Di sanità digitale, ultimamente, si parla molto. E se ne parla, ogni tanto, a sproposito.
L’errore che si tende a compiere è quello di confondere la sanità digitale con l’informatica applicata alla sanità, quando invece quest’ultima non è che uno dei segmenti della prima (e neppure quello principale).
Sanità digitale vuol dire innanzitutto m-health e telemedicina: un segmento che con l’informatica applicata alla sanità ha davvero ben poco a che fare se non il fatto che si utilizzano devices che “parlano in binario” e le informazioni vengono veicolate utilizzando le reti di trasporto basate su protocollo IP.
Vuole dire anche l’enorme mercato delle Online Health Communities, dove proprio in questo scorcio di fine 2015 stiamo assistendo a operazioni di merge & acquisition (anche in Italia) e allo “sbarco” di nuovi interessantissimi player.
Sanità digitale vuol dire anche la robotica sanitaria: dai sistemi per la produzione di farmaci “su misura” al robot chirurgo, passando attraverso armadi farmaceutici automatizzati, carrelli robotizzati per la distribuzione di terapie e pasti, eccetera.
Vuol dire anche stampa 3D di protesi e ausili, un settore che si sta sviluppando con trend di crescita a tre digit e che è destinato a rivoluzionare la supply-chain e persino il modo col quale verremo curati nei prossimi decenni.
La sanità digitale, infine, comprende una parte di quel mondo complesso e variegato di tecnologie indossabili e di tecnologie ingeribili/impiantabili che anch’esse si stanno sviluppando con ritmi di crescita piuttosto significativi e che rappresentano il “sogno nel cassetto” di venture capitalist alla ricerca dell’unicorno prossimo venturo.
Parliamo di un mercato complessivo atteso per il 2020 di 233 miliardi di dollari, dove l’informatica applicata alla sanità (fascicolo sanitario, cartella clinica, eccetera) pesano meno dell’8% sul totale, con prezzi in caduta libera se consideriamo che attualmente (2014) il segmento dei Digitized Health Systems (a livello mondiale) supera di poco i 14 miliardi di dollari e che il grosso della crescita di questo segmento deriverà – fra il 2015 e il 2020 – dalla digitalizzazione dei sistemi sanitari e ospedalieri di paesi come la Cina e l’ex blocco sovietico.
Detto questo, passiamo alle leggende metropolitane: quelle che fanno male a tutti, tranne che a chi vive di scoop e comunicati stampa da passare ai giornali.
Tipo quella secondo la quale l’informatica applicata alla sanità fa risparmiare denaro al Servizio Sanitario Nazionale e ai cittadini: molto probabilmente vera la seconda affermazione, del tutto infondata la prima.
Un esempio: il fascicolo sanitario elettronico. Il quale, per come è strutturato attualmente (peraltro secondo un modello che ormai non ha più nessuna corrispondenza in nessun sistema sanitario al mondo) di per sé non è in grado di far risparmiare neppure un centesimo al SSN.
E’ utilissimo, ed è assolutamente giusto che si faccia: diciamolo ad alta voce, per evitare equivoci. Magari con qualche aggiustatina considerando che da quando se ne è iniziato a parlare ad oggi 2015 (anno in cui il Ministro ha finalmente firmato il decreto che ne sancisce le regole tecniche) sono passati un paio abbondante di lustri, ma comunque serve ed è un progetto da portare a termine.
Ma non diciamo, per carità, che l’adozione del fascicolo sanitario elettronico comporta sic et simpliciter una riduzione di costi per la sanità. Non è vero, e dicendolo non facciamo altro che generare false aspettative finendo per inficiare la credibilità di un settore (quello dell’IT applicato alla PA e alla sanità) che già deve scontare un paio di “hype” del passato: i mitici portali di e-government e le smart cities.
Per capire quanto non sia vera questa leggenda metropolitana basta andare a farsi un giro in un ospedale e/o da un medico di famiglia, per rendersi conto di come stanno realmente le cose: il fascicolo, anche laddove c’è (4 Regioni su 21, non dimentichiamolo), non è ancora entrato a far parte della operatività quotidiana del personale sanitario. E pochissimi cittadini (anche in Lombardia, anche in Emilia Romagna, per parlare di due regioni indiscutibilmente leader storiche in sanità elettronica) sanno che il fascicolo esiste.
I Pronto Soccorso compilano e stampano lettere di dimissioni, i laboratori stampano referti, e tutto diventa “digitale” nella misura in cui viene scansionato e trasformato in PDF che vanno ad alimentare il fascicolo.
Nulla che possa servire a un medico, il quale ha bisogno di una curva glicemica e non di una ventina di file PDF da scartabellare a video.
Questa è informatica applicata alla sanità, peraltro applicata a fini prevalentemente amministrativi e giuridici, come dice bene Mauro Moruzzi (padre del fascicolo sanitario elettronico dell’Emilia-Romagna e pioniere della sanità elettronica) quando nei suoi libri parla di “vecchia burocrazia sanitaria condita dall’informatica”.
E non è certamente dalla burocrazia digitalizzata che si possono generare economie di gestione.
La sanità può trovare ampi spazi di razionalizzazione della propria spesa solamente andano a incidere sui processi di erogazione delle prestazioni: “cambiare il modo di lavorare”, e non “informatizzare l’esistente”.
Le ICT abilitano e facilitano la reingegnerizzazione dei processi erogativi, ma soltanto a condizione che vengano molto ben definiti i confini entro i quali gli informatici possono spaziare.
Come ben insegnano i veri casi di successo a livello internazionale, le danze della sanità digitale devono essere condotte dagli operatori sanitari.
Fateci caso: in moltissimi Paesi (la Spagna, ad esempio, ma va così anche negli USA), le divisioni Healthcare dei principali vendor IT e system integrator sono dirette da medici. E molti CIO ospedalieri hanno un background clinico.
Soprattutto se usciamo dal “cortiletto” dell’informatica sanitaria e andiamo a spaziare nel “vero” green field della sanità digitale, dobbiamo renderci conto che il push tecnologico non funziona più, e le palline colorate non trovano più indigeni sprovveduti disposti a svenarsi pur di poterci giocare.
Così come non funziona più il sensazionalismo e la propagazione delle leggende metropolitane.
In difetto, corriamo il rischio di generare un altro enorme hype: chiacchiere, convegni, osservatori, ma alla fine i vendor non fatturano e – come diceva il Poeta – “la papera non galleggia”.