Il ruolo degli algoritmi nella società contemporanea, dall’ambito dei Big data a quello della libertà di informazione, sta crescendo esponenzialmente, essendo in costante aumento il numero di connessioni a Internet e quello degli internauti e permettendo le soluzioni tecnologiche un loro sempre maggior utilizzo.
Algoritmi dei motori di ricerca e informazione
L’ultimo Rapporto Censis-Ucsi 2017 sulla comunicazione “I media e il nuovo immaginario collettivo” dà conto di una crescita costante del medium della Rete, che raggiunge oggi una capacità di penetrazione che supera il 75% degli italiani (75,2%). I siti web di informazione (43,4%) e i quotidiani online (25,2%) si rilevano essere uno degli ambiti di rilievo, rispetto all’utenza complessiva dei media.
Anche nell’ambito dell’informazione si conferma il trend già evidenziato dal rapporto dell’anno precedente che rilevava l’imporsi di “una nuova gerarchia delle fonti di informazione”: stante ancora il primato dei telegiornali, si conferma il forte impatto di Facebook e di Google.
Il ruolo dei motori di ricerca nell’ecosistema mediatico
Più di un quinto della popolazione nazionale (21,8%) e un quarto dei giovani (25,7%) utilizza regolarmente i motori di ricerca per informarsi. I motori di ricerca sono la quarta fonte di informazione dopo Telegiornali, Facebook e giornali radio (staccati di 0,6% punti), mentre sono la terza fra i giovani dopo Telegiornali e Facebook.
Il loro ruolo nell’ecosistema mediatico è quindi evidente.
Rebus sic stantibus, non si è assistito tuttavia a una qualificazione dei motori di ricerca come organi di informazione, media companies o editori, ventilandosi una loro neutralità nella diffusione di contenuti.
Sia la direttiva CE/2000/31 e il d. lgs. n. 70/2003 che le più recenti formulazioni del SIC non rilevano il ruolo editoriale dei motori di ricerca, che da essi è invero perseguito attraverso gli algoritmi.
Le diverse variabili dell’indicizzazione dei siti
L’indicizzazione dei siti fondata su algoritmi, che è alla base del funzionamento dei motori di ricerca, si compone di diverse variabili. Queste variabili determinano la posizione e l’ordine grafico che i siti avranno nelle pagine che appariranno all’utente a seguito dell’inserimento di determinate key-words scelte per la query.
Gli algoritmi che generalmente assistono questa selezione di contenuti e la loro indicizzazione possono essere vari, dalle pagine più cliccate fino all’utilizzo di meccanismi di pre-selected personalisation (ossia la selezione delle informazioni in base alle passate ricerche dell’utente) ma anche l’utilizzo di criteri più spiccatamente discrezionali.
Personalizzazione, filter bubbles e page ranking
Per esempio, Google oltre a utilizzare la tecnica della personalizzazione (che è uno dei fattori alla base delle cosiddette filter bubbles) predilige nella composizione del page ranking l’“anzianità” del sito o crea whitelist e blacklist di siti, non indicizzando quelli con una bad reputation o quelli non ritenuti utili. Insomma Google prende decisioni precise come dimostrano le recenti modifiche all’algoritmo tese a diminuire la visibilità di siti di bufale e tesi negazioniste.
Queste scelte “editoriali” non sono avulse da conseguenze sulla realtà: prediligere nel page ranking un sito invece che un altro ha un enorme impatto sulla visibilità dei contenuti ivi riportati.
Come evidenziava in un suo scritto Giovanni Pitruzzella (p. 6), infatti:
“[L]a gran parte degli utenti non va oltre la prima o la seconda pagina dei risultati di ricerca. Secondo uno studio, il 91,5% degli utenti si ferma alla prima pagina, mentre solamente il 4,8% va alla seconda, per arrivare a percentuali bassissime per quanto riguarda coloro che consultano anche le pagine successive”.
L’impatto del page ranking sugli utenti
Questo dato non può lasciare indifferenti poiché impatta su vari aspetti dei comportamenti degli utenti online dal settore e-commerce a quello del diritto all’informazione fino alla comunicazione politica.
È utile, allora, prova a cambiare la prospettiva rispetto a quella del nostro paese, talvolta troppo arroccata su definizioni fossilizzate delle Internet platforms e del loro ruolo nella società e su giudici poco attenti alla natura dei fenomeni della rete Internet.
In tal senso il focus non può che essere sul paese in cui la maggior parte della società proprietarie delle Internet platforms hanno sede e che sperimenta ogni giorno le nuove frontiere della sfida digitale: gli Stati Uniti d’America.
Gli algoritmi come criteri editoriali negli Usa
Gli Stati Uniti hanno intrapreso una via di (non) regolazione, in parte analoga alla legislazione dell’UE e italiana, attraverso il disposto della sezione 230 del Communications Decency Act, tuttavia l’evoluzione del sistema ha portato a un inquadramento giuridico della natura degli algoritmi dei motori di ricerca molto più completo rispetto a quanto avvenuto nel nostro ordinamento.
Negli stati Uniti si è riconosciuta innanzitutto la natura di commercial speech agli algoritmi dei motori di ricerca, per poi passare alla loro qualifica come veri e propri criteri editoriali nel caso Zhang v. Baidu.com Inc.
Il caso riguardava la rimozione di determinati contenuti politici e informazioni anti regime cinese dal motore di ricerca Baidu che venne citato in giudizio per la suddetta rimozione da alcuni attivisti.
