Processo civile telematico: i prossimi passi dopo la Riforma

E’ stata appena approvata la riforma della Giustizia. Si conferma la volontà di digitalizzare il processo, ma bisogna recuperare una visione d’insieme che ponga nuovi obiettivi. Correggendo le attuali macchinosità. Primo passo: sostituire la Pec con un sistema di repository

Pubblicato il 31 Ago 2015

Valentina Carollo

avvocato e presidente Centro Studi Processo Telematico

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A inizio agosto è stata approvata definitivamente una riforma della Giustizia che impatta anche (e di nuovo) sul processo telematico. E’ la conversione in legge del Decreto Legge n. 83/2015 (Legge n. 132/2015), pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 20/8/2015, che introduce diverse modifiche al Decreto Legge emanato lo scorso giugno di cui si è molto discusso in quest’ultimo periodo.

Semplificando al massimo le fonti normative che oggi regolano e reggono il processo telematico le ritroviamo:

1) Nelle fonti primarie: Codice dell’Amministrazione Digitale, Codice di Procedura Civile, Legge n. 53/1994 e Decreto Legge n. 179/2012 convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 221/2012;

2) Nel Decreto Ministeriale n. 44/2011;

3) Nelle specifiche tecniche del responsabile dei sistemi informativi del Ministero della Giustizia (DGSIA) di cui all’ultimo Provvedimento del 16 aprile 2014.

Ed è proprio sul D.L. n. 179/2012 e sulla L. n. 53/1994 che negli ultimi anni abbiamo riscontrato la maggior parte delle modifiche tra cui quella del DL n. 83/2015 e della relativa legge di conversione.

Dal 2012 si sono susseguiti nelle modifiche delle norme primarie: il D.L. n. 90/2014 convertito, con modificazioni dalla L. n. 114/2014; il D.L. n. 132/2012 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 162/2014 e, infine, il D.L. 83/2015 sopra citato convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132/2015.

Anche il Decreto Ministeriale n. 44/2011 è stato oggetto di modifiche: alla fine del 2012 (D.M. n. 209/2012) e nuovamente nel 2013 (D.M. n. 48/2013).

Da una lettura sistematica delle modifiche normative al processo telematico appare innegabile la volontà del Governo di proseguire nell’informatizzazione della Giustizia, seppur con una legislazione di urgenza volta il più delle volte a porre rimedio a delle problematiche causate dall’approccio tradizionale con cui si affronta l’informatica nel processo.

Ed infatti (e fino ad oggi non si poteva fare altrimenti) si è pensato di realizzare un processo telematico che riproducesse su bit quanto fino a quel momento si era fatto sulla carta, con l’inevitabile conseguenza che ci si ritrovi, in questa fase transitoria, in uno stato di confusione e di provvisorietà. Si assiste, peraltro, ad una diffusa resistenza al cambiamento da parte di più attori coinvolti nel processo d’innovazione, pur nella consapevolezza, da parte dei più, dei vantaggi che i nuovi strumenti sono in grado di offrire. Tra quelli di immediata percezione segnalo:

· L’avvocato, il consulente tecnico, il curatore, l’ausiliario del Giudice, il personale di cui si avvale l’amministrazione per stare in giudizio personalmente, etc., depositano e ricevono sulla loro PEC ogni atto e provvedimento senza muoversi dal proprio ufficio e possono consultare i propri fascicoli on line;

· L’avvocato può notificare la maggior parte degli atti e i provvedimenti a mezzo PEC senza necessità di recarsi dall’Ufficiale Giudiziario;

· L’avvocato può estrarre autonomamente dal fascicolo informatico duplicati e copie informatiche di atti e provvedimenti (al momento quelli che non richiedono l’apposizione della formula esecutiva);

· La parte può consultare il proprio fascicolo processuale on line se dotata di uno strumento di identificazione digitale come, ad esempio, la Carta Nazionale dei Servizi che molte regioni e province hanno già attivato in tal senso;

· L’avvocato e la parte possono pagare le spese di giustizia online con carta di credito (o conto corrette dedicato);

