Nell’area dell’innovazione e del digitale siamo alla vigilia di alcuni passaggi importanti: finisce il mandato del Direttore Generale dell’AgID, sta per scadere il periodo commissariale di Diego Piacentini e, soprattutto, siamo nel bel mezzo di un’imponente transizione politica relativa alla formazione del nuovo Governo. È il momento giusto, quindi, per rimettere in discussione e cercare di migliorare la governance dell’Agenda Digitale italiana.
Il punto di partenza per ogni valutazione è dato dagli indicatori che consentono un confronto oggettivo con gli altri Paesi. Su questo fronte il 2017 non ha registrato miglioramenti significativi che facciano pensare a inversioni di tendenza rispetto alla posizione da fanalino di coda che l’Italia registra da diversi anni sui temi dell’occupazione, dell’innovazione e della trasformazione digitale. Lo confermano sia le fonti ufficiali (basti pensare al DESI) che le analisi dettagliate (si consideri a questo proposito l’ultimo report dell’Osservatorio Agenda Digitale).
Gli ultimi due anni sono stati caratterizzati da alcuni piani nazionali strategici di ampio respiro: il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD), il Piano per la Banda Ultra-Larga (BUL), il Piano Triennale per l’Informatica nella PA, il Piano Industria Impresa 4.0. Tanti piani che non hanno al momento prodotto i risultati attesi a causa non tanto (o non solo) di notevoli ritardi nella loro attuazione quanto dell’essere stati definiti “a compartimenti stagni”, senza una visione di insieme unificante. È sufficiente pensare al coordinamento temporale tra il piano BUL e il PNSD, che fa sì che una delle precondizioni essenziali per il PNSD (la disponibilità di banda adeguata) non solo sia assente in diverse aree d’Italia, ma è probabile sia colmata solo nel 2020 (almeno secondo le previsioni di Infratel).
Se ognuno dei tanti piani che sono stati redatti ha il grande pregio di definire modelli di intervento chiari, utili anche per gli investimenti degli attori privati, si lascia sempre scoperto il coordinamento complessivo e non si investe come si dovrebbe nello sviluppo di elementi trasversali e abilitanti come una reale politica per la ricerca e l’innovazione, un diverso e più agile approccio al procurement pubblico e lo sviluppo di competenze (soprattutto quelle digitali).
Mancanza di coordinamento, assenza di alcuni progetti strategici, poca sinergia negli investimenti: ce n’è quanto basta per pensare che abbiamo ancora qualche problema di governance. Di più: l’unica possibilità per uscire da una situazione che può diventare di stagnazione è quella di non operare “a silos” ma porsi il tema della correlazione permanente tra le varie iniziative di innovazione e digitalizzazione.
Architettura della governance del digitale
Quando parliamo di governance ci riferiamo soprattutto alla necessità di coniugare alcuni principi, tra cui:
l’accountability, nel senso della possibilità di assegnare responsabilità definite e chiare, in modo tale anche da poter associare obiettivi misurabili e quindi poter valutare l’efficacia dell’operato e favorire l’efficienza nell’azione;
il bilanciamento necessario tra livello centrale e territoriale: a livello centrale dovrebbero essere poste in essere tutte le condizioni per una efficace azione di sussidiarietà operativa nei confronti delle realtà territoriali, senza pretendere di poter supportare centralmente tutte le amministrazioni (questa è la logica che ha ispirato, ad esempio, il recente accordo tra AgID e Regioni);
la promozione di un modello di sviluppo che si ispiri ai criteri di sostenibilità e “apertura” (nell’ampiezza di questa accezione: sui processi, sui dati, sulle applicazioni).
Questo si può tradurre:
nell’identificazione di grandi “progetti Paese”, strategici e trasversali, dei quali assegnare la responsabilità a un Ministro e rispetto ai quali declinare e inquadrare provvedimenti e normative ai diversi livelli di governo (e quindi valorizzando le interazioni tra i diversi settori);
nella definizione chiara di organismi e strutture rispetto ai classici livelli di governo (indirizzo e coordinamento strategico, coordinamento operativo, attuazione).
