancio attuale, dando alle Amministrazioni pubbliche co-finanziatarie, la possibilità di scegliere tra un introito sicuro derivante dalla vendita secondo il modello wholesale, o scegliere di avere un approccio di tipo revenue sharing rispetto ai soggetti che diventeranno gli utilizzatori dell’infrastruttura che si va a realizzare. Se le principali città/aree metropolitane fossero in grado, attraverso l’utilizzo dei fondi europei di dotarsi di un’infrastruttura “Smart” che sia abilitante anche per questa tecnologia 5G, gli operatori telefonici licenziatari potrebbero diventare i primi naturali utilizzatori della nuova piattaforma, riducendo i propri investimenti, utilizzando la “Smart City” secondo il modello wholesale precedentemente descritto, attraverso un processo che diventa win-win per tutti i soggetti che aderiranno al progetto.

Il modello proposto diffuso su tutto il territorio nazionale dovrebbe essere sostenibile in quanto già funziona per operatori privati, quindi a maggior ragione in un’ottica di partecipazione mista pubblico/privata finalizzata a coprire le zone a fallimento di mercato o di sottodimensionamento da parte degli operatori che per loro natura tendono a limitare i propri investimenti, analogamente a quanto sarebbe accaduto alle aree bianche del piano BUL, che senza l’intervento statale sarebbero rimaste escluse dall’economia digitale. Solo per dare qualche riferimento più concreto, il modello che si vuole attivare è simile a quello operato da Cellnex[1], operatore indipendente di infrastrutture per telecomunicazioni wireless di radiodiffusione in Italia che, assieme ad altri partner commerciali (Galata e TowerCo) che agiscono come soggetti multioperatori e multiservizi, ha realizzato una rete sull’intero territorio italiano, specializzandola in aree non coperte o sottodimensionate in particolari condizioni di picco, con il risultato finale, oltre che di fare business con la rivendita del traffico e di servizi complementari agli operatori licenziatari, di supportare il rapido sviluppo delle reti di nuova generazione.

Sarebbe opportuno avviare, quanto prima, sperimentazioni a livello locale in tal senso, che potrebbero essere utili anche per capire come si debbano orientare fondi europei verso quelle amministrazioni pubbliche locali illuminate che adottino meccanismi di project financing per la realizzazione di infrastrutture abilitanti del 5G in ottica Smart City. Promuovendo, così, logiche di partecipazione pubblico/privato per la realizzazione di piattaforme smart locali da mettere a sistema in una logica complementare e sussidiaria rispetto alla diffusione tradizionale nazionale della copertura 5G da parte degli operatori aggiudicatari della prossima asta delle frequenze.

Il paradigma della soluzione proposta cala nella realtà locale delle zone a fallimento di mercato, i vantaggi derivanti dalla potenziale adozione di meccanismi di rivisitazione dell’architettura di rete della big Internet ben più ambiziosi nella loro collocazione di studio tecnico/accademico, sui quali la comunità scientifica del settore si sta interrogando e che potranno essere oggetto di prossime riflessioni nello sviluppo delle Smart City. L’indirizzamento della Rete non più sui classici meccanismi oggi utilizzati, ma sulla gestione delle informazioni disaccoppiando l’informazione dall’Host primario che la possiede. L’architettura gerarchica di Internet era nata per condividere poche informazioni a tutti, oggi è il contrario dobbiamo cercare di filtrarle perché ne abbiamo troppe e dobbiamo cercare di ottenere solo quelle che ci occorrono in quel momento, in quella zona e per le cose che stiamo facendo. L’information centric network slicing si orienta in tal senso. Il meccanismo architetturale del modello strategico del Piano triennale ha qualcosa in comune con l’architettura rappresentata nella slide sottostante. Sicuramente, in entrambe coesiste una piattaforma per la pubblicazione di API accedibili da APP che possono essere realizzate dal mercato sulla base dei dati e delle API messe a disposizione su queste piattaforme. Troviamo una suddivisione in layer molto simile, la parte delle infrastrutture materiali e quella delle infrastrutture/piattaforme immateriali condivise, rappresentano diversi spunti sui quali riflettere, nei prossimi mesi.

Il Governo inglese sta trasformando in realtà operative quello che è rappresentato nella slide sopra riportata. Attraverso parte dei finanziamenti previsti nel “National Productivity Investment Fund “di 31 miliardi di sterline sta attuando e sperimentando nell’ambito del programma nazionale “5G Testbed and Trials” il progetto “Urban connected communities” per lo sviluppo delle Smart City e dei servizi IOT associabili, mediante la diffusione della rete 5G. Per i cittadini inglesi si sta prospettando un futuro di interconnessione globale che prevedrà attraverso la loro partecipazione attiva alla governance delle Smart City, la fruizione di nuovi servizi di e-Health, gestione remota del traffico mediante sistemi semaforici intelligenti per le connected cars, sistemi avanzati per il turismo basati su realtà aumentata, rigenerazione ambientale e riqualificazione di quartieri e luoghi di interesse storico. Il futuro per loro è adesso.

Noi ancora non disponiamo di queste risorse, anche se, come detto sopra, dovremmo spingere in Europa affinché parte di questi Fondi siano destinati anche allo sviluppo delle Smart City e dei servizi IOT associati, mediante la diffusione capillare della rete 5G, attraverso nuovi modelli di business partecipativi delle realtà locali finalizzati a stimolare l’avvio di un sistema basato su un concetto di economia circolare per la crescita del Paese. In ogni caso abbiamo di fronte una grande occasione con la prossima gara del 5G, non siamo molto lontani da un futuro completamente interconnesso dove, come dicevo all’inizio dell’articolo, la banda larga diventerà una variabile di persona e non di luogo e IOT, Smart City e 5G sicuramente possono rappresentare il contesto per cercare di far convivere in armonia questo cambio di paradigma a cui saremo sottoposti. IOT, Smart city e 5G vogliono dire che siamo sull’orlo di un cambiamento epocale e oggi come Paese della Comunità Europea dal fanalino di coda dove ci troviamo, siamo nelle condizioni, con un po’ di coraggio da parte del Governo, di provare ad effettuare quel salto quantico che ci porterebbe in un solo balzo, se non al primo posto dell’Indice DESI, almeno a metà classifica. Chi vivrà vedrà…

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