giustizia digitale

Processo penale telematico: come rendere più efficiente il sistema

Uno sguardo sul futuro possibile per capire come potrebbe cambiare, in meglio, il lavoro dell’avvocato penalista se solo le tecnologie esistenti, senza troppi sconvolgimenti operativi, fossero impiegate per migliorare l’efficienza del sistema: un notevole risparmio di costi e tempo, ma non solo

Pubblicato il 09 Mag 2018

Paolo Grillo

avvocato penalista, dottore di ricerca presso Università degli Studi di Palermo

Giustizia digitale

Negli anni ’80 del secolo scorso impazzava un cult movie, poi divenuto trilogia, dal titolo molto suggestivo: “Ritorno al futuro”. Il capolavoro firmato Robert Zemeckis ci ha consentito di immaginare il viaggio nel tempo, sia a ritroso, sia nel futuro. Tutti noi, almeno per una volta nella vita, abbiamo certamente provato ad immaginare come si svolgeranno le attività quotidiane nel prossimo futuro. Chi, come chi scrive, è nato alla fine degli anni ’70 non avrebbe saputo immaginare che sarebbero stati inventati, ad esempio, strumenti – ormai di uso comune – come gli smartphones: gestire documenti, inviare messaggi, consultare una banca dati informatica sono tutte operazioni che, fino a trent’anni fa, appartenevano soltanto al mondo della fantascienza. Oggi, invece, sono realtà alla portata di chiunque. E allora proviamo a immaginare, concentrandoci sul mondo della professione legale, e in particolare sul microcosmo del penalista, quali potrebbero essere le auspicabili evoluzioni in un futuro che, ci piace pensare, potrà essere non troppo lontano.

Penalista telematico, il passato e le evoluzioni auspicabili

Per farlo, dobbiamo per un momento mettere indietro la nostra ideale macchina del tempo, fermandola a cinquanta anni fa. Bene. Siamo a fine anni ’60: un cliente bussa alla porta di uno studio legale specializzato in diritto penale. Il professionista lo riceve e, vinto l’iniziale imbarazzo, il futuro cliente gli rappresenta di essere rimasto coinvolto in una vicenda giudiziaria pendente presso una sede giudiziaria diversa da quella presso la quale l’avvocato abitualmente opera. Si deve redigere un mandato difensivo, che occorrerà depositare presso l’autorità giudiziaria competente.

Cosa fa, a questo punto, il professionista? Chiama la dattilografa – specie umana ormai estinta – e detta il testo del mandato difensivo: “Il sottoscritto eccetera eccetera dichiara di nominare, come in effetti nomina (la ridondanza aulica era propria di quei tempi…), quale suo patrono e difensore…”. Dalla macchina da scrivere ticchettante vien fuori il foglio di carta velina in triplice copia, rigorosamente ottenuta con la carta carbone: l’abile dattilografa non ha commesso nemmeno un errore e il testo, in inchiostro violetto, sarà poi sottoscritto con una bella stilografica dal pennino d’oro. Che farà, successivamente, l’avvocato? Si recherà presso l’autorità competente – che immaginiamo per il nostro esempio sia collocata a duecento chilometri di distanza – e andrà a depositare la nomina difensiva. Oppure, alzata la cornetta del telefono – quello in bachelite nera col disco, s’intende – comporrà il numero di un collega del luogo, al quale spedirà la nomina affinchè gli si faccia la cortesia professionale di depositarla. Terminata l’istruttoria – a quei tempi il codice di rito era chiaramente diverso da quello attualmente in vigore – si otterranno le copie degli atti con lo stesso sistema, e cioè recandosi personalmente in loco, ovvero avvalendosi sempre del caro collega-corrispondente.

Penalista telematico, a oggi il progresso è solo degli strumenti

Spostiamo adesso la macchina del tempo e fermiamola ad oggi per osservare come si svolgerebbe la scena che abbiamo provato a rappresentarvi: il cliente bussa, viene accolto dalla segretaria – che è la nipote della dattilografa ormai in pensione da decenni – la quale lo introduce al cospetto dell’avvocato.

I tempi sono cambiati, è tutto più informale “Avvocà…ho un problemino con la legge…mi è arrivato un avviso di conclusione delle indagini”. Il difensore si mette al computer, apre un file con un modello di nomina difensiva, lo completa con le generalità del cliente, lo stampa in un secondo e glielo fa firmare con una penna a sfera, quindi lo infila nel carrello di una “multifunzione” laser e ne trae una fotocopia.

E poi, dato che l’indagine ormai conclusa è stata trattata da una Procura “fuori sede” – a questo punto, però, tutto il seguito ci sembrerà un deja vu il legale dovrà recarsi a duecento chilometri di distanza, ovvero dovrà chiedere l’aiuto di un collega appartenente ad un altro Foro, spedendogli per raccomandata la nomina in originale affinché la depositi in segreteria.

È mai possibile che, con tutti i progressi compiuti dalla tecnologia digitale, l’unica modifica del modo di operare del professionista sia consistita soltanto nell’evoluzione degli strumenti adoperati per redigere un testo e stamparlo su carta? In effetti, strano a dirsi, ma è proprio così.

