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La class action nel contratto M5S-Lega, cambiamo così il Codice del Consumo a tutela degli utenti

La class action trova spazio nel contratto Lega-M5S. Uno strumento che finora ha goduto sd scarsa fortuna per una serie di fattori che lo rendono poco appetibile e troppo oneroso per i consumatori. Ecco quali correttivi potrebbero essere apportati per rendere la class action uno strumento di difesa potente come è negli Usa

Pubblicato il 24 Mag 2018

Marco Scialdone

avvocato fellow IAIC

class action

La scorsa settimana, sul Blog delle Stelle, gli italiani hanno potuto leggere il contratto di Governo che il M5S e la Lega hanno deciso di sottoporre alla ratifica dei propri iscritti in vista della nascita del nuovo esecutivo.

L’istituto della class-action nel contratto Lega-M5S

Scorrendo le 58 pagine del documento, chi scrive non ha potuto non soffermarsi sul passaggio relativo all’istituto della class action che così recita:

“È necessario inoltre implementare lo strumento della class-action, così da renderlo in grado di tutelare sia i cittadini privati che le imprese nei confronti delle frodi o degli abusi da parte di un medesimo soggetto economico. In generale bisognerà intervenire anche per armonizzare il sistema di risarcimento dei danni non patrimoniali”.

Un moderno consumerismo ha necessità di appoggiarsi su strumenti processuali forti e di agevole attivazione: questo finora è mancato nel nostro ordinamento.

Introdotta con la legge 244/2007 e disciplinata dall’art. 140-bis del Codice del Consumo, l’azione collettiva (o class action, nella terminologia anglosassone) non ha mai goduto di particolare fortuna a causa di una pluralità di fattori che ne hanno reso l’attivazione onerosa e l’esito non particolarmente appetibile.

Un’effettiva ed efficace tutela dei diritti

Sotto quest’ultimo profilo, va ricordato che, come sottolineato a più riprese dalla giurisprudenza, la class action si propone, da un lato, di accrescere la fiducia dei consumatori e degli utenti nel funzionamento del mercato, dall’altro, di apprestare un’effettiva ed efficace tutela in situazioni in cui la tenuità del danno a fronte dei costi per ottenerne il ristoro distoglierebbe il consumatore dal far valere i propri diritti.

I fattori che rendono poco appetibile la class action

In molti casi, dunque, si parla di condotte da cui scaturisce un danno di trascurabile entità per il singolo consumatore (con conseguente modesta risarcibilità) o rispetto alle quali è finanche difficile individuare agevolmente un concreto danno risarcibile nonostante la condotta contra ius dell’impresa o del professionista (si pensi, ad esempio, alle pratiche commerciali scorrette o agli illeciti anticoncorrenziali).

A ciò aggiungasi che, una volta superato il vaglio dell’ammissibilità dell’azione, il rappresentante della classe è tenuto a sopportare i costi di pubblicità che sovente ammontano a decine di migliaia di euro: gli saranno restituiti in caso di vittoria processuale, ma nel frattempo dovrà farsene carico, non potendo neppure scegliere le modalità ritenute più opportune al raggiungimento dello scopo, ma dovendo eseguire pedissequamente quanto indicato dal Tribunale, pena l’improcedibilità dell’azione.

È di tutta evidenza come in uno scenario simile, caratterizzato da alti costi d’ingresso e basso appeal risarcitorio, lo strumento sia destinato ad un uso sporadico e resti nella disponibilità unicamente di quei soggetti associativi maggiormente strutturati che possono permettersi un esborso economico elevato.

I correttivi per rafforzare la class action

Quali, dunque, i correttivi da apportare affinché la class action possa diventare un potente strumento a tutela dei consumatori come avviene nell’ordinamento statunitense?

Due sono le modifiche che si potrebbero introdurre nella formulazione dell’articolo 140-bis del Codice del Consumo per ovviare alle criticità sopra esposte.

  • In primis, rispetto all’ordinanza con cui il Tribunale ammette l’azione di classe, fissando termini e modalità della più opportuna pubblicità, occorre precisare che il Giudice deve tenere conto della soluzione più economica per il proponente.
  • Inoltre, deve essere previsto che, valutate le condizioni economiche del proponente e l’importanza dell’azione, il Giudice possa ordinare che le spese di pubblicità siano poste a carico dell’impresa o del professionista convenuti in giudizio.

Vanno, inoltre, consentite modalità alternative di pubblicità rispetto a quelle indicate in ordinanza laddove il soggetto onerato sia in grado di dimostrare, in caso di eccezione di improcedibilità, che le stesse hanno raggiunto il medesimo scopo di quelle originariamente fissate dal Giudice.

I danni punitivi

Secondo aspetto, ancor più centrale, è che devono essere introdotti nel nostro ordinamento i cosiddetti danni punitivi, quanto meno rispetto alle azioni di classe proposte per il ristoro del pregiudizio derivante a consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.

I “punitive damages” sono sempre stati considerati come una componente importante del successo delle class action nel sistema nordamericano: essi servono a punire il convenuto, esprimendo la condanna della società per comportamenti gravi e garantendo allo stesso tempo un’effettiva deterrenza tanto nei suoi confronti, quanto della generalità dei consociati.

I danni puntivi hanno, inoltre, la finalità di incentivare il ricorso alla giustizia in tutte quelle circostanze in cui i danni compensativi non sarebbero sufficienti a soddisfare pienamente la parte e quindi la indurrebbero a non reagire giudizialmente al torto subito per un mero rapporto costi/benefici.

La funzione sanzionatoria del risarcimento del danno

Sulla compatibilità del risarcimento punitivo con il sistema giuridico italiano, è intervenuta di recente la Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza SS.UU. del 05/07/2017 n° 16601, ha avuto modo di affermare che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno “non è più incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva, giacché negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento”.

Accanto alla “preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria” si riconosce adesso una “natura polifunzionale che si proietta verso più aree”, tra cui le principali sono quella preventiva e quella sanzionatorio-punitiva: l’istituto dei risarcimenti puntivi “non è quindi ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano”

Le Sezioni Unite hanno tuttavia precisato che questo connotato sanzionatorio non è ammissibile al di fuori dei casi nei quali una “qualche norma di legge chiaramente lo preveda”.

Dunque, ben potrebbe allo stato il legislatore nazionale intervenire per introdurre una disposizione che consenta al Giudice, nell’ambito di un’azione di classe, di disporre un risarcimento ulteriore (punitivo) a favore della classe laddove, ad esempio, verifichi che il vantaggio economico ottenuto dal convenuto sia maggiore del risarcimento del danno quantificabile ai sensi dell’art. 1223 c.c.

A questo punto, visto l’impegno assunto in sede di contratto di Governo, non resta che aspettare di vedere come le due forze politiche che si sono assunte l’onere di avviare l’attuale legislatura vorranno dar seguito al proposito dichiarato per garantire finalmente ai consumatori uno strumento di efficace tutela processuale.

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