· Il Giudice può redigere un decreto ingiuntivo in pochi minuti, tramite un clic della propria Consolle, ritrovandosi già redatto il decreto medesimo sulla base dei dati che il software reperisce dal ricorso introduttivo depositato dall’avvocato;

· Con gli strumenti concessi dalla propria Consolle il Giudice ottiene numerose facilitazioni in merito alla compilazione di Ordinanze e Sentenze dato che esse sono già fornite di numerosi modelli precompilati che il Giudice può personalizzare e integrare, con un consistente risparmio di tempi;

· Il Giudice ha la possibilità di lavorare al di fuori del proprio ufficio e buona parte del materiale connesso al proprio lavoro è dematerializzato;

· La Consolle del Cancelliere e quella del Giudice effettuano delle verifiche automatiche che portano a segnalare la presenza di errori nei depositi;

· Per il personale di Cancelleria e per il personale amministrativo si riduce progressivamente l’attività di front office, in virtù dalla minor necessità da parte degli avvocati di recarsi fisicamente in Tribunale, a favore di un lavoro in back office maggiormente veicolato e standardizzato dagli strumenti telematici.

Il risparmio stimato, prendendo soltanto in considerazione le comunicazioni da parte degli Uffici Giudiziari negli ultimi 12 mesi (che da cartaceo sono passate alla PEC), è di oltre 48 milioni di euro con una media di 1,3 milioni al mese (dati DGSIA – maggio 2015).

Come in tutti i processi di cambiamento, tuttavia, è, a mio parere, importante porsi degli obiettivi a lungo termine, anche se essi possono sembrare eccessivamente ambiziosi. Qui di seguito sintetizzo alcuni degli obiettivi sui quali riterrei importante indirizzare il percorso di cambiamento.

Nel 2009 il processo civile telematico esce dallo stretto vincolo del Punto di Accesso e separa la fase di consultazione dalla fase di trasmissione, ma quest’ultima oggi avviene a mezzo PEC con i limiti strutturalmente connessi all’uso di questo strumento.

L’utilizzo di una posta elettronica certificata era, ad ogni modo, un passaggio necessario, in quanto la consolidata abitudine di necessitare di un “timbro di depositato” sugli atti e documenti che entrano a far parte del processo e di una “ricevuta di consegna” sulle comunicazioni e notificazioni dovevano essere mantenuti, quanto meno nella prima fase.

Il passaggio successivo non potrà che essere, a mio parere, un sistema di upload e download in una repository che tenga conto delle diverse caratteristiche assegnate non tanto al documento in sé ma all’informazione che quel documento porta con sé, con ogni conseguenza in ordine a gestione e conservazione dell’informazione e della sua indubbia utilità nell’elaborazione.

D’altronde è la necessaria evoluzione della PEC. Oggi un messaggio di posta elettronica certificata si intende consegnato al destinatario quando è messo a disposizione dal proprio gestore di posta elettronica certificata (contestualmente alla ricezione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del mittente) indipendentemente dalla lettura dello stesso. Allora si pensi a quali differenze vi sarebbero rispetto ad un sistema in cui la parte fosse dotata di uno spazio digitale in Cloud dove verrebbero “messe a disposizione” le comunicazioni e le notifiche di cui è destinataria. Nessuna. L’unica differenza è rappresentata dal superamento delle attuali problematiche connesse alla PEC, quali, ad esempio: conservazione; privacy; validità dei pubblici elenchi ai fini delle notificazioni (a volte incompleti: solo il 25% delle P.A. ha comunicato l’indirizzo PEC al registro PP.AA.; a volte inutili: molti indirizzi PEC relativi alle imprese risultano viziati da errori). Si consideri, inoltre, che oggi il medesimo procedimento di “messa a disposizione” viene utilizzato per le comunicazioni di cancelleria contenenti dati sensibili.