Uno sguardo sul futuro possibile

A questo punto, spostiamo idealmente la nostra macchina del tempo, portandola avanti – per non essere troppo pessimisti – di una decina d’anni: in che modo possiamo immaginare che si possa modernizzare il lavoro dell’avvocato penalista di fronte ad un caso concreto, per nulla infrequente, come quello che abbiamo assunto come esempio?

Potremmo pensare ad una rete telematica che allacci tutte le Procure della Repubblica esistenti sul territorio nazionale, interfacciata con un’altra rete telematica alla quale ogni professionista legale debba obbligatoriamente essere iscritto, entrambe dotate di sistemi di accesso riservato e protetto (sul fronte sicurezza informatica, siamo certi che nel giro di pochi anni raggiungeremo livelli mai immaginati prima).

Immaginiamo poi che il fascicolo delle indagini preliminari, oltre che “in cartaceo”, esista anche in versione digitale e che con le consuete tecnologie di scansione e salvataggio sia memorizzato su un portale come quello appena descritto: il magistrato del Pubblico Ministero, il personale che lo assiste, la Polizia Giudiziaria e, infine – maturati i tempi processuali dell’ostensibilità – anche il difensore potrebbero accedere alla rete anche “da remoto”, ossia senza spostarsi fisicamente dal luogo in cui si trovano. Proviamo per un momento ad immaginare il risparmio, in termini di costi e di tempo, che ognuno degli operatori del “servizio giustizia” accumulerebbe nello svolgimento delle proprie incombenze: un P.M. avrebbe la possibilità, mentre sta lavorando ad un’indagine, di consultare gli atti di un altro fascicolo con un semplice “click”; un funzionario di polizia giudiziaria, al quale sia stata devoluta una delega d’indagini, potrebbe “caricarne” gli esiti sul fascicolo elettronico in tempo reale, a tutto vantaggio anche dell’efficienza investigativa. Un penalista, avuto tra le mani un avviso di conclusione delle indagini preliminari potrebbe risparmiare giorni preziosi per approntare la strategia difensiva, consultando il fascicolo dal proprio studio professionale, senza dover attendere la classica mattina “senza udienze” per recarsi a chilometri di distanza e prendere visione dell’incartamento (o del fascicolo informatico sui terminali TIAP, in funzione presso alcune Procure).

Un sistema del genere – che immaginiamo non debba essere particolarmente complesso da allestire, viste le moderne tecnologie in uso, ad esempio, alle Forze dell’Ordine – dovrebbe necessariamente essere completato con un’applicazione che consenta a chi ne abbia legittimazione di chiedere ed ottenere copie digitali dei documenti d’indagine, corrispondendo i diritti di cancelleria per mezzo di un sistema di “credito prepagato”, ovvero mediante un bonifico bancario su un conto “dedicato”, acceso presso ogni sede giudiziaria (fermo restando che anche la procedura di ammissione al patrocinio a spese dello Stato potrebbe, e dovrebbe, essere completamente informatizzata).

Con lo stesso sistema dovrebbe certamente garantirsi al difensore la possibilità di “caricare” i documenti necessari alla propria attività professionale: dichiarazione di nomina, istanze, richieste, memorie difensive, eccetera.

Proviamo per un momento ad immaginare quanto potrebbe tornare utile un sistema del genere in quelle indagini particolarmente complesse, nelle quali siano state eseguite intercettazioni telefoniche o ambientali: il difensore potrebbe ottenere il download dei files multimediali – dei quali, in ogni caso, ha tutt’oggi diritto ad estrarre copia – senza doversi recare presso gli uffici di Procura per affrontare le inevitabili lungaggini dovute anche alla cronica penuria di strumenti tecnici in sufficiente numero per tutti gli utenti.

Abbiamo fino ad ora concentrato l’attenzione sul fascicolo delle indagini, ma con semplici analoghi accorgimenti si potrebbe garantire l’accesso anche ai fascicoli dibattimentali: ottenere la trascrizione di una fonoregistrazione, consultare un verbale d’udienza, depositare un documento sono tutte operazioni perfettamente eseguibili anche a distanza. Anche il settore delle impugnazioni non dovrebbe sfuggire a questa – crediamo di poter dire naturale – evoluzione tecnologica.

Tirando le somme, e ritornando al “qui ed ora” non ci sembra di avere prospettato chissà quali sconvolgimenti operativi: in fondo è realtà vivente la notifica via PEC, la richiesta di liquidazione dei compensi inserita sul sistema SIAMM, eccetera. L’enorme potenzialità delle tecnologie in atto esistenti non dovrebbe tardare ad essere impiegata per migliorare l’efficienza di un sistema nel quale si marcia a due velocità: ricordiamo che per giurisprudenza costante è tutt’oggi valido l’orientamento interpretativo secondo cui il difensore non può inviare una lista testimoniale con mezzi tecnici diversi dal “fisico” deposito in cancelleria. Non è forse giunta l’ora di cambiare?

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