A tanti ha colpito il comma 3 dell’articolo 29 della legge di Stabilità perché dispone una riduzione del 50% delle spese delle Pubbliche Amministrazioni in materia informatica. Un valore così rilevante di riduzione della spesa, decisamente non poteva passare inosservato. Mettendo momentaneamente da parte però questo numero e valutando l’articolo nel suo complesso l’articolo 29 si capisce meglio l’intento di questo articolo.
La rubrica ci è decisamente di aiuto: l’obiettivo di questo articolo è la razionalizzazione delle spese delle PA in materia informatica. Questo è un obiettivo ampiamente condivisibile.
Come si propone di giungere a questo risultato? Anzitutto imponendo l’utilizzo di Consip e di altri soggetti aggregatori (tipicamente già esistenti a livello regionale) per gli acquisti in materia informatica. Acquisti centralizzati, portando a un incremento dei volumi, consentono sicuramente a un prezzo unitario più basso e quindi un risparmio per le casse dello Stato.
Inoltre l’articolo impone un’interazione fra Consip, insieme agli altri soggetti aggregatori, e Agid, tramite la richiesta di un parere vincolante sul bene o servizio che Consip negozia coi fornitori e mette a catalogo a disposizione degli acquisti che le PA dovranno e vorranno fare. Qui, di fatto, si riconosce ad Agid una maggiore conoscenza e know-how del settore informatico che si potrebbe valorizzare di più e meglio.
Un’altra disposizione importante, che di fatto deroga quanto qui sopra definito, consente comunque alla PA un acquisto diretto, ma previa richiesta l’autorizzazione al livello superiore e prevedendo il vaglio dell’ANAC.
A tutto questo si aggiunge, infine, che il mancato rispetto di queste disposizioni nell’acquisto di materiale informatico comportano sanzione disciplinare e danno erariale.
Con tutte queste prescrizioni, grosso modo condivisibili, ci si domanda: perché imporre un limite di spesa così draconiano come la riduzione del 50% ?
Nonostante gli acquisti delle PA siano spesso gonfiati con prezzi alti, fuori mercato, però così si premia chi ha speso male nell’ultimo triennio e ha quindi margine per la riduzione anche del 50% e si penalizza chi invece ha speso bene, e ora non ha più margini di riduzione della spesa. L’alternativa per le PA virtuose rischia di diventare l’evitare tout-court gli acquisti che, magari, sono urgenti e indispensabili. Durante l’esame in Commissione Bilancio è comunque emersa la volontà del Governo di riscrivere questa norma.
Mi auguro che, pur mantenendo l’impianto (acquisti centralizzati, ruolo di Agid, etc.), venga rivisto questo severo limite di spesa che, a mio parere, si deve configurare piuttosto come un obiettivo di risparmio e che potrebbe essere graduato a seconda il comparto della PA. Ad esempio, maggiore per la Sanità dove si annidano i maggiori sprechi e minore per le attività di ricerca delle Università che dovranno spesso derogare all’acquisto per la specificità del bene o servizio da acquisire.
Risparmi del 50% devono conseguire piuttosto dalle buone pratiche e non essere imposti attraverso irraggiungibili limiti di spesa.