Inoltre, oggi molte firme digitali apposte su atti e provvedimenti (nonché la firma sulle stesse ricevute PEC da parte del gestore di posta elettronica certificata) risultano scadute e, senza un corretto processo di conservazione, ciò rischia di avere conseguenze di enorme gravità dal punto di vista dell’integrità ed immodificabilità del documento informatico se non addirittura in riferimento alla sua stessa esistenza (in particolare, ma non solo, in applicazione del Regolamento UE n. 910/2014 – dal 1 luglio 2016 – si veda l’art. 3, n. 35 per il quale documento elettronico è qualsiasi contenuto conservato in forma elettronica).

Primo obiettivo a lungo termine potrebbe, pertanto, essere quello di trasformare le trasmissioni di documenti in trasmissioni di informazioni che rimandino, eventualmente, a documenti sempre reperibili del fascicolo informatico. In tal modo non sarà più necessario notificare, ad esempio, un decreto ingiuntivo con le attuali modalità ma, diversamente, verrà notificata la “notizia” relativa all’emissione di un decreto ingiuntivo con contestuale possibilità di verifica dell’informazione e dell’eventuale documento tramite accesso in uno spazio Cloud che rispetti le normative cogenti in tema di privacy e di conservazione.

Lo stesso procedimento potrà essere esteso anche ad altri soggetti interessati alla verifica dell’”informazione”. Ad esempio, si pensi al conservatore che deve verificare la validità del titolo per la trascrizione (verifica dell’esistenza di un titolo esecutivo e degli importi per cui è stato emesso) oppure all’Ufficio preposto per il pagamento della tassa di registro.

Nel 2014 è stata prevista l’obbligatorietà del deposito telematico per gli atti endoprocessuali e dal 2015 (D.L. n. 83/2015) è stato previsto il deposito facoltativo per tutti gli atti diversi da quelli endoprocessuali.

Resta, tuttavia, un modello che prevede l’utilizzo di strumenti digitali che restano “ancorati” ai canoni tradizionali: la lettura di documenti contenenti un numero spesso molto elevato di informazioni non veicolate.

Un modello di approccio previsto attualmente solo per la fase dell’iscrizione a ruolo di un procedimento che è qui di seguito sintetizzato, potrebbe essere maggiormente impiegato ed esteso anche a tutte le fasi processuali.

L’iscrizione a ruolo di un procedimento, infatti, prevede che l’avvocato compili svariate maschere inserendo dati che andranno a popolare il cosiddetto “DatiAtto.xml” – quali ad es.: nome e dati delle parti, dei difensori, importo della domanda, del contributo unificato, contenuto della domanda, etc. Successivamente il software di Cancelleria genera il fascicolo processuale in automatico, utilizzando le informazioni strutturate contenute nel file “DatiAtto.xml”. L’importanza di tali dati, tuttavia, è marginale: è il documento inviato all’Ufficio Giudiziario (accompagnato dal file “DatiAtto.xml”) ciò che ha la rilevanza assoluta. In caso di discrasie tra quanto si è digitato nel file “DatiAtto.xml” e documento prevale quest’ultimo.

E se invece si sviluppasse questo schema dando maggior peso alle informazioni che l’avvocato inserisce in queste maschere? Con questo processo, che potrà comprensibilmente apparire visionario agli occhi di molti, verrebbe a costituirsi un sistema dove il documento, inteso come oggi lo conosciamo, rappresenterà solamente un elemento di supporto. Non vi sarà più l’esigenza di leggere numerose pagine di un documento in luogo di una “lettura semplificata”. Per meglio comprendere questo aspetto, si pensi alle memorie istruttorie. Se anziché produrre un documento di svariate pagine l’avvocato si avvalesse di machere di dati da compilare suddivise per argomenti, questi “dati”, così strutturati e raccolti, sarebbero messi a disposizione dell’Ufficio Giudiziario che potrà visualizzarli come meglio ritiene, nonché veicolarli e compararli.

Un altro aspetto che interessa molto la figura dell’avvocato è quello della recente introduzione della facoltà loro concessa di attestare come copie conformi gli atti e i provvedimenti presenti nel fascicolo informatico, con le relative responsabilità connesse (il D.L. n. 83/2015 ha equiparato chi effettua queste certificazioni con i Pubblici Ufficiali).