Un esempio di “progetto Paese” strategico che dovrebbe essere definito è senz’altro quello per lo sviluppo della cultura digitale, che vede tra gli obiettivi di misurazione quelli del livello di competenze digitali nella popolazione (ma anche nella PA e nelle imprese private), le percentuali di popolazione che utilizzano Internet, il commercio elettronico, i servizi di eGovernment, ma anche il livello di cultura digitale nelle scuole. Un progetto che dovrebbe avere un Ministro (ad esempio il MIUR) come attore capofila, con la partecipazione di altri Ministeri e altri enti e strutture. Un Progetto che permetta di delineare il percorso e il disegno strategico entro cui si inquadrano le progettualità di tutti gli attori coinvolti anche e soprattutto a livello territoriale. Un utile riferimento può essere il recente rapporto OCSE, che si sofferma sulla necessità di un coordinamento stabile a livello governativo che non può che basare la propria efficacia di concretizzazione sul riconoscimento di una responsabilità nazionale.
Dal punto di vista “strutturale”, invece, il quadro complessivo dovrebbe prevedere la chiara definizione dei tre livelli di “governo” citati sopra. Nel seguito forniamo alcuni suggerimenti per ognuno di essi.
Primo livello: indirizzo e coordinamento strategico
Questo livello potrebbe essere caratterizzato da un owner dei processi strategici per l’innovazione digitale italiana e due “tavoli” di coordinamento – uno istituzionale e uno multi-stakeholder – per fare da “cerniera” tra il livello di coordinamento strategico e i successivi.
La trasversalità del tema richiede un owner che sia sufficientemente autorevole. La scelta migliore ci sembra quella di un vicepresidente del Consiglio (o, in assenza, di un sottosegretario della Presidenza), così da consentire un’azione di coordinamento anche con ministeri storicamente “forti” come MISE e MIUR. Tale owner dovrebbe ovviamente avere un dipartimento ad hoc, in grado di tradurre gli indirizzi in politiche e a cui l’AgID farebbe riferimento nelle attività di coordinamento operativo.
Come supporto stabile a tale figura servirebbero due tavoli di coordinamento:
uno istituzionale, con ministri e rappresentanti delle Regioni e degli Enti Locali, per evitare uno scollamento con il territorio; nel recente passato abbiamo assistito ad alcuni esempi di buone definizioni di questo genere che tuttavia non sono riusciti a incidere significativamente in fase implementativa;
uno permanente e multi-stakeholder (una sorta di “consulta permanente per l’innovazione”, che aveva fatto capolino timidamente anche in una delle versioni del CAD), in grado di portare a livello strategico i contributi della società civile, del mondo delle imprese, che coinvolga pertanto tutti gli esponenti del sistema dell’innovazione digitale nella progettazione strategica delle politiche e nella condivisione delle iniziative, anche con una declinazione per temi e per singoli territori.
Secondo livello: coordinamento operativo, monitoraggio e controllo
Questo livello è necessario per:
raccordare o, in alcuni casi, anche delineare i piani attuativi nazionali e territoriali (come è stato fatto per il Piano Triennale per l’informatica nella PA);
valutare gli scostamenti rispetto agli obiettivi dell’Agenda Digitale nazionale (ancora in cerca di una forma coerente);
regolamentare, definire standard, linee guida e metodologie, controllarne l’applicazione e proporre regole e progetti al livello di indirizzo.
Questi ruoli secondo noi dovrebbero essere giocati dall’Agenzia per l’Italia Digitale, la quale potrebbe includere nel suo operato anche organismi tecnici di coordinamento su alcuni progetti chiave. Un soggetto che ha in carico le attività di regolamentazione, per la definizione (e il controllo di applicazione, con possibilità di sanzionare le amministrazioni inadempienti) di standard, linee guida, metodologie, oltre che per la proposta di regole e progetti al livello di indirizzo.