Le nuove frontiere della rete
Il substrato culturale statunitense è profondamente diverso da quello europeo: i cosiddetti First Amendment lawyers si sono da sempre concentrati sulle nuove frontiere della rete teorizzando costruzioni concettuali atte a inquadrare i nuovi strumenti della Rete Internet (sugli algoritmi si veda per tutti Eugene Volokh).
Tornando al caso, la Corte del Southern District Of New York tuttavia ebbe modo, rigettando la pretesa attorea, di enunciare che le scelte di Baidu di modulare il proprio algoritmo nella maniera che preferiva “sono in essenza giudizi editoriali circa quali idee politiche promuovere”.
E’ utile, allora, evidenziare come queste parole richiamino al giurista esperto o meno esperto la disciplina italiana sull’indirizzo dei giornali e sul ruolo editoriale che contraddistingue gli agenti nel mercato dell’informazione.
Se è vero che i motori di ricerca non generano né producono direttamente notizie, ma si limitano a collezionarle e fornirle a richiesta di una query, è altrettanto vero che questo ruolo di curatela attraverso gli algoritmi è realmente assimilabile a quello di una scelta editoriale.
Il ruolo informativo dei motori di ricerca
In un ecosistema mediatico sempre più caratterizzato e incentrato sui nuovi mezzi della rete e, anche, sui motori di ricerca, il ruolo informativo che questi assumono non può lasciare indifferenti.
Nella prospettiva del diritto a essere informati tutelato, per costante giurisprudenza, dalla Corte costituzionale, una scelta editoriale come quella dei motori di ricerca (che sia escludere un contenuto politico, favorire le pagine più cliccate o quelle legate alle passate ricerche) non può rimanere non regolamentata.
Il riconoscimento di questo carattere editoriale degli algoritmi dei motori di ricerca, dunque, condurrebbe a una vera e propria rivoluzione copernicana nel nostro ordinamento, completamente antitetica rispetto a quanto avvenuto negli USA.
Se, infatti, negli USA il riconoscimento di questo dato ha condotto alla concessione di spazi di libertà agli attori privati, nel paradigma italiano (ed europeo) questo condurrebbe alla necessità di regolamentarne l’attività editoriale.
Libertà di scelta e trasparenza degli algoritmi
Difatti, la libertà di informazione imporrebbe, come peraltro in parte evidenziato a livello europeo, la trasparenza degli algoritmi dei motori di ricerca.
Nel quadro costituzionale dell’informazione, l’internauta dovrebbe avere diritto a sapere che tipo di criteri editoriali (i.e. algoritmi) gli verranno proposti al momento della query. Dovrebbe avere contezza di starsi sottoponendo a un algoritmo basato sulla personalizzazione che lo porterà quindi ad incontrare medesime fonti di informazione già incontrate (col rischio filter bubbles), o a uno che esclude determinati contenuti politici o partitici che gli restituirà, quindi, un peculiare angolo visuale sulla realtà, o a uno che gli privilegi le pagine più cliccate, che gli somministrerà i siti più mainstream, per fare alcuni esempi.
Nondimeno, così come si sceglie di leggere un quotidiano di centrodestra o centrosinistra così si dovrebbe detenere la possibilità di scegliere e selezionare il motore di ricerca in base all’algoritmo che il suddetto utilizza.
Ovviamente la possibilità permane fintanto che esistano una pluralità di motori di ricerca e di soluzioni differenti e percorribili, ponendosi altrimenti un’incognita di concentrazione che forse andrebbe tenuta presente dall’AgCom.
La trasparenza degli algoritmi e una sua adeguata pubblicità sarebbe solo uno degli oneri e delle responsabilità che un motore di ricerca dovrebbe assumersi, risultando comunque connessi alla libertà di informare un’altra serie di obblighi contenutistici e modali.
L’inquadramento del fenomeno nell’ordinamento italiano
Da questo punto di vista serve rilevare come in seno all’ordinamento italiano non si siano ancora sviluppate considerazioni de jure condendo analoghe sia in materia di regolamentazione sia in materia di inquadramento del fenomeno.
A conoscenza di chi scrive al momento, non vi sono infatti rilevanti sentenze, provvedimenti delle autorità garanti o progetti di legge tesi al riconoscimento di questo carattere editoriale dei motori di ricerca.
Un occasionale provvedimento è riscontrabile solo in materia di proventi pubblicitari: la Federazione Italiana Editori Giornali contestò davanti all’Autorità per le Comunicazioni la scarsa trasparenza dell’algoritmo di GoogleNews, ma niente fu stabilito in relazione agli obblighi e alle responsabilità dei motori di ricerca.
Algoritmi, Tv e pervasività de messaggio
Giova, in conclusione, rammentare una massima, o meglio un principio statuito dalla nostra Corte costituzionale in relazione alla necessità di regolamentare la televisione: «è noto e costante, nella giurisprudenza di questa Corte, il riconoscimento della peculiare diffusività e pervasività del messaggio televisivo (..), così da giustificare l’adozione, soltanto nei confronti della emittenza radiotelevisiva, di una rigorosa disciplina capace di impedire qualsiasi improprio condizionamento nella formazione della volontà degli elettori».
E allora ci si potrebbe chiedere se la pervasività degli algoritmi dei motori di ricerca, che ci accompagnano ovunque grazie ai nostri smartphone e sono sempre pronti a rispondere a ogni minima curiosità informativa, possa rimanere non regolamentata e non imponga, al contrario, una qualche forma di regolamentazione.