Pur condividendo questa estensione di “poteri”, resta pur sempre la considerazione fatta in precedenza circa il permanere di un approccio in seno al legislatore di voler “digitalizzare” un sistema non digitale, anziché di rivoluzionarlo totalmente.

Il concetto di “copia conforme” è emblematico in tal senso. Mentre in passato rappresentava un importante metodologia di attestazione della conformità di un atto cartaceo rilasciato dal Cancelliere, e disponibile in originale solamente in quel Tribunale che ha rilasciato la copia, che utilità può avere in caso di “copia informatica”?

Si provi allora ad ipotizzare un sistema che consenta di eliminare la notificazione degli atti, così come oggi la conosciamo, in favore della notificazione delle “informazioni” utili a risalire all’originale dell’atto medesimo come sopra esposto.

La conoscibilità del documento, o meglio delle informazioni utili a reperirlo, sarà garantita dalla messa a disposizione dell’informazione con modalità ancora più semplici rispetto all’attuale trasmissione a mezzo PEC di un file sottoscritto digitalmente in formato “.p7m”.

Si potrebbe dunque giungere all’eliminazione delle “copie conformi” che nella realtà informatico-processuale rischiano solamente di creare confusione oltre ad un’inutile duplicazione di documenti originali che potrebbero essere sempre resi disponibili.

E’ stato modificato anche il processo esecutivo, ma ancora nell’ottica di effettuare con l’informatica gli stessi passaggi prima effettuati col “sistema cartaceo”, con evidenti difficoltà di gestione di tutte le varie sfaccettature del processo esecutivo (si pensi, per esempio, al recente problema per il debitore di iscrivere telematicamente a ruolo un’opposizione al pignoramento prima dell’iscrizione a ruolo del procedimento da parte del creditore procedente; problema che è stato risolto dalla legge di conversione del DL 83/2015 che ne ha permesso l’iscrizione a ruolo anche cartacea). Purtroppo è prematuro pensare al futuro in questo settore fino a che non sarà completata (se non addirittura imposta) l’informatizzazione degli UNEP e, anche in alternativa, non saranno dati più poteri all’avvocato per la notifica in proprio anche di quegli atti propri dell’Ufficiale Giudiziario come, ad esempio, i pignoramenti.

Anche qui si presenta la necessità di prevedere che tutti gli atti e i provvedimenti si formino in modalità informatica in modo da consentire la trasformazione dei documenti in “dati” che poi possano essere elaborati e gestiti digitalmente.

Le modifiche del 2014 hanno investito anche il processo penale, seppur con evidenti problemi di gestione dell’informazione e il 2016 sarà l’anno del Processo Amministrativo Telematico. In riferimento a quest’ultima procedura il DL n. 83/2015 propone un cambio di rotta: mentre in precedenza i Processi Civile e Amministrativo Telematico sembravano essere destinati a non incontrarsi mai, con l’art. 20 vengono estesi anche a questo procedimento gli articoli del D.L. n. 179/2012, in quanto compatibili. La medesima estensione è prevista anche per il processo contabile (art. 20-bis).

Qui l’obiettivo a lungo termine del legislatore è chiaro e assolutamente condiviso: impedire che alla specializzazione processuale segua una diversa specializzazione informatica. L’informatica può e deve razionalizzare, semplificare e uniformare i processi, non certamente complicarli.

Queste le considerazioni che porgo come spunto di riflessione sul percorso intrapreso e per volgere lo sguardo al futuro, magari con una visione più azzardata e meno conservatrice.

L’evoluzione tecnologica rappresenta uno strumento che se operatori ed interpreti del settore Giustizia saranno in grado di cogliere per le enormi potenzialità che essa può fornire, piuttosto che per i rischi che, inevitabilmente, porta con sé, potrà condurre l’intero sistema ad un salto di qualità senza precedenti sia in termini di efficacia che di efficienza.

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