Anche in questo caso è essenziale trovare meccanismi di confronto e condivisione con i territori ed altri attori istituzionali chiave, in un luogo permanente di coordinamento. Particolarmente importante è, per esempio, allinearsi adeguatamente sull’impiego dei fondi comunitari (POR e PON) disponibili per l’attuazione dell’Agenda Digitale. L’AgID e l’Agenzia per la Coesione Territoriale dovrebbero collaborare maggiormente tra di loro e con Regioni e Città metropolitane per garantire di usare al meglio le risorse messe a nostra disposizione dall’Unione Europea per la trasformazione digitale della nostra PA.
Terzo livello: realizzazione dell’Agenda Digitale
Il livello realizzativo è oggi quello più critico e disomogeneo, anche per il necessario bilanciamento tra centralismo e decentramento dell’attuazione e nel difficilissimo equilibrio da mantenere tra le esigenze della PA e quelle delle aziende private.
Con l’istituzione dei soggetti aggregatori e la realizzazione delle piattaforme abilitanti (SPID, ANPR, PagoPA, ecc.) certamente delle semplificazioni saranno possibili. Tuttavia, tutte queste iniziative saranno efficaci solo se ogni attore avrà la capacità di rivedere il proprio modo di operare secondo logiche che premino la qualità progettuale e la risoluzione di problemi concreti.
In questo quadro sono da sciogliere rapidamente e definitivamente due nodi:
l’identificazione del soggetto aggregatore a livello metropolitano (oggi ambiguamente associato alle Città Metropolitane senza una definizione di ruolo chiara per i capoluoghi di città metropolitane), definendo a monte le responsabilità di ciascuno, ed evitando di rimanere impantanati nelle paludi di una riforma istituzionale incompleta;
la connotazione chiara delle due anime di AgID, una legata alla regolamentazione e una al supporto, al coordinamento dell’attuazione e alla realizzazione delle piattaforme abilitanti (oggi condivisa con il Team Digitale), in modo da prevedere due strutture correlate ma con competenze, dimensioni e modalità di intervento del tutto diverse.
Rimangono tuttavia aperti alcuni temi come quello del ruolo delle società ICT pubbliche in-house. Un anno fa abbiamo proposto un “modello a rete”, con la trasformazione delle in-house IT in agenzie regionali o inter-regionali in modo da renderle chiaramente “braccio operativo” di AgID sul territorio a supporto delle amministrazioni, mettendo a fattor comune le esperienze e le energie delle realtà regionali e comunali, con un obiettivo anche di supporto allo sviluppo di ecosistemi di innovazione territoriali. Questo ci sembra l’approccio più efficace per accompagnare le amministrazioni in una trasformazione digitale che sia strettamente funzionale allo sviluppo del Paese. Molti passi sono ancora da fare in questa direzione.
Auspici per una governance del digitale in Italia
Nonostante i significativi progressi di questi ultimi anni, l’Italia continua a non porre al centro della sua iniziativa politica lo sfruttamento delle opportunità offerte dal digitale. Il depauperarsi delle possibilità di lavoro qualificate, le carenze generalizzate sul ciclo complessivo di creazione della conoscenza attestate da Istat, sono alcune delle evidenze che testimoniano di un Paese che non riesce a intraprendere il cambiamento necessario, e che rischia il declino e il logoramento.
Lo scatto di reni indispensabile passa dall’investire su cambiamento culturale e infrastrutture digitali, dal rendere prioritari questi temi nell’azione politica, prima di tutto nazionale, e da un disegno più organico della governance complessiva. Auspichiamo che il Governo che si insedierà metta questi temi al centro dell’agenda politica della prossima legislatura.
Nel frattempo l’Osservatorio Agenda Digitale cercherà di focalizzare meglio il problema e produrre raccomandazioni di maggior dettaglio in un workshop schedulato per il 3 maggio. A valle del workshop sarà prodotto un memo con le principali riflessioni fatte che verrà condiviso con gli esponenti del governo e delle altre parti politiche.